Si è avuta l’occasione, tra le diverse letture pertinenti e non pertinenti, di studiare un interessante (e pertinente) commento su di una pronuncia, altrettanto interessante, di un Tribunale in materia di titolarità a disporre della “sepoltura” di una persona.
Nella specie, in conseguenza di un petitum di parenti di 1° grado in linea retta discendente e persona che, pur se priva di relazioni di natura giuridica col defunto, aveva mantenuto per più decenni (non pochi) un rapporto di affettività e di vita, tutto sommato solido, tanto che da questa relazione era nato anche una/un figlia/o, “riconosciuto” con sentenza (trascuriamo qui la differenza tra riconoscimento di filiazione e dichiarazione giudiziale di paternità, così come il fatto che sia stato fatto ricorso a questa lascia propendere per un evento antecedente alla L. 19 maggio 1975, n. 151, quando la regolazione dei rapporti di filiazione avvenuti fuori dal matrimonio – per usare una formulazione attuale – era ben differente, aspetti che forse il commentatore può non avere conosciuto, con molta probabilità per ragioni di età).
A prescindere dalla decisione del giudice adito, nel commento alla sentenza vi è un “convitato di pietra”. O, meglio, non vi è alcun richiamo ad una norma che ha e continua (purtroppo) ad avere un peso.
Si tratta delle disposizioni del Capo XVI “Cremazione” D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
In realtà, nel commento (e, nella precisione, unicamente in una nota in calce) se ne fa cenno non andando oltre dal considerare come: “… In virtù dell’art. 3 della legge, entro sei mesi dalla sua data di entrata in vigore, si sarebbe dovuto procedere alla modifica del regolamento di polizia mortuaria, approvato con D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, sulla scorta dei principi fissati dalla fonte primaria.
Tuttavia, tale provvedimento non è mai stato adottato.
Ne emerge oggi un quadro normativo complesso, tenuto altresì conto che la materia ha costituito oggetto di legislazione da parte di quasi tutte le Regioni. … ”.
Questa nota porta a ritenere che la non (o, non ancora) intervenuta modifica al D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. sia elemento ben noto all’Autore del commento, cosa che fa sorgere la domanda sul motivo per cui questi si sia limitato a solo quest’annotazione, non utilizzando, non importa in quale senso o contesto, questa fonte.
Certo, il commento, specie sui temi dello ius eligendi sepulchri e sui richiami, sempre utili, a contenziosi precedentemente affrontati, appaiono importanti. Meno il parlare di convivenze more uxorio, quando risulta citata e nota la L. 20 maggio 2016, n. 76, citazione di scarno rilievo dato che, dagli elementi della pronuncia in commento, sembrerebbe che il decesso (e, a maggiore ragione, la persistenza nel tempo della relazione) sia collocabile nettamente prima di questa norma legislativa.
Perché sarebbe importante avere tenuto presente le disposizioni in materia di cremazione contenute nel D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., dato che l’incipit dell’art. 3, comma 1 L. 30 marzo 2001, n. 130 ne prevedeva modifiche che, come noto, non sono (o, non sono ancora) intervenute?
Questa mancata attuazione della legge (e non è l’unica, cosa altrettanto nota) produce un’anomalia del sistema (non una mera complessità) che ingenera plurime criticità, in primis sotto il profilo interpretativo e, quindi, a valle, sotto quello operativo, in quanto occorre, caso per caso, individuare quali e quante disposizioni della legge siano direttamente applicabili e, da altro angolo di visuale, quali e quante sia principi cui il legislatore ha rimesso alla fonte di rango secondario (il Regolamento di polizia mortuaria) la regolazione attuativa dei principi.
È questione che è già stata, e più volte e con riguardo a differenti disposizioni, oggetto di intervento del Consiglio di Stato, sia in termini di attività consultiva (es.: parere Sez. 1^ del 29 ottobre 2003, n. 2957/2003), sia in termini di attività giurisdizionale (es.: Sez. IV, 3 gennaio 2022, n. 14).
Questa sovrapposizione tra norme (di rango secondario) rimaste immodificate e legge (norma di rango primario) che prevedeva modifiche, secondo principi ben individuali, genera evidentemente forti criticità.
Criticità che non producono effetti solo per interpreti e “applicatori” delle disposizioni, ma danno luogo a fraintendimenti che coinvolgono (leggi: hanno coinvolto) anche il legislatore, dal momento che deve non dimenticarsi come l’art. 79, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., sia stato oggetto di modifica, in sede di conversione, con l’art. 36-bis D.-L. 21 marzo 2022, n. 21, convertito, con modificazioni, in L. 20 maggio 2022, n. 51, modifica incoerente con l’art. 3, comma 1, lett. b), n. 3 che prevede (prevederebbe?), tra gli strumenti, un processo verbale e non quanto introdotto con quest’ultima modifica.
È noto come questo “strumento” fosse stato, in precedenza, introdotto con Ordinanze del Capo del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri (che non citiamo se non la prima (Ordinanza n. 664 del 18 aprile 2020, art. 1) e che sono state reiterate, con accidentale “pausa”) in conseguenza della situazione di pandemia da CoVid-19, in cui si rendeva necessario ridurre al massimo la possibilità di contatti tra le persone.
Ma questa modifica segnala come vi siano state (vi siano ancora?) distorsioni nella percezione delle norme da applicare e il rapporto che intercorre tra queste.
Ora, non guasterebbe che anche chi le commenti, pur avendo a proprio oggetto altri aspetti, non meno importanti, tenesse conto di come non si possa sottrarsi dal richiamare, anche, quanto generi … complessità, anche quando il target del commento si collochi su altri piani.