All’art. 30, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. si legge: “… La cassa metallica, o che racchiuda quella di legno o che sia da questa contenuta, deve essere ermeticamente chiusa mediante saldatura e tra le due casse, al fondo, deve essere interposto … ”.
Si tratta di disposizione abbastanza consolidata (era presente anche nelle norme più o meno corrispondenti, almeno dal 1° luglio 1943.
Chi abbia occasione di presenziare ad esequie, con molta probabilità (quando non sempre) non ha occasioni per vedere feretri confezionati con la cassa metallica posta all’esterno (racchiudente quella di legno), dato che questa modalità può anche essere non apprezzata, e meno gradita, dai familiari (e ciò è del tutto comprensibile da questo punto di vista), ma anche contrastata da chi appresti il servizio funebre, dal momento che la cassa di legno, quando racchiusa da quella metallica, è meno visibile, con l’effetto di renderla meno “vendibile”, cosa che riduce il prezzo che possa essere richiesto.
Effettivamente, in tale prospettiva, venendo meno la “visibilità” del feretro, può effettivamente aversi una minore ostensibilità del feretro, cosa non secondaria dal lato delle famiglie, dato che anche questo aspetto ha il proprio ruolo nelle cerimonie esequiali.
Tuttavia, se il feretro sia destinato all’inumazione (magari solo per effetto del fatto che l’obbligo della duplice cassa non può essere derogato difettando la condizione di distanza considerata dall’art. 30, comma 13 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), le operazioni non derogabili considerate dall’art. 75, comma 2 stesso D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. risulterebbero ben più agevolmente eseguibili (anche se questa disposizione è sufficientemente “aperta” a soluzioni operative, che sono state, nel tempo ed in alcune realtà, fortemente contrastate, anche ricorrendo ad (indebite, infondate) ordinanze sindacali), potendosi evitare la – temporanea – asportazione del coperchio della cassa di legno.
Se, al contrario, il feretro sia destinato alla tumulazione il fatto che la cassa metallica racchiusa quella di legno o sia da questa racchiusa, rimane del tutto non rilevante, dato che nella tumulazione anche lo stesso manufatto sepolcrale, comunque denominato, deve avere caratteristiche di impermeabilità ai liquidi ed ai gas ed essere in grado di mantenere nel tempo tali proprietà (art. 76, comma 6 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Va osservato che l’elemento estetico, dato dal fatto che la cassa di legno, frequentemente corredata da elementi di “arredo” (maniglie, piedini metallici, elementi simbolici o altri elementi), ha la propria rilevanza in occasione delle cerimonie esequiali generalmente incentrate sulla presenza del feretro, è ben comprensibile la tendenza ad una generalizzazione della prassi in cui, in sede di confezionamento del feretro, vi sia il posizionamento della cassa metallica all’interno della cassa di legno.
Non mancano casi (in quanto anche visti de facto) in cui quando debba essere interposto sul fondo tra le due casse, non sia interposto tra queste, ma anche in altre posizioni (es.: tra il corpo e la cassa più interna), come non sono mancati casi (anche questi visti …) in cui le operazioni prescritte dall’art. 75, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. siano state eseguite, in presenza dei familiari e da parte di soggetto fornitore del servizio di trasporto funebre, non del personale addetto al cimitero, utilizzando un particolare tool, generalmente non utilizzato nei cimiteri (piccone).
E, visto, che si è fatto cenno a comportamenti del tutto irrituali, non si può non sconfinare, ricordando altri episodi, come quello della persona che in occasione della prossima estumulazione del coniuge, potendosi la questione di scegliere tra il rinnovo della concessione di un loculo, oppure il collocamento del feretro in inumazione (art. 86, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), oppure richiedere la cremazione dei resti mortali, a chi rappresentava che il feretro era (= doveva essere stato confezionato con duplice cassa), abbia riferito che, al momento della sepoltura (cioè, della preventiva organizzazione del servizio funebre), le fosse stato fatto presente la possibilità di utilizzare anche la cassa metallica, premettendo che ciò avrebbe comportato un maggiore costo (per la fornitura di questo), congiuntamente all’affermazione che “tanto non serviva a nulla”.
Convinzione di buona fede in tale persona che, aggiungeva, di avere assistito ad estumulazioni di altre persone nel corso delle quali aveva costatato che la cassa metallica non era minimamente presente.
Altro esempio: fingendo di essere quisque de populo, vi è stata l’occasione di chiedere a tali soggetti per quale motivo posizionasse le viti ad una certa distanza tra loro (art. 30, comma 10, oppure art. 75, comma 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), la risposta ottenuta è stata che “le casse ce le vendono così”. Mastro Geppetto (che si chiamava in realtà: Clemente), quando (settembre 1969) mi incaricava di preparare il c.d. “invito” per le viti da utilizzare per il coperchio, mi metteva a disposizione delle veline (all’epoca non vi erano le fotocopiatrici e le copie venivano realizzate con veline in carta riso, dattiloscritte con carta carbone (da cui l’attuale: c.c. (carbon copy)) ottenendo anche 7-8 esemplari) col testo (si trattava del R. D. 21 dicembre 1942, n. 1880) in cui erano indicate le distanze, da misurare con cura, attenzione e, soprattutto, precisione.
Con questi episodi si giunge a dover considerare come sia di particolare importanza che chi presta il servizio funebre abbia sufficiente conoscenza delle prestazioni che deve assicurare, in termini ordinari, per giungere ad un coerente confezionamento dei feretri.
Cosa che assume ancora maggiore rilievo laddove la verifica della regolarità di confezionamento del feretro non sia più accolta da organi con una certa preparazione tecnica in materia, bensì rimessa allo stesso soggetto che procede all’esecuzione.
In molti contesti, questo è da tempo una realtà, la quale richiede non sono la conoscenza e le abilità proprie della specifica attività, ma anche la conoscenza delle norme (anche come norme di standard, non solo quelle “giuridiche”) specifiche.
Troppe volte, questa formazione o non è presente, o non adeguata (in pochi casi, perfino eccedente), per cui una “linea” di uniformità potrebbe essere quella di approfondire lo standard CEN EN UNI 15017:2019 (per l’Italia, in vigore dal 7/11/2019, senza citare il suo antecedente): all’incirca un semestre addietro è stato emanato un atto amministrativo in materia di formazione professionale nel settore, che si discostava, abbastanza nettamente, dalle previsioni in materia del sopra indicato standard.
Si tratta di situazioni che non favoriscono la crescita (almeno verso un “minimo” degno di questo nome) nella qualità delle prestazioni di servizio, in termini di dignitosa qualificazione imprenditoriale.