Concessioni date in perpetuo: le criticità persistono … nel tempo e si aggravano

L’ammissibilità, sussistente fino al 9 febbraio 1976, del sorgere di concessioni cimiteriali in perpetuo sta sempre di più evidenziando effetti impropri e, spesso, deleteri, sia per la gestione dei cimiteri, sia per le famiglie interessate che sono “astrette” a conservare vincoli ed obblighi probabilmente neppure lontanamente immaginati al momento di richiedere concessioni cimiteriali con queste caratteristiche.
Tra l’altro non possono – ora – criticarsi le scelte a suo tempo fatte in questa direzione nelle sedi locali, dal momento che allora non vi erano elementi particolari che orientassero diversamente, in particolare quando poteva apparire che concessioni di tal fatta non pregiudicassero la gestione cimiteriale, anche per il fatto che il numero delle richieste era (inizialmente) tanto ridotto da poter essere trascurato.
Il punto è che, progressivamente, è venuta a mutare la “domanda” o, meglio, da diversa composizione degli “ingredienti” che costituivano la domanda, dapprima con una progressiva, poi divenuta anche maggioritaria, maggiore domanda di tumulazione e correlata diminuzione della tumulazione e, molto più recentemente, con un’irruenta ed accelerata crescita della cremazione che ha ulteriormente alterato, rispetto alle situazioni quo ante, le incidenza di tali ingredienti, al punto che, in molte realtà, ci si accorge, a volte con sorpresa, che sta divenendo sempre maggiormente opportuno pensare (leggi: programmare e realizzare) collocazioni cimiteriali differenti, nonché di riconvertire le destinazioni d’uso di molti manufatti presenti.

Uno dei casi più semplici era quello che vedeva l’utilizzo delle aree cimiteriali collocate nell’immediata prossimità delle recinzioni cimiteriali per destinarle alle concessioni in perpetuo, sia quando si praticasse l’inumazione, sia per la costruzione di manufatti cimiteriali a sistema di tumulazione.
Si tratta di situazioni diffuse, ma che producono ostacoli allorquando si tratti di provvedere ad un qualche ampliamento del cimitero, dato che le concessioni in perpetuo collocate lungo le recinzioni (e che in molti casi le sostituivano) non consentono di individuare varchi di collegamento tra la parte originaria del cimitero e le aree di ampliamento, non essendo possibile (o razionale) pensare a realizzare un cimitero in due (o più) blocchi di superficie distinti da costruzioni, cioè prive di collegamenti interni.
Il punto è che quando nel passato (spesso fin dal XIX sec.) sia stato dato l’avvio a concessioni in perpetuo, non vi erano le condizioni per una qualche valutazione degli effetti che si avrebbero potuto registrare nel tempo, dal momento che, nel sistema cimiteriale, gli effetti sorgono, e diventano percepibili, a distanza di tempi rilevanti, variamente valutabili in numerosi decenni e non solo per gli effetti più diretti, ma, come accennato, anche per il mutamento delle composizioni della domanda.
Ne deriva che vi sono realtà in cui le concessioni in perpetuo possono anche risultare perfino maggioritarie rispetto ad altre tipologie.

Di qui una tendenza, ancora molto “polverizzata” da situazioni molto locali, per superare, o, almeno, “stemperare” gli effetti ormai sorti e che producono, ora, fortissime criticità.
Ciò sottovaluta un fattore importante, dato dal fatto che si tratta di rapporti concessori che, al loro sorgere, erano del tutto legittimi e, per questo, da ingenerare un legittimo affidamento di bona fide, dato che ogni intervento che incida su diritti soggettivi (per quanto riducibili a interessi legittimi, in presenza di date condizioni, in primis un “pubblico interesse”), tutelabili anche iure privatorum ma unicamente nei confronti di terzi richiederebbe norma di rango primario (legge o altro atto avente forza di legge) e, trattandosi qui tipicamente di materia riferibile all’ordinamento civile, nella competenza legislativa – esclusiva – dello Stato (art. 117, comma 2, lett. l) Cost.
Ipotesi che, al momento, sembra non trovare (ancora?) proposte adeguate. Sia permesso ricordare, ex plurimis il caso di un comune (popolazione inferiore a 10.000 abitanti) che ha provveduto, previa istruttoria nelle commissioni consiliari e, quindi, in consiglio comunale, ad adottare una modifica del proprio Regolamento comunale di polizia mortuaria dichiarando estinte tutte le concessioni cimiteriali date in perpetuo estinte a partire da … 40 anni (sic!) dall’esecutività della deliberazione.
Nell’istruttoria in sede di commissione vi era stata l’unanimità, in sede di consiglio comunale il capogruppo di minoranza ha dichiarato di astenersi (astensione, non voto contrario), per il fatto che la minoranza non può supportare la maggioranza.
A richiesta di chiarimenti, è stata ottenuta la risposta: “Sappiamo che non si sarebbe potuto fare, ma tanto se ne accorgeranno tra 40 anni.”.
Si potrebbero formulare giudizi e commenti attorno ad un tale approccio, ma merita non farli.

