Poiché, in linea generale, il rilascio dell’autorizzazione (o, meglio, di una delle autorizzazioni) di cui all’art. 74 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. ha luogo dopo la formazione dell’atto di morte, se non altro (trascurando le prassi operative, non necessariamente incoerenti, anzi) per il fatto che tale art. 74 è collocato successivamente agli artt. 72 e73, la domanda potrebbe apparire fuori luogo.
Tuttavia, essa non solo merita di essere posta, ma ha anche una risposta positiva, anche se possa aversi in situazioni “non ordinarie”, eccezionali e fuori da ogni previsione di ordine generale, situazioni che, fortunatamente, sono infrequenti o, se lo si voglia, del tutto rare quanto marginali.
Forse, proprio la loro rarità induce a tenerle presenti.
La fattispecie è quella decritta all’art. 78 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m.:
Art. 78 (Irreperibilità o irriconoscibilità di cadavere)
1. Nel caso di morte di una o più persone senza che sia possibile rinvenirne o riconoscerne i cadaveri, il procuratore della Repubblica redige processo verbale dell’accaduto.
2. L’atto di morte viene formato con la procedura di rettificazione sulla base del decreto emesso dal tribunale.
3. La relativa azione è promossa dal procuratore della Repubblica.
Si nota subito come la fattispecie non sia una, ma due, quella dell’assenza del rinvenimento del cadavere e quella dell’assenza di riconoscibilità del cadavere.
Trascurando l’attribuzione della competenza alla verbalizzazione dell’evento (o, degli eventi) in capo al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario si è verificato, o constatato, l’evento, poniamo attenzione ai commi 2 e 3, esaurendo in primis questo ultimo, dove la legittimazione processuale è attribuita, ancora una volta, al procuratore della Repubblica, che è fisiologica (se vogliamo: correlata, oppure: discendente da questa) alla competenza in merito alla verbalizzazione di cui al comma 1.
Come visto, nell’evenienza è – esplicitamente – previsto che l’atto di morte sia formato con la procedura della rettificazione la quale comporta che il tribunale, a seguito dell’azione promossa dal procuratore della Repubblica, quale unico legittimato, come appena visto, emetta un decreto di rettificazione, che costituisce la “base” per la formazione dell’atto di morte in questi casi.
Ora, l’emanazione del decreto di rettificazione non avviene “istantaneamente”, ma richiede l’avvio della procedura (comma 3), avvio successivo alla verbalizzazione di cui al comma 1, fino alla decisione e successiva comunicazione all’ufficiale dello stato civile del luogo in cui è avvenuto l’evento (o, gli eventi).
In tali casi, l’atto di morte potrebbe anche essere carente di alcuni degli elementi contenutistici stabiliti dall’art. 73 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m., proprio in ragione dell’eccezionalità della fattispecie regolata dall’art. 78 (es.: nel caso di non riconoscibilità del cadavere ben potrebbero non essere conoscibili il nome e il cognome, il luogo e la data di nascita, la residenza e la cittadinanza del defunto, il nome e il cognome del coniuge, ecc.), dato che questo viene formato “sulla base del decreto emesso dal tribunale”.
Dal momento che la formazione dell’atto di morte con tale procedura viene a collocarsi temporalmente ben oltre i termini “normali” (anche se più o meno dilatati) per procedere alla “sepoltura”, non vi è motivo, giuridicamente parlando di differire questa in attesa di un procedimento giurisdizionale che risponde a ben altri termini procedurali.
Ovviamente, l’esigenza di una “sepoltura” non si pone qualora non sia possibile rinvenire il cadavere (o, i cadaveri), mentre diventa attuale quando il cadavere sia si rinvenuto, ma non ne sia possibile il riconoscimento.
Il termine “sepoltura” è stato, intenzionalmente, virgolettato, considerando come l’art. 74 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. consideri tre pratiche funerarie oggetto di autorizzazione, l’inumazione o distintamente la tumulazione (commi 1 e 2) e la cremazione (comma 3).
Solo che, quando non sia possibile il riconoscimento del cadavere, la terza (cremazione) diventa de facto impraticabile dal momento che senza riconoscimento del cadavere non è possibile alcun riferimento alla volontà del defunto o di persone che siano legittimate ad esprimere una volontà in proposito.
Ad analoga impraticabilità si perviene rispetto alla seconda (tumulazione) per il fatto che questa costituisce – sempre – collocazione in sepolcro privato nei cimiteri (Capo XVIII D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) e la non riconoscibilità del cadavere inibisce la possibilità di fare ricorso a questa patica funeraria (es.: valutazione della sussistenza di un qualche diritto d’uso in un dato sepolcro a sistema di tumulazione; art. 102 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
Ne consegue che, in queste fattispecie, rimane praticabile solo la prospettiva dell’autorizzazione all’inumazione e il collocamento del cadavere nei campi ad inumazione considerati dall’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., essendo, e rimanendo, questa la pratica funeraria normale, fruibile per default e che è svincolata da ogni scelta soggettiva, scelta che, non essendo riconoscibile il cadavere, nessuno può porre in essere.
È stato posto in evidenza come la “sepoltura” richieda di essere eseguita senza attendere il completamento della procedura giurisdizionale che porta alla formazione dell’atto di morte e alla effettiva formazione di tale atto, quest’ultima ulteriormente successiva, ma non si ignora come vi siano stati, anche in tempi abbastanza recenti, casi in cui il cadavere, non riconosciuto, sia rimasto conservato nelle strutture ed impianti considerati dall’art. 13 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., per il semplice fatto che l’atto di morte non era ancora stato formato (che è aspetto del tutto diverso dal “deposito per un periodo indefinito” ai fini del “riconoscimento”, cui cui alla lett. b) della norma qui citata!).
Per altro, se anche sussistesse questa ipotesi, essa sarebbe/rimarrebbe distinta, indipendente tanto dalla formazione dell’atto di morte, quanto dal procedimento di rilascio dell’autorizzazione all’inumazione.
Va ricordato come l’art. 454 C.C., sotto il profilo testuale, prevedesse che la rettificazione degli atti di stato civile si faccia in forza di una sentenza del tribunale passata in giudicato, con la quale si ordina all’ufficiale dello stato civile di rettificare un atto esistente nei registri o di ricevere un atto omesso o di rinnovare un atto smarrito o distrutto.
L’anzidetto art. 454 C.C. è stato abrogato dall’art. 110, comma 3 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m., che regola la materia al Titolo XI “Delle procedure giudiziali di rettificazione relative agli atti dello stato civile e delle correzioni”, cioè con gli articoli da 95 a 101.