Cremazione senza autorizzazione? – 1/3

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Premesse
È cosa nota come la realtà superi, frequentemente, la fantasia. Si pensi (e.g.) alle disposizioni dell’art. 411, comma 4 C.P., quale introdotto, unicamente al comma 3, dall’art. 2 L. 30 marzo 2001, n. 130, introduzione funzionale a legittimare, anche nell’ordinamento giuridico italiano, la pratica della dispersione delle ceneri, costituente uno dei due “oggetti” della legge, come risulta sia dalla sua rubrica, che dall’art. 1.
Ora, la dispersione delle ceneri, ora pratica ammissibile (alle condizioni e con i modi e procedure disegnate dalla legge, ma anche con alcuni limiti), non costituisce più, com’era in precedenza, fattispecie penale, ma lo rimane allorquando ricorrano due ipotesi: (1) sia eseguita senza che vi sia stata autorizzazione (alla dispersione delle ceneri) rilasciata dall’Ufficiale dello stato civile, oppure (2) sia effettuata con modalità diverse rispetto a quanto indicato (nella sua espressa volontà) dalla persona defunta.
Sulla seconda ipotesi, si potrebbe ricorrere all’esempio banale della volontà alla dispersione delle ceneri in “luoghi” in cui non sia consentita, ma anche (e qui il tutto è meno banale, ma più aderente al concetto di “modalità”) formulare la prospettazione per la quale la dispersione delle ceneri avvenga riversando il contenuto dell’urna cineraria da un finestrino (aperto!) di un veicolo in movimento, magari a velocità specifica.

