- Considerazioni sui registri cimiteriali – 1/3
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L’indicazione della causa di morte
Il fatto che le autorizzazioni di cui all’art. 74 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. (e, prima di questo, dell’art. 141 R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 o, ancora prima, delle disposizioni corrispondenti del R. D. 15 novembre 1865 n. 2602) non abbiano mai avuto una definizione, normativa, circa gli elementi contenutistici, ha portato alla conseguenza che questi si siano formati per “prassi”.
Una situazione per molti versi analoga si è determinata per le registrazioni cimiteriali, dato che i relativi “modelli” sono stati il risultato di elaborazioni realizzate dalle diverse tipografie fornitrici.
Queste considerazioni sulle “prassi” è funzionale a considerare un elemento contenutistico che merita, oggi, di particolare attenzione, cioè quello della causa di morte (art. 103 T.U.LL.SS., R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m., nonché art. 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
Merita attenzione in quanto, nel passato (e a maggiore ragione quanto più vi si risalga) non si ponevano quelli che, oggi, sono le problematiche che rientrano nella tutela dei dati personali (c.d. privacy), sia che si trattasse di dati personali stricto iure, sia che si trattasse di “dati personali sensibili”, quali quelli concernenti la salute.
Per queste situazioni non sono mancate situazioni (o, forse, si dovrebbe dire che fossero altamente diffuse e presenti) in cui le “autorizzazioni” de quo, ma anche (a volte, in conseguenza) le registrazioni cimiteriali, riportassero la causa di morte.
Del resto, anche nelle schede anagrafiche individuali (mod. AP/5), nella versione 1958 (non più nella versione 1992) era esplicitamente prevista l’indicazione della causa di morte.
In materia di “dati personali sensibili” va tenuto presente che le relative disposizioni del (da ultimo) D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e s.m., siano state abrogate (D. Lgs 18 agosto 2018, n. 101), per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) [4] 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati).
Ne consegue che, per quanto riguarda i dati sensibili concernenti la salute, occorre fare riferimento all’art. 9 del sopra citato regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016 – ed, altresì, i “Considerando” (C35),(C45), (C52), (C53), (C54), (C63), (C71) e (C75) – e che l’indicazione della causa di morte non debba essere (del resto non doveva esserlo neppure nel passato …) elemento contenutistico delle registrazioni cimiteriali.
Questa conclusione potrebbe non essere “apprezzata” da alcuni, in particolare se si abbia presente l’art. 84, lett. b) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. [5].
Si tratta di una questione che, anche se possa considerarsi poco frequente (ma non per questo escludibile) potrebbe essere risolta corrispondendo con l’ASL di decesso (o, quando nota, di residenza al momento del decesso) richiedendo non tanto l’indicazione della causa di morte, ma unicamente la precisazione, in termini di dato espresso anche semplicemente in positivo od in negativo (SI/NO)[6], circa l’eventualità che la morte dia avvenuta per malattia infettiva contagiosa.
Certo, apparentemente, questa soluzione può sembrare aggiungere complessità alle procedure autorizzatorie, ma non se ne individuano alternative.
Anche l’emergenza Covid-19 ha avuto il proprio peso
La questione relativa agli elementi di contenuto delle registrazioni cimiteriali è stata, in genere poco approfondita.