Altrove, vi è la spasmodica ricerca di pronunce giurisprudenziali per individuare se e quanto possa affermarsi per far fronte a queste criticità, ricerca che risulta sostanzialmente abbastanza improduttiva.
Infatti, laddove si possano individuare spiragli, magari ricorrendo, o forzando, l’uso di istituti quali la revoca o la decadenza, si tratta pur sempre di esiti singolari, riferiti a questo o quel sepolcro, non certo di una soluzione massiva.
Oltretutto, con procedimenti amministrativi laboriosi, lunghi ed onerosi al punto da rendere ben poco funzionali questi interventi.
Altrove, già nel passato, era stato fatto ricorso, sempre in sede di norme regolamentari locali, a collegare alle concessioni date in perpetuo anche periodici adempimenti amministrativi, cioè a prevedere che, dopo un certo numero di decenni, le persone aventi titolo dovessero provvedere a richiedere una sorta di “rinnovo” della concessione.
Ma parlare di “rinnovo” di una concessione data in perpetuo costituisce un ossimoro, per cui questo adempimento, amministrativo, viene ad essere, comunque lo si denomini, un atto ricognitorio, confirmatorio volto a consentire la perpetuazione del rapporto in essere, in difetto del quale adempimento, amministrativo, si possono determinare effetti decadenziali.
Impostazione che può sostenersi a condizione che questo “percorso” sia stato previsto sia dal Regolamento comunale di polizia mortuaria sia, esplicitamente, indicato nel regolare atto di concessione.

All’inizio era stato osservato come le concessioni cimiteriali date in perpetuo costituiscano criticità non solo per la gestione cimiteriale, ma, altresì, per le famiglie aventi titolo.
Questo porta a considerare che, una volta sorto il rapporto di concessione, col regolare atto di concessione in cui è stato parte il c.d. fondatore del sepolcro, nel tempo che ne segua, possono esservi variazioni, quali il decesso del fondatore del sepolcro, con il subentro (istituto regolato dal Regolamento comunale di polizia mortuaria) che può vedere (a seconda della regolazione datane) la rilevanza di altri concessionari oppure la persistenza del medesimo “fondatore” in tale qualità.
Ma, in linea generale, la presa in considerazione di una pluralità di familiari, non senza considerare come alcune obbligazioni, in quanto aventi contenuto patrimoniale (ne costituisce esempio la fattispecie dell’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), coinvolge non sempre e/o non solo persone appartenenti alla famiglia del concessionario (a prescindere da quale sia la regolazione dell’istituto del subentro).
Questa pluralità di persone sconta anche il fatto che esse possono trasferirsi altrove e, per quanto possano essere anche previsti obblighi di comunicazione (e quando presenti, frequentemente inadempiuti), non sempre sono così immediatamente rintracciabili.

Per non dire che indicazioni presenti nel regolare atto di concessione possono essere ignorate dalle persone interessate, per il semplice fatto che, spesso, questo può essere soggetto a smarrimento o a conservazione (nei rari casi di diligenza) da parte di una sola delle persone interessate.
Infine, deve considerarsi anche come nelle concessioni date in perpetuo non sarebbe ammissibile (art. 86, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) provvedere ad estumulazioni (mancando in esse una “durata”) con l’effetto che, prima o poi, la capienza del sepolcro viene a saturarsi, cosa che determina, progressivamente, un tendenziale non interesse a conservare in nuovo stato il sepolcro.
È ben vero che in molte realtà vi è la tendenza a rimuovere, magari con espedienti di varia natura, questi effetti (es.: prevedendo l’ammissibilità di estumulazioni decorso un dato numero di decenni dalla tumulazione dei singoli feretri), cosa che ha senso in funzione di mantenere la funzione del sepolcro e quindi stimolare la sua conservazione nel tempo, ma ciò non toglie come, almeno in punto di diritto, si tratti di impostazioni che non avrebbero modo di utilizzarsi.
Ecco che le famiglie, ad un certo punto, vengono a non poter contare sulla fruibilità del sepolcro, mentre conservano obblighi derivanti da questo.

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Sereno Scolaro

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