Scorrendo la G.U.R.I. del 1° marzo 2024 si è avuta notizia che presso la cancelleria della Corte Suprema di Cassazione è stata verbalizzata la dichiarazione di un certo numero di cittadini di voler promuovere una proposta di legge d’iniziativa popolare dal titolo: “Ammenda ai sindaci che non riparano le buche“.
Non rileva il comitato (né la sua auto-denominazione) promotore, né le considerazioni che le proposte di legge d’iniziativa popolare, che richiedono un impegno per la raccolta del numero necessario di sottoscrizioni e, quindi, una volta presentate in uno dei due rami del Parlamento, spesso vengono prese in non cale, con la conseguenza che molto spesso (con quale prossimità al “sempre”?) non sono neppure “calendarizzate” per una qualche prima discussione in sede di commissione parlamentare e quanto ne segua sotto il profilo dell’iter, con la conseguenza che gli sforzi preliminari rimangono sterili.
Neppure interessa se la questione sia essenziale per la popolazione, oppure abbia scarso profilo, pur rappresentando un’istanza degna di considerazione.
A parte il fatto che probabilmente le intenzioni non erano nel senso che i sindaci riparassero le busche, quanto che essi provvedessero a far si che le buche vengano riparate, la previsione di una sanzione rispetto a comportamenti inerziali appare volersi sottrarre dal considerare come questi eventi (fermo restando che le buche andrebbero riparate e, possibilmente, con adeguata tempestività) possono essere imputabili ad effettive inerzialità (che vi possono essere), ma spesso originano dalla mancanza di risorse finanziare, umane, strumentali ecc. necessarie per provvedere, mancanze spesso (non sempre) hanno origini esogene, non direttamente attribuibili ai sindaci (ma preferiremmo parlare di “comuni” per includere i vari attori che costituiscono la struttura organizzativa ed operativa).
Questa premessa porta ad un opportuno richiamo all’art. 119 Cost. [1], che porta, abbastanza direttamente, ad ulteriore richiamo, quello all’art. 149 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 [2], disposizione quest’ultima richiamata, richiamando il suo comma 4, anche dalla pronuncia del TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 7 febbraio 2024, n. 91 e, prima (sia in termini cronologici sia in termini di grado di giudizio), anche del Consiglio di Stato, Sez. II, 12 aprile 2021, n. 2496 pronunciate attorno ad una questione tutto sommato di non difficile approccio.
Si registrano, almeno in contesti non particolarmente attenti, impostazioni ab-normi, quali (i.e.) per cui non dovrebbero esservi corrispettivi per la copertura di attività amministrative quando queste si concludano con atti amministrativi assoggettati all’imposta di bollo, la quale (secondo queste impostazioni) dovrebbe dare copertura ai costi di queste attività amministrative (trascurando il non irrilevante aspetto che le entrate derivanti dall’imposta di bollo confluiscono all’erario dello Stato e non al bilancio dei comuni cui spetta il compimento di queste attività).
Va detto che la questione non può ridursi a queste superficiali impostazioni, ma va considerata rispetto ad aspetti contenutistici di ben maggiore spessore. Si faccia riferimento a quanto previsto dall’art. 4 D. M. (Interno) 1° luglio 2002 [3] in cui, al comma 2, si esplicita un criterio, estensibile a tutte le diverse tipologie di concessioni cimiteriali di sepolcri privati nei cimiteri (Capo XVIII D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), dove si individuano due voci di calcolo, richiamando l’attenzione in particolare sulla lett. b), laddove a chiare lettere si parla di recupero delle spese gestionali cimiteriali, estensibilità che ha fondamento sul fatto che per le concessioni cimiteriali va distinta la questione (onerosità) del loro diritto d’uso, aspetto che non oblitera il fatto che questo diritto d’uso non è isolato, né isolabile ma deve tenere conto di come questo comporti fisiologicamente la fruizione di una serie di prestazioni e servizi afferenti, appunto, alla gestione cimiteriale, costituente un insieme complesso.
Non è ipotizzabile che il diritto d’uso sia esercitabile indipendentemente ed a prescindere da un qualche concorso nelle spese gestionali cimiteriali, quanto meno se si consideri come si tratti, per definizione, di “sepolcri privati nel cimitero”: essere “dentro” comporta, piaccia o non piaccia, la fruizione di quelle prestazioni e servizi che connotano la gestione cimiteriale.
Se non vi sia un qualche recupero, adeguato, vi potrebbe essere una sola conseguenza, quello si traslare costi fruiti da singoli sulla c.d. fiscalità generale, cioè sul complesso della popolazione locale, generando un vantaggio, per quanto inespresso, a pro dei singoli che ne uscirebbero avvantaggiati.