1.-Una prima precisazione. Per quanto la fattispecie sub (1) riguardi l’assenza dell’autorizzazione, in essa è abbastanza chiaro che quest’ultima non sia l’autorizzazione alla cremazione, ma quella – distinta e in qualche modo funzionalmente “a valle”, dotata di una propria autonomia – avente ad oggetto la dispersione delle ceneri, una volta intervenuta la cremazione: si tratta di due “titoli” (autorizzazioni) ontologicamente differenti, mutando l’”oggetto”, ed in modo sostanziale.
2.-Data la constatazione iniziale nelle Premesse, merita di affrontare un tema aggiuntivo, finora: l’art. 74 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m., prevede (commi 1 e 2) che non si possa far luogo all’inumazione o, se richiesta, alla tumulazione se non vi sia la preventiva autorizzazione.
Si tratta di disposizioni che rinviano all’art. 6 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (il quale, in ragione del tempo, rinviava all’art. 141 R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, più o meno (Cfr.: art. 109, comma 2), abrogato dal D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m.).
Al successivo comma 3 dello stesso art. 74 qui citato, si richiama, “in caso di cremazione”, rinviandovi, l’art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (anche qui in ragione del tempo, avendosi presente come la pratica funeraria della cremazione sia stata interessata alla – successiva – emanazione della L. 30 marzo 2001, n. 130 (per curiosità e nessuna rilevanza, la datazione della legge si sovrappone all’entrata in vigore del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m.).
Ma rimanendo in tema, la legge di riferimento in materia di cremazione (e dispersione delle ceneri) non si è totalmente sovrapposta al D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., come risulta dal fatto che l’art. 79, comma 2 di questo è stato in parte modificato – con effetto dal 21 maggio 2022! (in sede di conversione in legge) – dall’art. 36-bis D.-L. 21 marzo 2022, n. 21, convertito, con modificazioni, nella L. 20 maggio 2022, n. 51.
Se la L. 30 marzo 2001, n. 130 avesse, oggettivamente, comportato l’abrogazione del citato art. 79 (e, magari, anche si altre disposizioni del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. relative alla pratica funeraria della cremazione), questa modifica, e le modalità con cui è avvenuta, non avrebbe senso.
Qualcuno ha imputato questo intervento legislativo ad un qualche “errore” del legislatore, altri l’hanno contestualizzato in una fase in cui si erano avute criticità nella gestione della pandemia da CoVid-19, in cui vi erano state Ordinanze del Capo Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che avevano “derogato” dalle procedure stabilite dall’art. 3, comma 1, lett. b), n. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130, “deroghe” venute meno, e poi riproposte anche qui “a tempo” (con relativa cessazione dell’efficacia), generando una mescolanza di fonti del diritto di non agevole discriminazione.
Visioni ed approcci diversi, attenzioni ad aspetti non coerenti, hanno portato ad incrementare il grado di incertezza interpretativa (che, se le questioni fossero state affrontate con qualche minima coerenza, non avrebbero determinato necessità particolari di interpretazioni, in un qualche senso od in altro.
Non si può ignorare come alcuni strati amministrativi non abbiano particolarmente “amato” (a causa di intrinseca, connaturata incapacità di cogliere i fattori di valorizzazione di ruolo) previsioni della norma, in particolare quella del “processo verbale” come forma di espressione della volontà alla cremazione dei soggetti legittimativi, cercando espedienti più o memo sostenibili per sottrarvisi).
3.-Così richiamato l’art. 74 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m., risulta conseguente richiamare il successivo art. 75 [1], il quale prende in considerazione una situazione che non dovrebbe aversi (almeno, se le norme fossero del tutto osservate), cioè quella per cui vi sia stata (i) inumazione, oppure (ii) tumulazione, oppure (iii) cremazione che siano avvenute senza la preventiva autorizzazione. Si fa osservare come questo art. 75 affronti l’evenienza con l’ottica principalmente “procedimentale”, tra l’altro prevedendo situazioni in cui si evidenzia come tra formazione dell’atto di morte, autorizzazioni ex citato art. 74 ed altri adempimenti propri delle registrazioni di stato civile non siano (anche se dovrebbero esserlo) sempre conseguenti, collegati, interconnessi, dando atto che non sempre vi è osservanza di tutte le disposizioni che lo dovrebbero (potremmo anche aggiungere qualche riferimento alle autorizzazioni per il trasporto dei defunti dal luogo di decesso al luogo di (a seconda dei casi) di inumazione, oppure di tumulazione, oppure di cremazione (e, in tal caso, anche quanto attiene al trasporto dell’urna cineraria in relazione alle possibili “destinazioni” delle ceneri; magari si potrebbe anche suggerire una lettura anche degli articoli da 76 ad 83 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m.).
In altre parole, l’art. 75 qui citato nulla dice su come possa aversi una situazione di “inumazione, tumulazione e (leggi: “o”) cremazione … senza autorizzazione”. Infatti, queste “situazioni” non possono avvenire se non con il concorso di una pluralità di soggetti, magari anche di soggetti chiamati a prestare unicamente attività a carattere materiale (e vi sono sempre persone che hanno, o dovrebbero avere, un ruolo di responsabilità, di vigilanza e/o di ordine).
Si tratta di situazioni che, in modo del tutto indipendenti ed autonome da quelle che sono le registrazioni amministrative proprie del servizio dello stato civile (servizio di competenza statale gestito dal comune; art. 14 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.), portano a considerare altri “risvolti”, anche sotto il profilo degli effetti.
E tra questi ultimi (effetti) non si può evitare di ricordare le previsioni del Capo II del Titolo IV del Libro II del Codice Penale, Capo rubricato, come noto, “Dei delitti contro la pietà dei defunti”, cioè gli articoli da 407 a 413 C.P.
Ora, l’art. 411 C.P., già in precedenza citato per altri aspetti, considera le ipotesi di distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere, mentre il successivo art. 412 quelle di occultamento di cadavere, dovendosi aggiungere anche un richiamo all’ulteriormente successivo art. 413 dove, in particolare al comma 2, tornano i concetti di mutilazione, occultamento o sottrazione di cadavere.


[1] D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. – Art. 75 (inumazioni, tumulazioni e cremazioni senza autorizzazione)
1. Chi ha notizia che un cadavere è stato inumato o tumulato senza l’autorizzazione dell’ufficiale dello stato civile, o è stato cremato senza l’autorizzazione del sindaco, ne deve riferire immediatamente al procuratore della Repubblica; questi, a sua volta, dà immediata comunicazione del fatto all’ufficiale dello stato civile se non è stato costui a riferirgliene. Se l’atto di morte non è stato già formato, l’ufficiale dello stato civile lo redige esclusivamente in conformità agli elementi contenuti nel decreto del tribunale dato con il procedimento di rettificazione, su istanza di persona interessata o del procuratore della Repubblica. Il decreto deve essere menzionato nell’atto e inserito negli archivi di cui all’articolo 10.

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Sereno Scolaro

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