Chi ”seppellisce” chi? E dove? – 2/2

Alcuni approfondimenti aggiuntivi
Si inizia con affrontare questioni in qualche modo di minore rilievo, cioè il fatto che alla richiesta di traslazione di un feretro ed urna cineraria da un loculo ad altro non siano stati dati riscontri.
Ciò porta a dover ricordare gli obblighi di conclusione dei procedimenti, anche quando siano ad iniziativa di parte, nonché i possibili rimedi, per la parte in caso di inadempimento (art. 2 L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.).
Per altro, lasciando questi aspetti e tutele all’avvocato della committente, dalla nota indirizzata al sindaco, cosi come da alcuni altri elementi, parrebbe che la richiesta traslazione non sia stata accolta per un grave fraintendimento.
In ogni caso, cioè avrebbe dovuto trovare quanto meno una documentazione scritta indicante il motivo e non il mero silenzio, comunicazione da rendersi entro 30 giorni (art. 2, comma 2 citata L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.).
Si è fatto cenno ad un grave fraintendimento, in quanto sembrerebbe che non sia stato provveduto alla traslazione ipotizzando l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 84, lett. a) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. che osta a che vi siano esumazioni straordinarie (cioè da eseguire prima del decorso del turno ordinario di rotazione nei campi ad inumazione) nei mesi da maggio a settembre.
La richiesta non riguardava punto esumazioni, quanto estumulazioni per cui trovano applicazione le disposizioni degli artt. 86, 88 e 89 stesso D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
In particolare, l’art. 88 prevede, esplicitamente, “… in qualunque mese dell’anno …” e il successivo art. 89 prevede che alle estumulazioni si applicano le norme previste per le esumazioni di cui all’art. 83 (e non art. 84!), che considera anche la possibilità di traslazione in altra sepoltura.
Infatti la richiesta riguardava un feretro e un’urna cineraria (per la quale si aggiunge il richiamo all’art. 36 stesso D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.- ed art. 3, comma 1, lett. f) L. 30 marzo 2001, n. 130), entrambi accolti in loculo (nel medesimo loculo).
Quindi non solo vi è stato inadempimento, rispetto all’obbligo di conclusione del procedimento avviato con l’istanza di traslazione, ma altresì inadempimento nell’accogliere una richiesta avente fondamento e legittimazione in capo alla richiedente.

Prima di riprendere aspetti già precedentemente scorsi, si rappresenta come uno dei loculi non sia ora materialmente fruibile essendo stato utilizzato per la tumulazione di altra persona.
E, probabilmente, questa “occupazione” è la ragione o una delle ragioni, magari sopravvenuta, che ha ostato al provvedere alla traslazione richiesta.
Già inizialmente è stato dato conto che i due loculi sono riservati, anche per risultanza espressa dell’atto di concessione, ad accogliere i feretri del concessionario e famiglia di questi, previsione espressa (in piena coerenza con l’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) in termini di “riserva”, dove la riserva altro non significa se non che le persone che si trovino in una data posizione giuridica hanno titolo di accoglimento e – contemporaneamente – ne sono escluse le persone che non si trovino i tale posizione giuridica.
Oltretutto, la stessa previsione dell’atto di concessione esplicita che il diritto d’uso non possa essere oggetto (in termini di divieto) di trasferimento a terzi sia per vendita che per donazione.
A questo punto va considerato il documento autografo sopra ricordato, sollevando prima di tutto la questione se la persona ivi indicata sia stata, al momento del proprio decesso, la “moglie” del concessionario.
È già stato considerato, in proposito, che perché ciò possa considerarsi apprezzabile avrebbe dovuto accertarsi se vi fosse o meno un rapporto di coniugio aventi effetti civili.
Dato che l’estratto di Regolamento comunale di polizia mortuaria non comprende altre disposizioni (diverse da quelle riprodotte nell’estratto stesso), occorrerebbe capire quali siano le previsioni del medesimo Regolamento comunale che “definiscano” l’ambito delle persone che, a questi fini (titolo di accoglimento nel sepolcro) siano da considerarsi quali appartenenti alla famiglia del concessionario.
Per inciso, a volte i Regolamenti comunali non sono particolarmente attenti nel definire questi aspetti, a volte difettano di ogni definizione o criterio.
Sul punto, il Regolamento costituisce la fonte – esclusiva – per “riempire di contenuto” la previsione dell’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., in cui si parla di riserva al concessionario e alle persone appartenenti alla famiglia di questi. Questo è/sarebbe importante anche per comprendere se e fino a che punto possa – eventualmente – considerarsi potenzialmente applicabile una delle due situazioni considerare derogatorie dal successivo comma 2, in particolare quella che ammetterebbe, a certe condizioni, anche le persone che siano state con loro conviventi, in quanto i “loro” sono direttamente discendenti dall’individuazione delle persone appartenenti alla famiglia del concessionario.
In tal caso, occorre che la richiesta derogatoria di accoglimento provenga dai concessionari (o, qualora il concessionario/fondatore del sepolcro (nella fattispecie XY), chi sia subentrato a questi nella qualità di concessionario.
A questo punto, ritorna la questione della valutazione delle previsioni del Regolamento comunale circa la regolazione, forme, tempi e qualificazione perché vi sia l’assunzione della qualità di concessionario da parte di altre persone (coniuge, figli).

Va anche considerato come il documento autografo formato dal concessionario, per quanto avente le forme prescritte per i testamenti olografi difetti, come già rilevato, delle condizioni per trovare esecuzione.
Ma vi è un altro aspetto, che risulta di maggiore spessore, articolabile su due piani, il primo quello della sua efficacia sotto il profilo dell’atto di concessione, che vieta il trasferimento a terzi del diritto d’uso, mentre il secondo ha maggiore consistenza, nel senso che il diritto di sepolcro non è un diritto disponibile, per cui chi ne sia titolare non ha titolo ad attribuire, unilateralmente, il titolo di accoglimento a soggetti che non l’abbiano ex se per essere o il concessionario o persona appartenente alla famiglia del concessionario stesso, cosa che costituirebbe una violazione palese della “riserva”.
Ne consegue che tale documento, anche se fosse stato osservato, adempiuto quanto previsto dal C.C. per la sua eseguibilità, non può costituire titolo alcuno per legittimare l’accoglimento in un sepolcro senza che vi sia la condizione di appartenenza alla famiglia.

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Sereno Scolaro

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