L’art. 119, comma 7, primo periodo Cost., recita: “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato.”.
Questa formulazione è intervenuta per le modifiche (sostituzioni) apportatevi dall’art. 5, comma 1 L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (in vigore dall’8 novembre 2001).
Il testo precedente a queste modifiche, avente a specifico oggetto le regioni, recitava: “La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.”.
Nelle diverse analisi e discussioni attorno alla portata e, quello che più conta, agli effetti di queste modifiche costituzionali non si è vista particolare attenzione, anche se alcuni interventi vi siano stati, su questi aspetti, cioè sul passaggio, per le regioni, dalla titolarità sia di demanio che di patrimonio al solo patrimonio, oltreché l’estensione di questo anche ad altri livelli di governo (Comuni, Province, Città metropolitane. Cfr.: art. 114 Cost., testo attuale).
Per altro vi sono “beni” (quelli considerati dall’art. 822 C.C. [1]), che, per l’art. 824 [2]), comma 1 C. C. (il comma 2 è, o dovrebbe essere, largamente noto alle lettrici e lettori frequentanti questo portale), quando appartengano a comuni e province costituiscono demanio di questi enti.
Comprensibilmente, il C.C. non fa cenno alle regioni, in quanto costituite con la Costituzione, atto fondamentale successivo. Per la condizione giuridica del demanio pubblico si fa riferimento all’art. 823 C.C. [3].
Il 25 ottobre 2023 questo portale, sotto la Categoria “Giurisprudenza”, categoria cui è in genere dedicato l’ultimo mercoledì di ogni mese, si dava conto (Alcuni approfondimenti sull’assoggettamento al regime dei beni demaniali e suoi effetti), senza riportarne il testo per più ragioni, di una pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. Un. Civ., 10 maggio 2023, n. 12750, la quale, per l’appunto, affrontava la tematica della natura del demanio, anche con ricostruzioni storiche risalenti nei secoli passati.
Quell’intervento concludeva con la considerazione per cui il demanio non fosse una proprietà e se ne distinguesse per il fatto che il primo difettava, per definizione (il già citato art. 823, comma 1 C.C.), quella legittimazione a godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo del bene: infatti quale potrebbe essere la modalità in cui massimamente si concretizza (o, può concretizzarsi), se lo voglia il titolare del diritto di proprietà, questa legittimazione, se non quella dell’alienazione del bene?
Basti considerare come, per quanto appena considerato, i cimiteri non possano essere oggetto di alienazione, oppure potrebbero esserlo quando abbiano cessato di esserlo, cioè nei casi di avvenuta soppressione del cimitero, nei modi prescritti dal Capo XIX D.P.R. settembre 1990, n. 285 e s.m.
E, intervenuta la soppressione (pienamente completato il relativo procedimento; all’art. 97, comma 1, primo periodo, citato D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. si legge: “… 1. Il terreno di un cimitero di cui sia stata deliberata la soppressione non può essere destinato ad altro uso se non siano trascorsi almeno 15 anni dall’ultima inumazione. …”) il cimitero non sia più un … cimitero, in quanto … soppresso, per l’appunto.
Da quanto precede discende altresì che non possano trovare spazio formulazione del tenore: “il comune è proprietario del cimitero”, non essendolo, anche se si possa comprendere che questo possa essere riconducibile ad una qualche semplificazione nel linguaggio.
Semmai, si dovrebbe dire che il comune sia titolare della demanialità del cimitero (art. 824, comma 2 C.C.), per quanto debba riconoscersi che questa formulazione potrebbe essere ben poco comprensibile dal c.d. uomo della strada (e, se sia permessa una battuta giocosa, evitando qui di porre questioni di genere, dato che ciò potrebbe assumere significati non eleganti), per cui possono perdonarsi quanti utilizzino anche la prima formulazione, sopra contestata.
Da ciò sorge un’ulteriore questione, cioè chi sia il proprietario, se ve ne possa essere, dei beni soggetti al regime dei beni demaniali.
Dal momento che la sopraricordata pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. Un. Civ., 10 maggio 2023, n. 12750 approfondisce momenti risalenti, di secoli, sul sorgere di beni assoggettati a questo regime, non si poteva evitare di ricordare istituzioni risalenti all’epoca feudale, in cui si aveva anche l’istituto dell’allodio, compulsando on-line la definizione rintracciabile nell’Enciclopedia Italiana (Treccani), che propone di assimilare l’allodio alla piena (ancora il concetto di: pienezza) proprietà (in qualche modo, chiudendo il cerchio della considerazioni sin qui svolte).
Ma ciò non dà una risposta alla questione di cui sia titolare della demanialità, soggetto, o soggetti, che vanno individuati in termini di collettività, di comunità, come si ha per gli usi civici, per le c.d. università agrarie, per le comunanze, ecc.
In altre parole, si tratta di qualche cosa in cui non rileva la persona, intesa come singolo, ma le persone intese come comunità, in particolare, nella specie, le comunità locali, laddove il ruolo del comune è quello di “ente” esponenziale, e di rappresentanza (attraverso i propri organi), di questo consorzio di persone.
E “consorzio” altro non significa se non che “… unione di individui con doveri e diritti uguali”, cioè che hanno la medesima “sorte”. E comunità locale richiama alla popolazione (art. 13 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m., che è affiancata anche al territorio, ma questo, ormai, non è più, o non solo più, quello storicamente definito dai confini amministrativi (rimuovendo ogni approfondimento su come queste definizioni siano intervenute, dato che servirebbe a ben poco se non quale curiosità accademica, ormai sterile), ma è frequentemente sovracomunale (come le fusioni tra comuni silenziosamente comprovano) cosicché è indifferibile parlare di servizio operanti su ambiti territorialmente ottimali, nello spirito dell’art. 5 D. Lgs. 23 dicembre 2022.
Le relazioni e i movimenti della popolazione non avvengono più sui bacini dati, un tempo, con gli spostamenti a piedi o con trazione animale o con la bicicletta, quanto con mezzi diversi in cui le distanze hanno altra “dimensione”.
[1] Codice Civile, Art. 822. (Demanio pubblico).
[I] Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale.
[II] Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.
[2] – Codice Civile, Art. 824. (Beni delle provincie e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali).
[I] I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell’art. 822, se appartengono alle provincie o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico.
[II] Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali.
[3] – Codice Civile, Art. 823. (Condizione giuridica del demanio pubblico).
[I] I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano.
[II] Spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice.