Considerazioni sul rapporto di affinità

È noto (Cfr.: art. 78 C.C.) come il rapporto di affinità sia quel rapporto giuridico, definito quale vincolo, che intercorre tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge (dove il rapporto di parentela è regolato dagli immediatamente precedenti articoli da 74 a 77 C.C.
Si tratta di un vincolo che rinvia alla parentela non solo nella sua definizione, ma anche per le linee e gradi.
Inoltre, esso non cessa per la morte (indipendentemente che vi sia prole), salve alcune eccezioni, mentre cessa se il matrimonio sia stato dichiarato nullo (dato che questa pronuncia “azzera” l’istituto del matrimonio), anche qui con l’eccezione in materia di impedimenti al matrimonio.

Appare importante il fattore costitutivo (vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge), dal momento che attorno a questa definizione, quanto meno nel linguaggio comune, possono aversi fraintendimenti.
Aggiungiamo, incidentalmente e per una sola volta, che il termine “coniuge” va esteso alle figure considerate dall’art. 1, comma 20 L. 20 maggio 2016, n. 76, senza che occorra di seguito farne ulteriore richiamo.
Per quanto rileva sotto il profilo dell’applicazione dell’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., allorquando questa disposizione prevede la formulazione per la quale “il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari, in numerosi casi, anche se non in tutti, può essere previsto che tra i “familiari” siano da considerare anche gli affini, a volte con limitazioni di grado (meno raramente si considerano le linee di parentela).
Quando l’affinità sia connessa a rapporto di parentela per linea retta, specie quando ascendente, generalmente non vi sono problemi interpretativi da affrontare.

Più articolato il caso in cui l’affinità si abbia sulla base di una parentela in linea collaterale: il caso più tipico e quello delle/dei sorelle/fratelli del concessionario e la/il relativa/o coniuge (con l’assimilazione sopra ricordata).
In tal caso è abbastanza presente la possibilità che la persona affine del concessionario abbia a propria volta coniuge, posizione che, nel linguaggio comune, tende ad essere trattata de facto come se fosse a propria volta affine, ma il coniuge di un affine, rispetto al concessionario, non è affine.
Ora, si ipotizzi il caso del decesso di un affine coniugato, persona che, proprio per il vincolo di affinità (se il Regolamento comunale di polizia mortuaria qualifichi l’affine quale “familiare” del concessionario), ha titolo ad essere accolto nel sepolcro.
Titolo che non si estende al coniuge di questi (indipendentemente dall’ordine temporale in cui avvenga il decesso), con la conseguenza che delle due persone coniugate una (l’affine) ha titolo di essere accolto nel sepolcro, godendo della riserva quale “familiare”, mentre l’altro, in quanto non affine del concessionario, non si trova nella medesima posizione.

A parte l’ipotesi in cui queste situazioni siano considerate dal Regolamento comunale di polizia mortuaria ai fini dello ius sepulchri, situazioni che possono anche essere presenti (e.g.: con formulazioni del tipo: “… affini (entro il …. grado), nonché i loro coniugi …”), formulazioni che si hanno abbastanza raramente, ne consegue che il coniuge dell’affine non sia, né possa essere considerato “familiare”.
Se dalla famiglia del concessionario, si passa alla famiglia dell’affine (costituita da questi con relativo coniuge, ed eventuali parenti in linea retta, ascendente o discendente, potrebbe apparire aversi una sorta di “rottura”, difficilmente gestibile.
Ma, del resto, la “famiglia” del concessionario non può essere dilatata oltre misura, dato che ciò la renderebbe così estesa da non avere pressoché più una … famiglia, quanto un aggregato di persone variamente collegate da plurimi legami, adulterando anche la riserva propria dello ius sepulchri.
Il fatto è che, in queste fattispecie, potrebbe esservi la situazione per cui, all’interno della famiglia dell’affine del concessionario, alcune persone possano trovare accoglimento in un dato sepolcro e altri no.
E, per complicare la vicenda (ma serve), ipotizziamo quale posizione abbiano i figli dell’affine e suo coniuge.
Se il coniuge dell’affine (rovesciando il vincolo) sia sorella/fratello del concessionario, cioè parenti in linea collaterale di 2° grado, figli di tale coppia (quale sia il cognome) sono parenti in linea collaterale di 3° grado, i quali potrebbero, a loro volta, aver figli nel matrimonio o fuori di questo.

Oltretutto, questa conseguenza ne produce, a valle, altra, non proprio irrilevante.
Infatti, i famigliari dell’affine del concessionario, se non rientrano nella riserva statuita dall’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., godono di uno specifico diritto di sepolcro, quello denominato “secondario, consistente nella legittimazione a visitare il sepolcro, a rendere omaggi e ricordi alle persone defunte, ad esercitare preghiere e/o altre pratiche di pietas.
Si tratta di un diritto che il concessionario, né altri aventi diritto di sepolcro primario (cioè di accoglimento nel sepolcro medesimo, in quanto qualificabili quali “familiari” del concessionario) possono conculcare o limitare.
In numerose occasioni, si rilevano manufatti sepolcrali caratterizzati da spazi più o meno cultuali, delimitati con elementi di chiusura (e.g.: cancelletti, con serrature o simili) che comprensibilmente tendono a valorizzare la natura familiare del sepolcro nei confronti di terzi, ma queste non possono estendersi alle persone che siano titolari del diritto di sepolcro secondario.
Ne consegue che il concessionario, o sui aventi causa, non può rifiutare di mettere le persone aventi diritto di sepolcro secondario nelle condizioni di accesso, libero e non condizionato, a tali spazi.

Non mancano situazioni in cui vi siano stati rifiuti a mettere a disposizione e/o consegnare eventuali chiavi delle sepolture aventi queste caratteristiche, in funzione di consentire il libero esercizio del diritto di sepolcro secondario, situazioni che hanno, ahinoi, richiesto l’accesso alla giurisdizione.
Infatti, non è da escludere che tra i concessionario e i suoi familiari da un lato e le persone che godono del diritto di sepolcro secondario possano intercorrere rapporti non bonari, a volte anche nettamente conflittuali, situazioni che andrebbero non esacerbate, quanto superate, più o meno volentieri, con atteggiamenti che tengano conto del fatto che anche il diritto di sepolcro secondario è materia oggetto di tutela, dando atto, da parte di tutti, che duplicare una chiave, o più chiavi, è nettamente meno oneroso che non un’azione in sede giurisdizionale avanti al giudice ordinario, per far valere il rispetto di un diritto oggettivamente sussistente.

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Sereno Scolaro

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