Concessioni cimiteriali a tempo indeterminato: ve ne potrebbero essere?

In più occasioni è stato possibile evidenziare quanto sia diffusa e differenziata la terminologia nel settore.
Basti pensare ai termini che, qui o là, sono impiegati o d’uso per indicare i posti singoli per l’accoglimento di feretro a sistema di tumulazione, oppure quelli pluriposto, oppure, in senso più ampio, le diverse tipologie di accoglimento nei cimiteri (non diciamo “sepoltura” per il fatto che anche questo termine è soggetto a variazioni locali), tanto che, in molti casi, dovendosi affrontare situazioni locali può essere buona prassi quella di chiedere che cosa si intenda, in quella realtà, con l’uso di questa o quella parola, dal momento che riconoscere un significato, od un altro, può incidere su aspetti relativi a effetti che possano individuarsi in sede di pre-definizione di questi.
Tuttavia, vi sono aspetti terminologici che meritano un minimo di approfondimento (o, se si preferisca, chiarezza), afferendo ad elementi sostanziali.
Nel passaggio dalle disposizioni del R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 a quelle del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 – cessato il primo al 9 febbraio 1976 e in vigore il secondo al 10 febbraio 1976, data ormai abbastanza prossima al mezzo secolo – si è avuta una “cesura”, una sorta di “rottura della faglia” (mutuando l’immagine dalla geologia), tra un regime antecedente e uno susseguente (così che è del tutto ammissibile parlare di “prima” e di un “dopo”), nel senso che a partire dall’entrata in vigore del secondo (il “dopo”) le concessioni cimiteriali potevano avere unicamente una durata (1) a tempo determinato e, comunque, (2) non superiore a 99 anni.
Al contrario “prima” – e “prima” significa anche prima dell’entrata in vigore del citato R.D., essendo la medesima formulazione presente da numerosi decenni, non un secolo, ma all’incirca 7-8 – le concessioni cimiteriali potevano essere, sotto il profilo della durata, distinte tra (a) temporanee, ossia per un tempo determinato, oppure (b) perpetue.
Rispetto alle prime (tempo determinato) si osserva come non fosse presente un qualche limite temporale, come è attualmente (“dopo”), ma semplicemente si parlasse di “temporaneità”, specificandone la portata.
Per questo, non stupisce che, qui o là, siano tuttora presenti concessioni cimiteriali che appaino, con la sensibilità attuale, particolarmente lunghe.
Si tratta di situazioni considerate anche all’art. 92, comma 2 del vigente D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. che inizia con: “Le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni ….”.

