Cremazioni di resti mortali e dimensioni limite della urne cinerarie

L’art. 80, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. recita: “4.- Le dimensioni limite delle urne e le caratteristiche edilizie di questi edifici vengono stabilite da regolamenti comunali.”
In numerose norne regionali si rinvengono disposizioni simili alla prima parte (dimensioni delle urne cinerarie), mentre per la seconda parte (caratteristiche edilizie degli edifici cellari, di cui al precedente comma 3) nulla si rintraccia.
Per questa parte si potrebbe anche convenire trattandosi di edifici localizzati nel cimitero, il quale, a propria volta, è localizzato all’interno del comune. Tra l’altro, questa fonte regolamentare non considera (per il semplice fatto di essere non solo antecedente, ma altresì norma regolamentare, quanto – successivamente – indicato dal Punto 13.2) della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, in termini di istruzioni amministrativa (e, per questo, in qualche modo attuative, anche se la circolare non costituisce fonte normativa) per quanto riguarda il dimensionamento dello spazio libero interno delle nicchie cinerarie, in pratica un volume, anche se le “caratteristiche edilizie” potrebbero avere riguardo ad altri fattori che non il solo spazio destinato all’accoglimento delle urne.
Meno sostenibile la prima parte, dovendosi avere presente come in numerosi casi l’impianto di cremazione non si trovi nel comune che stabilisce, in sede regolamentare, le dimensioni limite delle urne.
Non si tratta di aspetto secondario, dato che queste dovrebbero essere tali da poter essere accolte nel volume, nello spazio offerto dalle nicchie cinerarie, e la fornitura di “semplice urna” rientra tra le operazioni di cremazione ricomprese nelle tariffe per la cremazione, ai sensi dell’art. 2 D. M. (Interno) 1° luglio 2002, per cui la sua fornitura è a carico dell’impianto di cremazione (anche se sia implicitamente ammesso che i familiari possano approvvigionarsi autonomamente di altra urna cineraria), cosa che fa conseguire la considerazione che una qualche “dimensione limite” delle urne cinerarie trovi un limite, fisico, nelle dimensioni del volume delle nicchie cinerarie, cioè non dovrebbe eccedere le dimensioni dello “spazio libero interno”.
Dato che l’impianto di cremazione generalmente non dispone di eventuali previsioni regolamentari dei diversi comuni, è evidente che non potrà che tenere presente questo limite nell’approvvigionarsi prima e fornire poi la “semplice urna”.

Quest’impostazione, per altro, non sembra tenere conto di situazioni che possono aversi quando non si abbia cremazione di cadaveri – o, in limitati casi, di feretri c.d. “oversize, per cui si rinvia, per la definizione, all’Allegato D.1, lett. c) dello standard CEN EN UNI 15017:2019 (altrettanto nella versione antecedente), non sottovalutando come, talora, questa situazione possa rischiare di non consentire la cremazione, se ed in quanto il feretro risulti accedente all’imboccatura del crematoio – dal momento che vi possono essere situazioni in cui la cremazione assume aspetti di … criticità, non altrimenti regolata.
Il riferimento è alla richiesta di cremazione di cremazioni di resti mortali (per la definizione si rinvia all’art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, salvo non venga modificato), laddove potrebbe aversi che il corpo non sia del tutto mineralizzato, dato che se lo fosse non si parlerebbe di cremazione di resti mortali, quanto di ossa.
Dato che nella predetta definizione si considerato i fenomeni cadaverici trasformativi conservativi, non può aversi, per definizione, che si tratti di ossa.
In queste situazioni, la presenza degli elementi “conservantisi” può determinare effetti peculiari in sede di esecuzione della cremazione di resti mortali.
Ora in caso di resti mortali estumulati possono osservarsi fenomeni di mummificazione, saponificazione, corificazione, che richiedono particolari accortezze in sede di cremazione, che possono influire anche sui tempi di esecuzione e non solo.
Ma nel caso di resti mortali esumati a questi fenomeni cadaverici trasformativi conservativi possono aggiungersi altre caratteristiche (chiamiamole: “collaterali”?), in quanto a quanto rimanga delle spoglie mortali possono presentarsi residui di terreno (con quali caratteristiche litologiche? Con presenza di terreno ben sciolto, di terreno argilloso, ecc.? Con quali gradi di umidità? Ecc.), oppure di altri materiali, più o meno inerti, parte delle vesti (che specie quando vi sia molta umidità o non siano sempre in fibre naturali possono conservarsi, magari a brandelli) od oggetti contenuti in tasche e simili.
In questi casi, dato che i resti mortali non possono essere oggetto di interventi o manipolazioni, essendo escluso che possano esservi interventi preventivi volti alla rimozione di queste “eccedenze” e, men che meno, costituenti interventi di spogliazione del corpo (interventi che potrebbero costituire la fattispecie di cui all’art. 410 C.P., non casualmente richiamato dall’art. 87 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), non rimane che procedere alla cremazione rebus sic stantibus, con la conseguenza che le ceneri risultanti potrebbero avere una volumetria, esprimibile in litri, superiore a quella, più o meno, media che risulta dalla cremazione di cadavere.
Ne consegue che, qualora, il volume delle ceneri derivanti da queste tipologie di cremazione venga ad essere, per forza di cosa, eccedente la capacità della “semplice urna” utilizzata come standard, dovrà farsi ricorso ad un’urna di dimensioni superiori, anche se ciò non incida molto sull’aspetto dell’onerosità, in quanto non si è in presenza di una “scelta”, quanto di un’esigenza, di una necessità di carattere fisico.
Un eventuale utilizzo di un’urna cineraria standard comporterebbe l’incapienza dell’intero volume delle ceneri risultanti dalla cremazione, residuando una porzione eccedente: ma questa eccedenza non potrebbe essere accolta in plurime urne, né altrimenti destinata venendo a costituire la fattispecie considerata dall’art. 411, commi 1 (e con l’applicazione del comma 2!) C.P.
Se ne ricava che, quali siano le dimensioni della semplice urna utilizzata e fornita dal singolo impianto di cremazione, in situazioni in cui le ceneri risultanti dalla cremazione siano volumetricamente superiori alla sua capienza, ben possa legittimamente farsi uso di urne aventi dimensioni superiori a quelle normalmente standard.
Non guasterebbe, comunque, che possa essere opportuno definire procedure per fornire un’adeguata e rispettosa informazione ai familiari, nonché ad evidenziare nelle autorizzazioni al trasporto dell’urna cineraria alla sua destinazione finale le dimensioni limite dell’urna cineraria necessariamente dovutasi autorizzare.
Ovviamente queste ultimissime considerazioni potrebbero non valere nell’ipotesi (spesso solo accademica) in cui sia richiesta la dispersione delle ceneri, ipotesi accademica poiché per quest’ultima pratica è imprescindibile l’espressa volontà del defunto (art. 411, comma 3 C.P.), che si dubita potersi rinvenire e comprovare allorquando si tratti di resti mortali, come tecnicamente definiti, essendo decorso un tempo non proprio breve dal decesso.
Non senza considerare come le misure delle dimensioni di “spazio libero interno” indicate nella circolare sopra ricordata per le nicchie cinerarie siano superiori rispetto a quelle generalmente in uso per le “semplici urne” di dimensioni standard, cosa che lascia intendere che vi possano essere casi in cui le dimensioni di quest’ultima possano essere alla bisogna anche maggiori rispetto a tale standard.

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Sereno Scolaro

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