In molte occasioni, in particolare nel passato, ma può anche essere che la pratica trovi ancora applicazioni, fosse/sia abbastanza diffuso il fatto di indicare nel regolare atto di concessione il nominativo della persona defunta che viene accolta nel posto feretro a sistema di tumulazione (sesso, magari anche con la formulazione: “… … esclusivamente per …”), cosicché potremmo qualificare questa tipologia come concessione nominativa oppure, anche come concessione dedicata.
Questo si presta particolarmente per le tumulazioni mono posto, ma a volte può essere presente anche relativamente a concessioni cimiteriali aventi capienze superiori, come (e.g., nelle tumulazioni in cui ci sia l’assegnazione in occasione della tumulazione del feretro di persona defunta e un secondo posto, in genere in stretta prossimità, destinato ad accogliere il coniuge superstite quando in futuro occorra.
Da un certo punto di vista questa previsione, nel regolare atto di concessione, potrebbe apparire utile, perfino “semplificatrice”, in quanto evitare di andare a compulsare il Regolamento comunale di polizia mortuaria per individuare quale sia il concessionario, oppure le persone che siano qualificate quali appartenenti alla famiglia di questi, dato che la concessione viene posta in essere, dichiaratamente come provato documentalmente fallo stesso regolare atto di concessione, con il fine, chiaro e non esposta ad interpretazioni, di quali siano le persone destinatarie del diritto d’uso di quel determinato posto feretro.
Tuttavia, non si considera come in situazioni di questo genere, allorquando venga eventualmente richiesta, prima della scadenza della concessione, l’estumulazione, questa richiesta (la richiesta in quanto tale, più che l’esecuzione dell’operazione cimiteriale richiesta) determina l’estinzione della concessione, dal momento che ne viene meno il fine per cui era sorta, con la conseguenza che si hanno le condizioni per procedere ad adottare la dichiarazione di decadenza.
L’estinzione della concessione discende dal fatto che in tal modo si altera quella che è stata la volontà del fondatore del sepolcro, quale esso sia (spesso un altro familiare, ma potrebbe anche essere altra persona che, in occasione della stipula del regolare atto di concessione, sia intervenuta, non rilevando qui le motivazioni o i titoli di legittimazione).
Questo vale sia per le concessioni a tempo determinato, così come per le concessioni risalenti che, all’epoca, siano state fatte in perpetuo, in quanto vi è una chiara ed esplicita violazione della volontà del defunto quale risultante apertis verbis dal regolare atto di concessione.
Pertanto, in tali casi non possono farsi luogo a quelle operazioni che, talora sono indicate come “estumulazioni per far posto a nuova tumulazione”, proposizione del tutto improponibile, essendo palesemente in contrasto con il disposto dell’art. 86, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (anche se vi siano disposizioni di matrice non statale che le ammettono, così come non mancano consuetudini locali in contrasto con questa disposizione) trattandosi di richieste contrastanti con la finalità di queste particolari concessioni cimiteriali.
Aldilà del dettato normativo, non si può evitare di considerare un aspetto che appare di una certa rilevanza anche sotto il profilo della gestione cimiteriale, oltre che delle possibili “aspettative” delle famiglie interessate.
Ci si riferisce al fatto che l’impostazione correttamente coerente col dettato normativo, che non può che portare alla dichiarazione di decadenza, viene a contrastare con la possibilità di un ri-uso dei sepolcri per cui sia stato formato un regolare atto di concessione anche questa formulazione (o, formulazioni, se si tiene conto anche di quelle con l’indicazione: “… esclusivamente per …”), cioè del fatto che la medesima famiglia (in questa fase, non importa più di tanto quale definizione se ne dia), qualche insieme di persone aventi dati vincoli e rapporti, in primis affettivi (il cui “peso” non va mai sottovalutato, ma, al contrario, riconosciuto e valorizzato) possa avere un “luogo” attorno a cui svolgere i riti di pietas, memoria e cordoglio e quanto altro connesso.
È una di quelle situazioni in cui la posizione della famiglia e la gestione cimiteriale si sovrappongono, coincidendo (cosa che potrebbe generalizzarsi a numerosissime, se non tutte le situazioni).
Come uscirne e rendere possibile un ri-uso dei posti feretro, cosa che porta verso una maggiore logica di cimiteri “a rotazione”, impostazione che si oppone a quella dei cimiteri “ad accumulo”, che tanti inconvenienti comporta?
Dato che la Costituzione è quello che nel diritto teutonico (se piaccia, potremmo chiamarlo “tedesco”, ma anche “germanico”) viene qualificato come “legge fondamentale”, appare utile partire da questa: all’art. 116, comma 6 Cost. ai comuni (così come ad altri “livelli di governo” (art. 114 Cost.) privi di potestà legislativa) è attribuita la potestà regolamentare … in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Si ha qui uno “strumento” che consente, modulando opportunamente il Regolamento comunale di polizia mortuaria (oltretutto “dovuto” in applicazione dell’art. 344 T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m.), di prevedere “qualche cosa”, come potrebbe essere quello di individuare una sorta di “norma di interpretazione autentica”, secondo la quale gli atti di concessione già in precedenza formati, in cui fondatore del sepolcro sia stata persona appartenente alla famiglia del defunto “nominato” (se sia stato persona terza, forse il mantenimento della “dedica” potrebbe essere anche opportunamente mantenibile) la concessione cimiteriale si intende come destinata al concessionario ed ai suoi familiari, ai sensi dell’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Conseguendo, in tal modo, quella situazione che, potrebbe ipotizzarsi, era stata nelle intenzioni del fondatore del sepolcro, anche se la modulistica usata al tempo, fornita da questa o quella tipografia, abbia avuto formulazioni testuali differenti.