Ritornando all’art. 149, comma 4 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. si tratterebbe di applicare la lett. a) e non la lett. c), il che risulterebbe non razionale.
[1] – Costituzione, Art. 119.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti..
[2] – D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
Art. 149 (Principi generali in materia di finanza propria e derivata)
1. L’ordinamento della finanza locale è riservato alla legge, che la coordina con la finanza statale e con quella regionale.
2. Ai comuni e alle province la legge riconosce, nell’ambito della finanza pubblica, autonomia finanziaria fondata su certezza di risorse proprie e trasferite.
3. La legge assicura, altresì, agli enti locali potestà impositiva autonoma nel campo delle imposte, delle tasse e delle tariffe, con conseguente adeguamento della legislazione tributaria vigente. A tal fine i comuni e le province in forza dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti.
4. La finanza dei comuni e delle province è costituita da:
a) imposte proprie;
b) addizionali e compartecipazioni ad imposte erariali o regionali;
c) tasse e diritti per servizi pubblici;
d) trasferimenti erariali;
e) trasferimenti regionali;
f) altre entrate proprie, anche di natura patrimoniale;
g) risorse per investimenti;
h) altre entrate.
5. I trasferimenti erariali sono ripartiti in base a criteri obiettivi che tengano conto della popolazione, del territorio e delle condizioni socio- economiche, nonché in base ad una perequata distribuzione delle risorse che tenga conto degli squilibri di fiscalità locale.
6. Lo Stato assegna specifici contributi per fronteggiare situazioni eccezionali.
7. Le entrate fiscali finanziano i servizi pubblici ritenuti necessari per lo sviluppo della comunità ed integrano la contribuzione erariale per l’erogazione dei servizi pubblici indispensabili.
8. A ciascun ente locale spettano le tasse, i diritti, le tariffe e i corrispettivi sui servizi di propria competenza. Gli enti locali determinano per i servizi pubblici tariffe o corrispettivi a carico degli utenti, anche in modo non generalizzato. Lo Stato e le regioni, qualora prevedano per legge casi di gratuità nei servizi di competenza dei comuni e delle province ovvero fissino prezzi e tariffe inferiori al costo effettivo della prestazione, debbono garantire agli enti locali risorse finanziarie compensative.
9. La legge determina un fondo nazionale ordinario per contribuire ad investimenti degli enti locali destinati alla realizzazione di opere pubbliche di preminente interesse sociale ed economico.
10. La legge determina un fondo nazionale speciale per finanziare con criteri perequativi gli investimenti destinati alla realizzazione di opere pubbliche unicamente in aree o per situazioni definite dalla legge statale.
11. L’ammontare complessivo dei trasferimenti e dei fondi è determinato in base a parametri fissati dalla legge per ciascuno degli anni previsti dal bilancio pluriennale dello Stato e non è riducibile nel triennio.
12. Le regioni concorrono al finanziamento degli enti locali per la realizzazione del piano regionale di sviluppo e dei programmi di investimento, assicurando la copertura finanziaria degli oneri necessari all’esercizio di funzioni trasferite o delegate.
13. Le risorse spettanti a comuni e province per spese di investimento previste da leggi settoriali dello Stato sono distribuite sulla base di programmi regionali. Le regioni, inoltre, determinano con legge i finanziamenti per, le funzioni da esse attribuite agli enti locali in relazione al costo di gestione dei servizi sulla base della programmazione regionale.
[3] – Ministero dell’interno, Decreto 1° luglio 2002 “Determinazione delle tariffe per la cremazione dei cadaveri e per la conservazione o la dispersione delle ceneri nelle apposite aree cimiteriali.”
Art. 4 (Misura della tariffa per la dispersione o la conservazione delle ceneri)
1. La tariffa, da corrispondere una tantum, per la dispersione delle ceneri all’interno dei cimiteri è determinata dal comune nella misura massima di Euro 160 e può essere determinata in misura differente in relazione al luogo di dispersione delle ceneri.
2. La tariffa, anche differenziata, per la conservazione di urna cineraria in cimitero, è determinata dal comune in base alle seguenti voci di calcolo:
a) canone annuo per l’uso dello spazio assegnato per ogni anno di durata della cessione in uso, percepibile anche in un’unica soluzione, che compete a chi cede in uso la sepoltura;
b) canone annuo per il recupero delle spese gestionali cimiteriali, per ogni anno di durata della cessione in uso, pari o inferiore alla metà di cui al punto a), percepibile anche in unica soluzione, che compete al gestore del cimitero.