Come si può praticare la “caccia” al concessionario? – 2/2

Che fare dopo l’individuazione del momento del sorgere della concessione e del concessionario/fondatore del sepolcro ….…
Una volta che si disponga del momento in cui la concessione cimiteriale è sorta, in sostanza la sua data (anche se approssimativa) si ha (o, si dovrebbe avere) anche il nominativo del concessionario/fondatore del sepolcro, magari solo il nominativo (spesso corredato da, ormai, poco utili, titoli di varia natura), o anche il nominativo riportante non solo il prenome e cognome, ma anche il patronimico (il “di/fu (la cui indicazione è durata fino alla L. 31 ottobre 1955, n. 1064 e suo Regolamento di esecuzione, D.P.R. 2 maggio 1957, n. 432).
Non si citano i casi di eventuali concessionarie/fondatrici del sepolcro, presenza estremamente rarefatta (la c.d. “autorizzazione maritale” è stata soppresso solo nel 1923 …), sia per il diverso contesto, sia per il fatto che le donne potevano essere indicate con il (solo) cognome maritale: per altro, parità di genere a parte, la pressoché uniforme assenza di donne concessionarie facilita la “ricostruzione” delle famiglie, fortemente collegata, specie in epoche antecedenti, al cognome (fortemente allora traducibile come “nome di famiglia”).

Le ricerche anagrafiche storiche
Ipotizzando di disporre della data (per quanto, come visto, anche approssimativa) in cui la concessione sia sorta e del nominativo del fondatore del sepolcro, meglio se corredato dall’indicazione della paternità, si sono le condizioni per avviare ricerche negli archivi anagrafici, non dimenticando che, fino a una certa fase (grosso modo fino ad un paio di lustri dopo la Guerra 1914-1918), tra le registrazioni anagrafiche erano tenute anche le “cartelle di casa”, riportanti, per ciascuna abitazione, le famiglie (leggi: i capi famiglia) che l’abitavano, strumento che potrebbe rilevarsi (se ancora presenti negli archivi anagrafici) ulteriori elementi conoscitivi, qualora se ne conosca l’indirizzo.
Per altro, le ricerche anagrafiche sono oggi abbastanza difficili e non solo richiedono tempo, e pazienza, ma si scontrano anche con una certa quale perdita del know how utile, per il fatto che il personale degli uffici, ormai aduso ad utilizzare strumenti di maggiore contenuto tecnologico, non ha più le informazioni e la “curiosità” di eseguire ricerche anagrafiche “storiche”.
Non si tratta di una valutazione critica, ma semplicemente della conseguenza che quando ci si usino strumenti innovativi, rispetto al passato, è abbastanza conseguente che si perdano quelle conoscenze che, in precedenza, erano diffuse.

Le famiglie mutano
Partendo dal concessionario/fondatore del sepolcro, occorre tenere presente che le loro famiglie sono state soggette a mutamenti, spesso anche consistenti.
Ad esempio, il fondatore del sepolcro può avere avuto un numero variabile di figli, e figlie (Cfr. infra), generando “rami”, che a loro volta ne hanno generato altri, portando ad una proliferazione più o meno estesa.
Non solo, ma sia il fondatore del sepolcro sia i suoi discendenti, possono avere mutato abitazione, essersi trasferiti in altri comuni o all’estero, con la conseguenza che alla ricerche anagrafiche storiche in ambito locale possono rendersi necessarie richieste di altrettante richieste anagrafiche storiche presso altri comuni (rispetto all’estero, la cosa appare più problematica, salvi i casi, da non escludere a priori, in cui i discendenti abbiano conservato relazioni con le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero).
La richiesta di ricerche anagrafiche storiche ad altri comuni costituisce spesso un fattore defatigante, non solo perché, come insegna l’esperienza, ciò comporta tempi notevoli, sia per il fatto che anche gli altri comuni non sempre sono in grado di procedervi, proprio per quella perdita di know how cui è già stato fatto cenno, con la conseguenza che l’evasione di queste richieste non viene a porsi comuna una priorità.

E le figlie?
In precedenza, è stato fatto un rinvio alle figlie dei concessionari originari, questione che si estende nelle generazioni successive.
Infatti, non mancano situazioni in cui i singoli Regolamenti comunali i polizia mortuaria, od anche concezioni tradizionali di matrice patriarcale vedessero che le figlie (e le nipoti e così via giù giù nelle generazioni) venissero considerate, col matrimonio, quali “uscite” dalla famiglia di origine per essere “accolte” in quella maritale.
Nei casi migliori, si sono viste formulazioni, più o meno, del tenore: “… Le figlie passate a nozze conservano il diritto di sepoltura, ma non lo trasmettono al marito ed ai figli …”, come se i loro figli non fossero discendenti in linea retta dal nonno (o, bisnonno, ecc.) fondatore del sepolcro.
La questione si pone dal momento che, anche nel caso in cui il concetto di “appartenenza alla famiglia del concessionario” non fosse conservato anche per le figlie (oltretutto in tali casi queste non avrebbero (sic!😉 più diritto di accoglimento nel sepolcro familiare, lo avrebbero in quello del suocero, se questi altrettanto sia concessionario di proprio sepolcro familiare), dovendosi individuare gli “aventi titolo” sulla concessione, non è possibile prescindere dagli istituti della parentela (e dell’affinità) quali regolati dal C.C. (e non ignorando che vi possono essere anche filiazioni fuori dal matrimonio).

Gli aventi titolo
In questa sede, e fin dall’inizio, è stata utilizzata l’espressione di “aventi titolo” sulla concessione cimiteriale: questo per il fatto che si tratta di individuare le persone che, in quanto legate da vincoli, rapporti di parentele (e affinità) con il concessionario originario, si trovano in una specifica posizione soggettiva.
Tra l’altro, non andrebbe dimenticato che alcuni caratteri della concessione cimiteriale si collegano con elementi che non afferiscono all'”appartenenza alla famiglia” del concessionario, ai fini di cui (oggi) all’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (e.g.: Cfr. art. 63 stesso D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
Ma questo ultimo richiamo, porta a dover considerare come, fino all’entrata in vigore (20 settembre 1975) della L. 19 maggio 1975, n. 151, le donne maritate, quando vedove, non assumessero la qualità di eredi del marito, ma godessero di un mero diritto di usufrutto su alcuni beni afferenti all’asse ereditario.
Con ciò, in particolare in materia di concessioni cimiteriali, occorre tenere sempre presente che non sempre, né necessariamente il diritto di sepoltura e la “titolarità”, in senso ampio, della concessione coincidono, anche se questa sia la situazione, per così dire, “ideale”.

Written by:

Sereno Scolaro

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