Approfondire profondamente

L’art. 82, commi 2 e 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. riguarda le situazioni che possono rilevarsi in sede di esumazione, una volta decorso il turno ordinario di rotazione decennale.
Mentre al comma 1 si prevede che le fosse, una volta liberate dai resti del feretro, vadano utilizzate per nuove inumazioni.
La questione, su cui si fondano le disposizioni dei commi 2 e 3 di cui sopra, è quella se il turno ordinario di rotazione decennale sia funzionale a far sì che si completino i processi trasformativi cadaverici, oppure sia da prolungarlo o, quando del caso, anche abbreviarlo.
Una delle criticità, che si hanno dal punto di vista gestionale nei cimiteri, è la possibilità (e l’incidenza) del reperimento di quelli che, un tempo, di chiamavano inconsunti, termine che sarebbe preferibile sostituire con quello di resti mortali, alla luce della definizione dell’art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 285 (anche se innegabilmente l’antico “inconsunti” sia più breve), cioè la situazione in cui non si sia ottenuta la completa mineralizzazione dei cadaveri, o – altrimenti – quando i fenomeni trasformativi cadaverici abbiano determinato fattori conservativi.

Una delle componenti che possono influire è – anche – la composizione litologica del terreno, nonché la sua umidità: non a caso, infatti, l’art. 57 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. dispone per alcune caratteristiche, in particolare ai commi 5, 6 e 7.
Quest’ultimo richiede che la falda (in piena o comunque col più alto livello della zona di assorbimento capillare ) debba trovarsi almeno a distanza di metri 0,50 dal fondo della fossa per inumazione.
Di qui la connessione con l’art. 72 è diretta, dato che questo (comma 1) prevede che le fosse devono avere una profondità non inferiore a metri 2 … (per inciso il successivo art. 73, nel considerare le fosse per l’inumazione di bambini, prevede una profondità di 1,50 m.).
Collegando l’art. 57, comma 7 con l’art. 72, comma 1, si potrebbe che la falda debba trovarsi ad almeno 2,50 m. (ma questa è aritmetica astratta e sterile, dato che le realtà dei terreni possono essere variamente diverse).
Ora è stato visto un testo che prevede come, tra il piano di campagna e la parte superiore del feretro, sia interposto uno strato di terreno non inferiore a una certa misura (poniamo, 50 o 70 cm), indicazione che non interviene minimamente sulla profondità delle fosse.
Sempre ricorrendo ad un’inutile esercizio di aritmetica si possono raggiungere altri risultati. Dato che anche le altezze dei feretri possono essere non uniformi, si userà l’altezza dell’ingombro libero interno per i loculi indicata al Punto 13.2), 1° periodo della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, dato che se questa è l’altezza considerata adatta per l’accoglimento di un feretro, è probabile che i feretri non la superino.
Ne consegue che, per assicurare almeno quello strato di terreno, la profondità della fossa verrebbe ad essere quella della somma tra lo strato e l’altezza del feretro, cioè 1,20 o 1,40 cm, a seconda che lo strato abbia una misura o altra.
In altri termini si incide sulla profondità delle fosse in via traslata, non parlando proprio di profondità.

Sperimentare?
Quanto precede, in particolare il richiamo all’art. 82, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., portano ad esaminare se la profondità di una fossa (gli attuali 2 m) possa considerarsi congrua con la finalità (completa mineralizzazione dei cadaveri), oppure se non meriti, per quanto de iure condendo, un qualche ripensamento.
Ma, per questo, occorrerebbe anche immaginare la possibilità di eseguire sperimentazioni, magari sulla base di “sensazioni” per cui un profondità minore, in quanto (si auspica) più lontana dalla falda e maggiormente esposta ad aerazioni, possa agevolare i normali processi trasformativi cadaverici (senza i contro-effetti conservativi).
Non va, comunque, dimenticato che i terreni dei cimiteri sono tutt’altro che uniformi (e a volte richiederebbero interventi opportuni, non sempre agevolmente realizzabili), per cui ogni ipotesi di sperimentazione meriterebbe di essere “spalmata” su più comuni, magari distinguendo da quelli di bassa pianura, di pianura, di prima collina e così via fino a comuni di area montana.
La sperimentazione potrebbe avvenire (e.g.) per singole file, ma probabilmente la modalità più snella potrebbe essere quella di prevederla per anni (d’inumazione), meglio ancora se sub-articolata per trimestri, così potendosi avere anche una qualche, per quanto grossolana, differenziazione stagionale: in tal modo, quando si procederà, completato il turno di rotazione decennale (e, in molte realtà le esumazioni non sono eseguite “esattamente” dopo il decorso di questo termine), sarà possibile acquisire elementi conoscitivi sugli effetti del ricorso ad una profondità delle fosse ad inumazione diversa.
Si potrà obiettare che una tale ipotesi richiede periodi di una certa lunghezza per acquisire elementi di conoscenza utili, a questo punto, in un futuro.<br<
Ciò è, peraltro, del tutto fisiologico perché i processi trasformativi cadaverici non possono essere studiati attraverso simulazioni di laboratorio.
Una simulazione di tal fatta è stata realizzata, utilizzando carcasse di dati animali, per studiare il tema della tumulazione aerata, anche se purtroppo i risultati ottenuti non sono stati particolarmente diffusi, né hanno portato ad adottare disposizioni nazionali in materia.
Ma l’ipotesi proposta pare anche di lieve, se non nullo, onere sotto il profilo gestionale cimiteriale.
Probabilmente, il solo elemento da valutare potrebbe essere quello dell’indicazione del soggetto cui spetti proporre, suggerire, forse autorizzare, una tale sperimentazione, meglio se abbastanza diffusa (proprio per tenere conto delle diverse caratteristiche dei terreni).
L’Accademia del cimento (sembra inizialmente si chiamasse Accademia delle esperienze), istituita nel 1657, aveva come motto: “Provando e riprovando”.

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Sereno Scolaro

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