Non mancano auspici per una revisione, magari anche sostanziosa, delle norme nazionali regolatrici del settore: “norme”, per comprendere quelle di rango primario – leggi ed atti normativi aventi valore (ed efficacia …) di legge – nonché, per quanto del caso, di rango secondario – regolamenti (Cfr. : artt. 3 e 4 Preleggi) – distinzione in sé chiara, ma spesso rimossa.
Si tratta di auspici che nascono dal fatto che molte delle norme di riferimento appaiono non più adeguate (non tanto in riferimento alla data di emanazione, quanto alle trasformazioni oggettivamente intervenute).
Ma anche dall’irrompere – negli ultimi 23 anni circa – di normative regionali all’origine di una disarticolazione normativa de facto, oltretutto aggravata dalla parzialità degli interventi emanati con numerose modifiche, ponendo i diversi operatori, ciascuno con le proprie specificità.
Gli auspici di unitarietà portano a visioni “nazionali”, che non possono non tenere conto della ripartizione di competenze dettata dalla Costituzione (art. 117, commi 2, 3 e 4), superando le equivocità fino a qui registrate, dato che alcune impostazioni “mescolano” bellamente competenze di livelli di governo aventi normative distinte, ma anche prevedenti collaborazione, concorso, concorrenza nei processi normativi.
Ma – questo ci pare di maggiore importanza – non basta affermare una qualche unitarietà “nazionale”, quanto proporsi di affrontare la questione di maggiore spessore, cioè il contenuto.
Dopo l’”abbuffata” iniziale di norme regionali (i cui testi risentono di una carenza di memoria in materia, venendo così esposti a “suggerimenti” di parte), comincia a farsi largo l’esigenza di norme unitarie, con progetti normativi che hanno fortemente risentito di visioni limitate, privilegiando segmenti e trascurandone altri, ridotti a poco e, comunque, con formulazioni che sembrano rispondere solo alla impossibilità di doverne farne, almeno, cenno.
Piuttosto occorre avere una visione complessiva dei diversi segmenti, cogliendo quanto sia mutato il contesto complessivo e non ignorare come alcuni modelli – anche se plurisecolari, quando importati – lo siano stati con precisa espunzione di aspetti del tutto pregnanti, risentendo di cambiamenti dei fattori originari e andando verso il loro superamento.
Inoltre, non sono ancora ben delineabili le direzioni prese, con ciò rendendo critiche le affermazioni per cui il modello attuale possa essere fatto risalire (direttamente) al noto decreto imperiale dato a Saint Cloud il 23 pratile 1804 (e, pressoché, nessuno ricorda il decreto imperiale dato – anche questo – a Saint Cloud il 18 maggio 1806 “concernant le Service dans les Eglises et les Convoi funebres ….).
Tuttavia, le prospettive di ricerca di modello differenti non dovrebbero, almeno a stretto rigore, limitarsi a trasferire “modi” presenti in altri contesti, come avvenuto per quanti si sono ispirati a Jessica Mitford in The American Way of Death, 1963 (it.: Milano, Rizzoli, 1964; non risultano – ma si può anche errare – pubblicate traduzioni dei successivi aggiornamenti).
Il riferimento a (importare?) “modelli” operanti altrove presenta una sostanziale rimozione di un aspetto fondamentale, consistente nella cultura e nelle tradizioni di una data realtà, elementi formatisi nel tempo e che avvolgono – si permetta l’espressione – l’intera popolazione, che alla fin fine risulta la reale fruitrice.
Basterebbe pensare, in termini di specificità, alle differenze che anche in Italia sono frequentemente presenti, tra le varie aree del Paese, in termini di ritualità funebre, di ricorso alle pratiche funerarie, di frequentazione dei cimiteri, ecc..
Differenze che, abbastanza recentemente (2015, 2022, 2024), ha iniziato a studiare O.R.M.E. – Osservatorio per la Ricerca sulla Morte e le Esequie – presso l’Istituto Cattaneo, da cui emergono elementi conoscitivi che non solo vedono differenziazioni per macroaree regionali, ma anche quelle tra “città” e “campagna”, nel senso di aggregati abitativi contenuti.
Sotto il profilo del contenuto occorrerebbe che vi fossero elaborazioni testuali equilibrate che tengano conto dei diversi elementi, delle diverse prospettive di evoluzione (non escludendo prospettive di indirizzamento di questa), dei mutamenti nelle diverse componenti.
Particolare attenzione andrebbe posta alle articolazioni delle “domande” da parte della popolazione, laddove “domande” è indicato al plurale visto che queste possono essere diverse tra i plurimi segmenti, mirando, per quanto umanamente possibile, ad evitare orientamenti leonini (Cfr.: art. 2265 C.C.) o quelli, spesso presenti, per cui si mira ad avvalersi dei momenti in cui sia più elevata la propensione alla spesa da parte delle famiglie, disinteressandosi totalmente dei costi che si concretizzeranno nel futuro, spesso decenni (a volte molti) dopo.
Ma poi ci si riduce a mirare a introdurre recinzioni, riserve ben poco coerenti con le norme dell’Unione europea e nella direzione inversa rispetto alla previsione dell’art. 41, comma 2 Cost.
In altre parole, il contenuto non può sottrarsi da visioni di lungo respiro e, soprattutto, con una chiara visione che va tenuta alta l’attenzione alle esigenze espresse della popolazione, nel senso delle famiglie in lutto (attuale, recente, sedimentatosi), esigenze che per altro non possono essere condizionanti (ogni scelta nel breve potrebbe presentare effetti … non previsti nel medio-lungo periodo) ma possono essere in qualche modo orientate tendendo a logiche win win.
Ragionando al contrario, come finora avvenuto e riproposto, si può originare la prospettiva o di continuare a non ottenere, oppure di ottenere unilateralmente a pro di alcuni segmenti, più vociferanti di altri, ed a scapito di altri.
Il che, oltre a costituire la prova del fallimento di irrealistiche prospettive di aggregazioni di comparto, contrasterebbe con l’esigenza di fondo di disporre di strumenti normativi unitari, pluridimensionali ed uniformi nazionalmente.
Fermo restando che taluni aspetti possono essere regolamentati localmente (a livello regionale e/o comunale), magari ipotizzando una qualche regolazione intermedia, uniformante, secondo logiche di bacini ottimali di erogazione dei servizi.
Il solo livello comunale potrebbe non essere più adeguato (e si ritiene che da tempo non lo sia più) in quanto la popolazione (si potrebbe anche usare “la gente”) non comprende differenziazioni, quantitative e/o qualitative, in ambiti territoriali limitati e sottodimensionati.
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