Tuttavia, essa è – in parte – stata presa in considerazione recentemente dalla circolare del Ministero della salute, Dir. Gen Prev. San., n. 818 dell’11 gennaio 2021 (in realtà dovremmo citarne anche le precedenti, a partire dalla n. 11825 del 1° aprile 2020, ma qui si preferisce fare richiamo solo all’ultima “versione”), con cui (lett. D, n. 4) e 5), si prevede che – ricorrendone le condizioni – nel registro cimiteriale di cui all’art. 52 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. venga – obbligatoriamente – indicato che il feretro è stato confezionato per la sepoltura di defunto con la malattia infettiva diffusiva Covid-19, apponendo il codice “Y” (ypsilon) e che le estumulazioni o esumazioni di feretri temporanee (temporaneità riferita ad estumulazioni / esumazioni) aventi la codifica “Y”, se eseguite prima del termine di un mese successivo alla cessazione della fase emergenziale (Cfr. Punto G, n. 1 della medesima circolare) della medesima circolare), sono da effettuarsi con le procedure di salvaguardia del personale operante, dotato dei DPI adeguati alla situazione di Covuid-19, ed in orario di chiusura al pubblico del cimitero, se non siano trascorsi almeno 15 giorni dalla sepoltura.
Si ha, qui, una presa in considerazione del ruolo che possano assolvere le registrazioni cimiteriali, anche se presentano alcune caratteristiche:
a) l’obbligatorietà,
b) la limitazione alla malattia infettiva diffusiva Covid-19, senza alcuna “estensione” a altre malattie infettive diffusive comprese nell’apposito elenco ministeriale,
c) la limitazione temporale, sia per quanto riguarda l’applicabilità, sia per i termini “interni” (come i 15 giorni dalla sepoltura),
d) l’inespresso riferimento alle ordinanze del Capo del Dipartimento della Protezione Civile che hanno portato a “sepolture” temporanee.
Si osserva che l’uso della codifica “Y” è dichiaratamente temporaneo, ma non vi è cenno al fatto che la codifica, una volta utilizzata, permane, anche oltre a ai periodi per cui è stata inserita e/o rispetto a cui è finalizzata.
Non si entra nella questione dell’obbligatorietà, motivata dalla fase emergenziale, nel corso della quale si sono dovuti necessariamente seguire approcci che hanno influito su altri aspetti, abbastanza inderogabili in situazioni ordinarie, normali, inclusi quelli che attengono alla c.d. gerarchia delle fonti del diritto.
Va anche rilevata l’intelligenza (se non si trattasse di un termine della lingua italiana in disuso da circa/oltre 4 secoli, si potrebbe parlare di “versuzia”, dandone un significato in positivo) con cui si sono “aggirate”, formalmente, le norme in materia di trattamento di dati sensibili, afferenti alla salute, dato che la codifica “Y” non è collegata (anche se lo sia de facto) alla malattia infettiva diffusiva Covid-19, bensì alle modalità di confezionamento dei feretri.
Infine, va osservato come questo sia (per quanto noto) il solo caso, oltre alle indicazioni del Punto 12) della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, in cui si richiamano le registrazioni cimiteriali, anche per i loro elementi di contenuto, cosa che potrebbe aprire la strada a proposte che rispondano a più adeguati fini, anche per quanto attiene alle disposizioni dell’art. 84, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., per quanto se ne dubiti, rilevando quanto spesso le procedure coinvolte siano nel poco note al di fuori della cerchia dei c.d. “addetti ai lavori”, né si registrino attenzioni particolari in materia.
[4] – Si ricorda che i “regolamenti” dell’Unione europea sono norme di portata generale, obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri (art. 288, alinea 2 (ex art. 249 TCE) TFUE).
[5] – D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. – Art. 84.- Salvo i casi ordinati dall’autorità giudiziaria non possono essere eseguite esumazioni straordinarie:
a) </> (omissis)
b) quando trattasi della salma di persona morta di malattia infettiva contagiosa, a meno che siano già trascorsi due anni dalla morte e il coordinatore sanitario dichiari che essa può essere eseguita senza alcun pregiudizio per la salute pubblica.
[6] – Sulla possibilità di uso della formulazione “SI/NO”, per altro in tutt’altri contesti, Cfr.: Garante per la Protezione dei Dati Personali, delibera 22 luglio 2021, “Parere relativo al trattamento di dati giudiziari effettuato da privati in attuazione dei protocolli d’intesa stipulati per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata. (Provvedimento n. 284).”