In un dato contesto, un parroco emerito (leggi: da tempo “a riposo”) ha ritenuto di formulare l’affermazione che il cimitero locale fosse “parrocchiale”, traendone la conseguenza secondo cui il comune non aveva legittimazione ad intervenire, sottovalutando, od ignorando, come l’art. 104, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., in ciò “riprendendo” formulazioni precedenti e del tutto corrispondenti, per il quale, testualmente: “4. Le cappelle private costruite fuori dal cimitero, nonché i cimiteri particolari, preesistenti alla data di entrata in vigore del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, sono soggetti, come i cimiteri comunali, alla vigilanza dell’autorità comunale.”.
Tale disposizione è presente al Capo XXI “Sepolcri privati fuori dai cimiteri. Il termine “vigilanza” è presente altresì al precedente art. 51, comma 1, unitamente ai termini di “manutenzione” e “ordine”, per cui si può giungere alla constatazione che questi due termini non trovino applicazione ai cimiteri particolari preesistenti alla data di entrata in vigore del testo unico delle leggi sanitarie, … (per completezza l’entrata in vigore del T.U.LL.SS. è avvenuta il 24 agosto 1934).
Probabilmente, l’affermazione si fondava su una ritenuta origine (notizie acquisite accidentalmente molto dopo, danno prova della natura originariamente comunale del cimitero, così da escludere, nel caso specifico, la natura di cimitero particolare) del cimitero avvenuta in epoca di vigenza del Codex Iuris Canonici del 1917, ma dati documentali oggettivi collocano l’impianto del cimitero ben prima, ed, altresì, avvenuto per iniziativa del comune.
A parte la concretezza “storica” sull’impianto del cimitero, la distinzione porta a considerare un cimitero particolare come non solo nella titolarità di un soggetto specifico, ma anche nella sua destinazione all’accoglimento di predeterminate categorie di persone, mentre il cimitero “comunale” assolve alla propria funzione nei confronti della generalità della popolazione (più o meno, quanto attualmente riferibile all’art. 50 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
A prescindere dalla fondatezza dell’affermazione di partenza, si tratta di prendere in considerazione la questione della portata della “vigilanza” riconosciuta dal dianzi ricordato art. 104, comma 4.
Si tratta di un istituto che non può decontestualizzarsi, nel senso che non può essere isolato dal contesto del richiamato Capo XXI, portando, tra l’altro, anche a richiamare la necessaria applicazione dell’art. 102, cioè al nulla-osta che trova fondamento nella valutazione, caso per caso, circa l’appartenenza della persona defunta a quelle “predeterminate categorie di persone” cui il cimitero particolare sia destinato.
Pur con le differenze tra le due situazioni, non possono evitarsi di richiamare gli artt. 90 e 93, comma 1 stesso D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., per le situazioni di concessioni ad “enti”, per il secondo ricordando che Il diritto di uso delle sepolture private …… è riservato ….. di quelle concesse ad enti è riservato alle persone contemplate dal relativo ordinamento e dall’atto di concessione., mentre per il primo vi è la distinzione tra le tipologie di pratiche funerarie (commi 1, oppure 2) e che (comma 3) “3. Alle sepolture private di cui al presente articolo si applicano, a seconda che esse siano a sistema di tumulazione o a sistema di inumazione, le disposizioni generali stabilite dal presente regolamento sia per le tumulazioni e inumazioni, sia per le estumulazioni ed esumazioni..”
Si tratta di aspetti la cui osservanza, unitamente alla preventiva verifica del titolo di accoglimento (art. 102), riempie di contenuto la funzione di “vigilanza” attribuita all’autorità comunale.
Nello specifico caso, la questione nasceva dal fatto che il comune si trovava in prossimità di area marittima, in contesto lagunare, con conseguenti infiltrazioni sotterranee di acqua salata, cosa che non favorisce/favoriva i fisiologici processi trasformativi cadaverici, inducendo ad introdurre soluzioni, sotto il profilo del ricorso a questa o quella pratica funeraria, diverse rispetto a quelle “impostate” in sede d’impianto del cimitero.<br<
Sembra una situazione che ricorda molto da vicino, quella adottata a New Orleans, città generalmente sita sollo il livello del mare, ed interessata, specie nelle fasi di piena del Mississippi (soprattutto quando alla fase di piena del fiume concorreva il vento proveniente dal Golfo, generando un fenomeno simile a quello dell’”acqua alta” di Venezia), per cui le bare inumate nel cimitero venivano “dissepolte” e portate a galleggiare, “navigando” fino al centro della città (incluso il “French quarter”, le cui targhe di nome-strada sono in spagnolo, a memoria della presenza della Spagna (1763/1800-1803), cui gli abitanti hanno risposto realizzando, nel cimiteri, qualcosa di simile alle palafitte, cioè ergendo colonne sopra cui collocare sarcofagi in pietra, di fatto passando dalla pratica dell’inumazione alla pratica della tumulazione.
Il richiamo a New Orleans non è solo pertinente a questa situazione, ma consente di ricordare come in Louisiana le circoscrizioni amministrative non siano denominate, come in altri States, “contee”, bensì “parrocchie” (per cui vi sono le auto degli “Parish sheriff”, il ché consente di ricordare come, in passati più o meno lontani, il termine “parrocchia” non avesse il significato (o, solo questo) di circoscrizione ecclesiastica, ma di circoscrizione genericamente amministrativa, come si aveva anche in Italia, in alcuni Stati pre-Unitari, terminologia che, probabilmente, potrebbe ritrovarsi nell’equivoca affermazione da cui si è partiti inizialmente.
Si abbia – sempre – presente che vi sono termini che, nel tempo, possono essere interessati a mutamenti semantici. Di qui il contenzioso, nel caso di specie, tra le resistenze comunali a questa trasformazione nelle pratiche funerarie (anche perché i fenomeni non portavano al “disseppellimento” delle bare, ma, unicamente (per quanto non di poco conto!) alla inidoneità del terreno rispetto ai naturali processi trasformativi cadaverici), rispetto all’istanza di costituire l’originaria pratica con tumulazioni più o meno sopraelevate.
Scelta quest’ultima abbastanza legittimamente sostenibile, ma che, trattandosi di cimitero comunale, spettava al comune, incluso l’esercizio delle funzioni di “manutenzione” e di “ordine”, senza che soggetti terzi potessero avere titolo ad intervenire, prevedendo livelli di onerosità a carico delle famiglie in lutto da corrispondere a tali soggetti terzi.
Cosa che, dal punto di vista del comune, potrebbe anche essere previsione ipotizzabile, ma nel rispetto delle prescrizioni, in nessun caso derogabili, di assicurare (art. 337 T.U.LL.SS., nonché art. 49, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) un adeguato dimensionamento delle aree destinate all’inumazione quale disposto dall’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Il ché, per altro, risultava/risulta del tutto difficilmente attuabile, proprio in relazione allo stato dei luoghi e che poteva attuarsi solo con la realizzazione in altro sito del cimitero, cosa avvenuta abbastanza recentemente (meno di un quarto di secolo addietro). Tuttavia, una tale soluzione – rivolta alla generalità della popolazione – non poteva rientrare nell’ambito di iniziative di terzi, anche quando rivendicassero una titolarità documentalmente insussistente.