L’ipotesi (b) della perpetuità in realtà non costituirebbe una durata, in senso proprio, quanto, semmai, l’assenza di una durata.
O, altrimenti, la perpetuità esclude la durata, così come esclude il tempo, avendo solamente un inizio.
E questo spiega l’inciso che caratterizza l’attuale art. 86, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., costituito dalle parole: ”… quando non si tratti di salme tumulate in sepolture private, a concessione perpetua, …”, inciso a volte poco considerato, ma importante perché comporta un’esclusione di principi di rotazione nelle sepolture e favorisce la saturazione della capienza dei sepolcri.
Sorge qui un’ulteriore considerazione, consistente nel fatto come vi possa aversi una sorta di promiscuità di sovrapposizione tra due situazioni (e termini per indicarle), nel senso che è, almeno de facto, registrata la presenza di utilizzare le parole “perpetuità” e “a tempo indeterminato” come se si trattasse di due sinonimi, tra loro fungibili.
Errore di cui è necessario chiedere venia, trattandosi di un equivoco esiziale. Infatti, nella perpetuità non vi sono limiti temporali di durata (o meglio, non vi è una durata, ma unicamente un inizio), mentre nel tempo indeterminato vi è una durata, con un inizio e (forse) una fine, solamente che manca ogni indicazione circa la fine, oppure la fine è prevista rispetto ad un qualche evento di cui, al momento iniziale, non si conosce o non è possibile indicare quando intervenga.
E in tal caso potrebbe intervenire anche (teoricamente) dopo il decorso di un tempo relativamente breve, successivo all’inizio. In altre parole, il tempo indeterminato ha in sé un concetto di durata (inizio/fine), mentre nella perpetuità manca del tutto la fine, non vi è durata.
Non si tratta di una questione meramente (e formalisticamente) terminologica, o si semplice “pulizia” nell’uso dei testi, quanto di una questione che coinvolge la sostanza.
Del tutto teoricamente (a volte la c.d. “accademia” può consentire di illustrare meglio che altrimenti le affermazioni che si formulano), si prenda in considerazione l’astratta ipotesi di una concessione cimiteriale a tempo indeterminato, nel cui atto di concessione sia previsto che essa persista “fino a che non si renda necessario l’ampliamento del cimitero, sul lato ove insista”, cioè collegandola ad un fatto (futuro, eventuale, ecc.) il cui momento risulta, al momento della stipula del regolare atto di concessione, non prevedibile, né in relazione al quando, ma neppure all’an.
Questo fa si che quando questo evento intervenga, presto o tardi che sia, sempre che intervenga, si avrebbe un’estinzione della concessione cimiteriale. Se, al contrario, la concessione cimiteriale sia stata data in perpetuo, il fatto che si verifichi, non importa quando, un tale evento, non si determinano effetti di sorta e la concessione cimiteriale data in perpetuo rimane intatta ed intangibile.
È ben vero che in alcuni Regolamenti comunali di polizia mortuaria si sono introdotte cautele per affrontare queste situazioni, come (i.e.: esigenze di pubblico interesse, od altre formulazioni), ma ciò non toglie, salvo appunto l’adozione di opportune cautele, che le concessioni cimiteriali date in perpetuo vengano a produrre, nel tempo, criticità sia dal lato della gestione cimiteriale, sia dal lato dell’usabilità delle stesse concessioni cimiteriali da parte delle famiglie, che ne risultano impedite da un uso a rotazione dei posti feretro, nonché dall’uso nel momento in cui si abbia la saturazione della capienza del sepolcro.

Nella (umanamente comprensibile) percezione delle famiglie caso per caso interessate, la perpetuità della concessione cimiteriale appare – si tratta, appunto, di una percezione, non di un dato oggettivo – come un valore, ma esso contrasta, nei fatti, con la funzione stessa delle concessioni cimiteriale, che è data dall’accoglimento dei feretri, auspicabilmente come una fase dei processi cadaverici trasformativi.
Anche sotto il profilo della persistenza nel tempo della “memoria” dei defunti, non si deve sottovalutare come i processi di lutto, anche sotto il profilo dei sentimenti personali, presenti la caratteristica di avere un andamento, a volte ad onda, che tende nel tempo ad uno sforzamento (anche se si usino espressioni del tipo: “… rimarrai per sempre nei nostri cuori … ”, “… non ti dimenticheremo mai …”, o simili), i cui tempi sono soggettivamente variabili, ma, prima o poi, si giunge ad un effetto meno presente.
Se in sepolcro siano stati accolti, a suo tempo, ascendenti lontani (es.: bisnonni, trisnonni, prozii, ecc., risalendo) con cui non vi siano stati rapporti di conoscenza, anche de relato, ecc., ma di questi defunti si abbia conoscenza per il solo fatto dell’indicazione del nome in qualche iscrizione sepolcrale, è evidente che il rapporto non è lo stesso rispetto a che si tratti del coniuge, magari defunto recentemente, o dei genitori.
Non tralasciando il fatto che gli oneri connessi alla concessione cimiteriale persistono illimitatamente.
Ora un sepolcro ha un senso se consente, oltre che la “memoria” dei defunti, anche l’utilizzabilità quando intervenga un lutto in famiglia.
Tornando al punto iniziale, non si può non osservare come “prima” non fosse stata presente una qualche ipotesi di concessioni cimiteriali a tempo indeterminato, dato che la temporaneità era esplicitamente collegata, nella sua specificazione, col tempo determinato.

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Sereno Scolaro

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