Cremazione senza autorizzazione? – 3/3

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Se il percorso interpretativo sin qui seguito trovi fondamento, si può giungere ad alcune conclusioni, la prima delle quali riguarda il fatto che le registrazioni cimiteriali previste dagli artt. 52 e 53 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. abbiano riguardo ai ricevimenti nel cimitero dei feretri, indipendentemente dalla pratica funeraria scelta, con alcune differenziazioni.
Infatti, nel caso delle inumazioni, oppure delle tumulazioni, al ricevimento del feretro seguono, conseguono una serie, più o meno ampia, di attività di gestione cimiteriale, che si può sviluppare nel tempo per periodi variamente articolati, mentre nella cremazione si potrebbe anche avere un “ricevimento”, cui segue l’esecuzione della cremazione, abbastanza immediatamente seguita da un’”uscita” dell’urna cineraria (Cfr.: art. 26 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., ed altresì successivo art. 81), in relazione alla diverse opzioni circa le possibili “destinazioni” delle ceneri risultanti dal processo di cremazione.
Proprio riferendosi al testé citato art. 81 [2], esso considera il “verbale” della consegna dell’urna cineraria, nonché le sue caratteristiche formali (triplice esemplare), prevedendo che uno di questi esemplari debba essere “conservato” dal “responsabile del servizio cimiteriale” ed altro dall’”incaricato del servizio di custodia dei cimitero in cui vengono custodite le ceneri”.
Si tenga sempre presente che il d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. è antecedente alla L. 30 marzo 2001, n. 130 e, quindi, non poteva farsi cenno alcuno ad ipotesi di non conservazione in cimitero, risultando (nel 1990) fattispecie penalmente rilevante la dispersione delle ceneri, né era ammissibile l’affidamento delle urne cinerarie ai familiari.

A questo punto, emergono “atti”, di diversa denominazione (autorizzazione, verbale, attestazione, ecc.), destinati ad essere ritirati e conservati, in via generale dal “responsabile del servizio di custodia del cimitero” (o denominazioni sostanzialmente a questa sovrapponibili, nel caso di custodia in cimitero dell’urna cineraria).
Qui emerge, in caso di cremazione, una differenziazione, collegata e connessa alla diversità delle pratiche funerarie, cioè il fatto che, nell’ipotesi di cremazione, non vi è l’autorizzazione quale, oggi, individuata dall’art. 74, commi 1 e 2 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m.), bensì quella individuata dallo stesso art. 74, comma 3, con un rinvio a disposizione che porta, per i mutamenti normativi intervenuti, a richiamare l’art. 3, comma 1, lett. a), oppure lett. b) L. 30 marzo 2001, n. 130 (ci si scusa per questi riferimenti variamente incrociati e sovrapposti, fidando che lettrici/lettori comprendono come ciò sia imputabile alle evoluzioni normative variamente citate).
Tra l’altro, l’autorizzazione alla cremazione è titolo necessario per il soggetto gestore dell’impianto di cremazione, anche al fine di non essere oggetto di contestazione per avere eseguito una cremazione “senza autorizzazione”, che potrebbe anche avere un qualche rilievo di natura penalistica.
Si tratta di una situazione agevolmente affrontabile in tutti i casi in cui la gestione dell’impianto di cremazione compete localmente al comune in cui si trova il cimitero (altro collegamento: art. 51, comma 1 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), mentre quando la gestione dell’impianto di cremazione spetti ad un soggetto terzo diverso (e.g.: So.Crem., società variamente partecipata (in house, totalmente o parzialmente partecipata, società mista, soggetto privato, fino alle ipotesi di project financing, ecc., anche alla luce, oggi, tanto del D. Lgs. 23 dicembre 2022, n. 201 e del D. Lgs. 31 marzo 2023, n. 36) consegue che debbano soppesarsi soluzioni ben meno lineari (o, almeno, non sempre lineari).
Ora, nella fase di “ricevimento” del feretro, cremazione, verbale di consegna dell’urna cineraria e dintorni, entrano in gioco competenze in cui la titolarità potrebbe essere individuata nel soggetto gestore dell’impianto di cremazione ed altre nella titolarità di competenza del “responsabile del servizio di custodia cimiteriale”, dovendosi sciogliere la matassa delle competenze, che sono non sempre unificabili in un unico soggetto.

