Canone di manutenzione e canone per il recupero delle spese gestionali cimiteriali – 1/2

In alcuni ambienti in cui vi sia la cura ad assicurare costanza nella qualità dei servizi anche nelle fasi di evoluzione, vi è chi sta ponderando soluzioni, anche se finora poco percorse.
Una delle questioni rispetto a cui stanno emergendo attenzioni riguarda le ipotesi di prevedere l’attivazione di specifici canoni periodici di manutenzione dei manufatti sepolcrali, dato che in due contesti sono state introdotte, in una con norma di legge in altra con norma di regolamento regionale, disposizioni specifiche con le quali è stata prevista la facoltà di attivare specifici canoni aventi tale finalità, in entrambi i casi riferendosi alle concessioni date, fino a che sia stato ammissibile, in perpetuo.
Ora, tenendosi sempre debitamente presenti la regolazione tra potestà legislativa (e, di conseguenza, a valle altresì regolamentare) tra Stato e regioni, quale definita dagli art. 117, commi 2 (potestà legislativa – esclusiva – dello Stato), 3 (potestà legislativa regionale concorrente) e 4 (potestà legislativa regionale, esclusiva) Cost., salta all’occhio come queste previsioni non siano punto riconducibili né alle materie elencate al comma 2, né in quelle elencate al comma 3: se ne potrebbe, ad essere grossolani, trarre la conclusione dell’applicazione al comma 4, ma anche questa conclusione non è sostenibile, dato che ciò trascura l’art. 117, comma 6, terzo periodo Cost. in quanto si tratta, oggettivamente, di aspetti che attengono, anche qui in via esclusiva, alla potestà regolamentare di soggetti privi di potestà legislativa (comuni, provincie, città metropolitane), previsione che porta, ratio materiae, a ricordare anche l’art. 7 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.
Infatti, nella fattispecie si tratta propriamente di aspetti, e titolarità, che riguardano la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Si tratta di facoltà che, per quanto noto, sono state scarsamente utilizzate, quale ne sia la fonte legittimante cui si faccia richiamo. Va osservato come in altro contesto regionale vi sia stata una disposizione che non ha introdotto facoltà, per altro comunque autonomamente già esistenti, riconducibili all’esercizio della potestà regolamentare degli enti locali, ma ha inciso direttamente sul rapporto giuridico sottostante alle concessioni cimiteriali date, fino a che sia stato ammissibile, in perpetuo, cosa questa che sembra avere obliterato il fatto che, con essa, si è intervenuto nella materia dell’ordinamento civile, per la quale non sussiste alcuna competenza legislativa regionale concorrente, ma sussiste quella legislativa – esclusiva – dello Stato!

Il fatto di riferirsi unicamente alle concessioni cimiteriali date in perpetuità appare per altro fuorviante, dato che la questione può trovare applicazione anche a concessioni cimiteriali a tempo determinato, quale ne sia la durata, avendo alla base un fattore spesso sottovalutato.
Richiamando la disposizione dell’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (che, per quanto recente – o solo cronologicamente ultima – rispetto a norme variamente pregresse, si cita senza fare riferimento a norme antecedenti, in quanto non fa che reiterare principi costantemente presenti, quanto meno fin da epoca post-Unitaria), si ha un obbligo, che dura per l’intera durata della concessione cimiteriale, di mantenere a loro spese, …, in buono stato di conservazione i manufatti di loro proprietà, obbligo che non ha natura personale, quanto patrimoniale.
Ora, quando l’oggetto della concessione cimiteriale sia (o sia stato) quello dell’art. 90, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (o norma corrispondente antecedente), cioè la concessione di un’area (porzione di area cimiteriale; dal 10 febbraio 1976 a tal fine prevista dal piano regolatore cimiteriale) cimiteriale ai fini della costruzione, da parte del concessionario, di un manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione, l’individuazione del “manufatto” interessato al mantenimento in buono stato di conservazione appare abbastanza agevole.
Non altrettanto quando per la realizzazione del manufatto sepolcrale si siano adottati criteri diversi rispetto a quelli di un edificio isolato, ma siano state adottate soluzioni differenti, come potrebbe essere il caso di costruzioni realizzate in aderenza tra loro, oppure con impostazioni progettuali tali da aversi una pluralità di parti comuni.
Ne potrebbero essere esempio quelli di progettazioni impostate in stile di chiostri, dove parti comuni possono essere i piani di calpestio, parte dei muri esterni, il tetto, il sistema delle grondaie e dei pluviali, magari anche parti di reti di illuminazione (non votiva, ma proprio di illuminazione degli spazi di percorrenza), ecc.
Si tratta di tecniche progettuali che producono la presenza di parti comuni tra una pluralità di concessionari. Magari, in origine (es.: prima della L. 22 dicembre 1888, n. 5849, cui hanno fatto seguito/attuazione prima il R.D. 11 gennaio 1891, n. 42 e, poi, il R.D. 25 luglio 1892, n. 448.
Ma soluzioni progettuali con queste caratteristiche si sono avute anche di seguito; il rapporto sorto tra il comune e i concessionari (fondatori del sepolcro) era frequentemente non propriamente di concessione (almeno nel senso che attualmente ha questo termine), ma di vera e propria vendita o di autorizzazione ad acquistare dall’impresa incaricata della costruzione (con logiche che oggi chiameremmo di sussidiarietà, di partnernariato pubblico-privato, di finanza di progetto), quando erano ancora, in parte, presenti impostazioni patrimonialistiche sulla natura dei cimiteri, progressivamente venute meno, dapprima in ambito dottrinale e quindi giurisprudenziale.
Si sono quindi avute numerose situazioni in cui sepolcri privati nei cimiteri (Capo XVIII D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) non erano sempre e solo manufatti isolati l’uno dall’altro, ma potevano esservi, come vi sono tuttora, manufatti che presentano parti comuni (richiamando il concetto degli istituti che regolano la comunione negli edifici).
In tali casi, la presenza, tutto o in parte, di parti comuni, rendeva, e rende, meno lineare, meno semplice l’applicazione dell’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., ma comporta un qualche coinvolgimento di una pluralità di “proprietari”, tra cui, per inciso, sorge anche un vincolo di solidarietà.
La pluralità delle soluzioni progettuali riscontrabile nei cimiteri è vasta e le indicazioni precedenti sono solo alcune di queste. Ne consegue che vi sono le motivazioni affinché vi sia un soggetto che, rivestendo un ruolo assimilabile a quello dell’amministratore nel condominio negli edifici, provveda a regolare la distribuzione pro quota> degli oneri, a riscuoterne le somme e, ovviamente, a far eseguire le opere che si rendano necessarie per il mantenimento in buono stato di conservazione del manufatto o, meglio, delle parti comuni del manufatto.
Soggetto che, dopo il T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m. ed il Codice Civile, non può che individuarsi se non nel comune (o, eventualmente, se vi sia affidamento del servizio a terzi, laddove lo preveda l’atto di affidamento e il contratto di servizio, nel soggetto gestore).

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Sereno Scolaro

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