Un’interessante pronuncia in materia si è avuta con il dictum del Consiglio di Stato, Sez. V, 15 luglio 2021, n. 5333, per cui, premessa “… una breve considerazione sulla natura ancipite dello ius sepulchri, nel senso che, da un canto, lo stesso ha consistenza di diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, in quanto, originando da una concessione traslativa, crea nel soggetto privato concessionario un diritto soggettivo di natura reale, assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di possesso e soprattutto di trasmissione sia “inter vivos” che per via di successione “mortis causa” (separatamente – è ovvio – dalla proprietà del suolo, come precisa l’art. 952, comma 2, Cod. civ.), e come tale opponibile agli altri privati.
Ciò comporta che, nei rapporti iure privatorum, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali di godimento.
D’altro canto, inerendo tale facoltà un manufatto costruito su suolo demaniale, lo ius sepulchri vede concorrere anche posizioni di interesse legittimo nei confronti dell’amministrazione, nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero impongano o consiglino all’amministrazione l’adozione di particolari regole procedimentali o sostanziali (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 26 giugno 2012, n. 3739).
Detto in altri termini, dalla concessione amministrativa del terreno demaniale destinato ad area cimiteriale al fine di edificazione di una tomba deriva, in capo al concessionario, un diritto di natura reale sul bene (il c.d. diritto di sepolcro), la cui manifestazione è costituita prima dalla edificazione, poi dalla sepoltura.
Tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente personale del titolare, è, dal punto di vista privatistico, disponibile da parte di quest’ultimo, che può, pertanto, legittimamente trasferirlo a terzi, ovvero associarli nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei rapporti con l’ente concedente, il quale può revocare la concessione soltanto per interesse pubblico, ma non anche contestare le modalità di esercizio del diritto “de quo”, che restano libere e riservate all’autonomia privata (Cass., II, 20 agosto 2019, n. 21489).
La pronuncia prosegue affermando: “… Ciò non esime peraltro il Collegio dal valutare se ed in che misura la cessione del diritto al sepolcro produca effetti nei confronti dell’amministrazione concedente, approfondimento tanto più necessario nella considerazione che la giurisprudenza della Sezione, da ultimo, con riguardo proprio alle cessioni che hanno interessato i cimiteri di …, ha qualificato le stesse alla stregua di voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente Comune, pervenendo dunque alla soluzione che la cessione diretta non autorizzata dal concedente del manufatto funerario costituisca inadempienza agli obblighi che gravano sul concessionario, e comporti che l’amministrazione concedente adotti nei suoi confronti un provvedimento di decadenza, consentito in qualunque momento perché di natura dichiarativa (in termini, tra le varie, Cons. Stato, V, 1 febbraio 2021, n. 935).
Ritiene il Collegio che, proprio alla stregua della ricostruzione sistematica precedentemente esposta, tale indirizzo non sia condivisibile con riguardo alla ritenuta legittimità della sanzione della revoca decadenziale, e la questione giuridica meriti. re melius perpensa, il differente approdo interpretativo prima proposto, peraltro in sintonia anche con la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione.
Ciò ribadito, rimane peraltro aperto il problema della effettualità (produzione di effetti) della cessione dello ius sepulchri (inteso come manufatto) nei confronti dell’amministrazione, tema sul quale, in ragione della natura ancipite del medesimo, appare coerente la soluzione negativa.
Più propriamente, la vicenda traslativa tra privati del diritto di sepolcro pone in evidenza una condizione di inefficacia relativa, melius di inopponibilità (della cessione) nei confronti del Comune allorché non ne sia stata acquisita l’autorizzazione.
Il corollario di tale soluzione è che la cessione del sepolcro non autorizzata dall’amministrazione produce effetti solo tra le parti, mentre nei confronti del Comune rimane titolare della concessione demaniale, ed al contempo responsabile (nei confronti dell’amministrazione stessa, ma anche dell’avente causa), l’originario concessionario.
Però la cessione non autorizzata del manufatto funebre non legittima l’adozione della revoca e/o della decadenza della concessione, non solo per la ragione che non ne ricorrono gli specifici presupposti normativi, ma anche perché non può postularsi un divieto assoluto di cessione tra privati idoneo a comprimere l’autonomia negoziale, dovendosi pertanto interpretare la previsione del “divieto di cessione tra privati” di cui all’art. 53 del regolamento comunale di polizia mortuaria come riferito alla concessione amministrativa, e dunque alla sua volturazione in favore di un diverso concessionario, che richiederebbe l’autorizzazione, o comunque un analogo atto permissivo dell’autorità concedente, e che, anzi, probabilmente, alla stregua del regolamento del Comune di …, non sarebbe proprio consentita, imponendosi piuttosto una nuova concessione mediante procedimento di evidenza pubblica (art. 51 del regolamento n. 11 del 2006).”.
In proposito va anche considerato come gli indirizzi giurisprudenziali in materia di concessioni perpetue si stiano evolvendo, anche se non possa parlarsi di linee ermeneutiche consolidate, mentre è ormai consolidato l’indirizzo per cui anche le concessioni, rilasciate in perpetuità, siano soggette alle previsioni dei Regolamenti comunali in atto vigenti, quanto meno considerandosi che se così non fosse vi sarebbe un vulnus, neppure di poco conto, sull’esercizio della potestà regolamentare di cui i comuni sono titolari.
Il caso delle concessioni d’uso su manufatti sepolcrali costruiti dal comune
È già stato, in precedenza, ricordato come non sia mai stata presente, sia nel tempo che attualmente, alcuna disposizione che considerasse, o consideri, la possibilità che sia il comune a costruire (o, avere costruito) manufatti sepolcrali a sistema di tumulazione, ma altresì che si tratta di situazioni ormai molto diffuse.
L’assenza di norme che prendano in considerazione questa fattispecie non comporta, per altro, che essa sia indebita, ma rientra nelle scelte di programmazione cimiteriale dei singoli comuni. L’elemento da considerare, in relazione a quanto precede consiste nel fatto che in questi casi è del tutto diverso l’”oggetto” della concessione, dato che non è più quello considerato dall’art. 90 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., bensì il mero diritto d’uso di uno o più posti feretro.
Da ciò consegue che quanto in precedenza affrontato non possa trovare applicazione e, secondo noi, neppure ha più significato richiamarsi ad un’ultronea citazione, in relazione all’epoca in cui queste concessioni perpetue sono sorte, del sopra ricordato art. 71 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880.
Infatti, nella fattispecie non vi è diritto di superficie, o “proprietà superficiaria” o altro, ma – unicamente – il diritto d’uso (regolato dall’art. 93 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. nonché dal Regolamento comunale i polizia mortuaria e dall’atto di concessione) di uno o più posti feretro, costruiti dal comune e di proprietà di questo. Lo scenario è totalmente differente.