Ad esempio, ricordando come la conservazione dell’autorizzazione alla cremazione abbia una funzione anche di tutela del soggetto gestore dell’impianto di cremazione, non avrebbe senso che questi, una volta eseguita la cremazione e consegnata l’urna cineraria, con il suo verbale in triplice esemplare, si privi della conservazione dell’autorizzazione alla cremazione, magari “rendendola” ai familiari (o, peggio, al soggetto che ha operato come vettore del feretro “in arrivo”), in quanto se così, astrattamente, avvenisse il gestore dell’impianto di cremazione verrebbe a trovarsi nella posizione di trovarsi in carenza della prova, documentale, dell’autorizzazione sulla base della quale ha provveduto ad eseguire la cremazione (e quando ad essa conseguente, evidenziando come il verbale di consegna dell’urna cineraria abbia, “a monte”, la prova della sussistenza dell’autorizzazione alla cremazione, prova sempre necessaria e non meramente deducibile per relationem.
Non affrontiamo neppure gli effetti che da una tale prassi potrebbero conseguire, solo facendo sintetico cenno al fatto che i familiari non avrebbero obblighi di conservazione (e spesso non sempre i rapporti tra più familiari sono idilliaci), così come può dirsi per altri soggetti terzi, cui è stato fatto cenno, in quanto privi di un qualche onere in materia.
Dare come effetto materiale quello di successive non reperibilità degli atti di autorizzazione alla cremazione viene da sé. Di qui, appare conseguente che il soggetto gestore dell’impianto di cremazione conservi presso di sé l’autorizzazione alla cremazione, conservazione che richiederebbe di definire anche il termine temporale della durata di una tale conservazione.
La questione dei termini di conservazione degli atti e documenti, porta a richiamare le norme in materia archivistica, incluse quelle del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (questione che meriterebbe approfondimenti, magari anche auspicando che qualche “anima pia” curi quello che un tempo andava sotto la denominazione di “manuale di scarto degli atti d’archivio”).
A prescindere da questo ultimo aspetto (durata della conservazione), una qualche traccia di soluzione sostenibile potrebbe essere individuabile all’interno del “sistema”. In altre parole, richiamando ancora una volta gli artt. 52 e 53 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., potrebbe costituire un’interpretazione sufficientemente razionale, ed argomentabile, quella per la quale il soggetto gestore dell’impianto di cremazione conservi l’autorizzazione alla cremazione per l’anno solare in cui hanno luogo le singole cremazioni, decorso il quale (art. 53, comma 2) conferire (leggi: consegnare, previa ovvia verbalizzazione) al responsabile del servizio di custodia cimiteriale (il quale valuterà che conservare tale documentazione in termini di archivio corrente, oppure di archivio di deposito (Capo IV D. Lgs. 28 dicembre 2000, n. 445 e s.m., cioè articoli da 50 a 70)).
In questo modo, verrebbe anche in qualche modo unificata la conservazione, per la durata prevista, delle autorizzazioni alla cremazione e di alcuni tra gli esemplari del verbale di consegna dell’urna cineraria, cioè degli atti, tra loro connessi, unificazione in capo ad una figura che già, per altre tra le diverse fonti richiamate, ha titolo a curare una conservazione di atti e documenti pertinenti.


[2] – D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. – Art. 81.
1. La consegna dell’urna cineraria agli effetti dell’articolo 343 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, deve risultare da apposito verbale redatto in tre esemplari, dei quali uno deve essere conservato dal responsabile del servizio cimiteriale, uno da chi prende in consegna l’urna e il terzo deve essere trasmesso all’ufficio di stato civile.
2. Il secondo esemplare del verbale deve essere conservato dall’incaricato del servizio di custodia del cimitero in cui vengono custodite le ceneri.

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Sereno Scolaro

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