Ancora sulle concessioni cimiteriali perpetue – 1/2

Appare utile riprendere una questione specifica, quella delle concessioni cimiteriali perpetue, fino a che siano state ammissibili, ed il loro “trattamento” attuale.
È cosa notoria come dal 10 febbraio 1976 (D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803) le concessioni cimiteriali possano essere unicamente a tempo determinato e nella durata massima di 99 anni.
Ciò dato, merita di precisarsi come oggetto precipuo siano le concessioni cimiteriali considerate, oggi (non occorre richiamare la norma antecedente ad essa corrispondente), dall’art. 90 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., cioè le concessioni di aree cimiteriali ai fini della costruzione, da parte del concessionario, di un manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione (per il momento, trascuriamo la fattispecie presente al comma 2, salvo che per segnalare che anche qui vi è concessione di area).
Ovviamente, il fine della costruzione del sepolcro è un fine, per così dire, intermedio rispetto ad altro, nel senso che il fine ultimo è quello dell’accoglimento in esso dei feretri delle persone aventine titolo.
Da quest’indicazione, consegue come nell’intera normativa in proposito, a partire dall’epoca pre-Unitaria, non sia mai stata presa in considerazione l’ipotesi, ormai molto diffusa, in cui “oggetto” della concessione cimiteriale fosse non tanto l’area (col fine visto), quanto il diritto d’uso di posti feretro su manufatti sepolcrali costruiti dal comune.
In altre parole, la concessione dell’area fa sorgere in capo al concessionario un rapporto assimilabile a quello del diritto di superficie, mentre il manufatto sepolcrale erettovi, per la durata della concessione (e, nel caso di pregresse concessioni in perpetuità, a tempo indeterminato), in quanto costruito dal concessionario, è di proprietà dello stesso, o dei suoi aventi causa; non è casuale che l’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. usi, per l’appunto, il termine di proprietà.

Inoltre, l’attuale impianto normativo non ammette più l’ipotesi, precedentemente espressa nell’art. 71 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880, che prevedeva:
“””Art. 71.- [I] Il diritto di uso delle sepolture private è riservato alla persona del concessionario e a quelle della propria famiglia ovvero alle persone regolarmente iscritte all’ente concessionario.
[II] Il diritto di uso di cui al comma precedente, sia totalmente che parzialmente, può essere ceduto ovvero trasmesso, tanto per atto tra i vivi quanto per atto di ultima volontà, a terzi, salvo che la cedibilità o la trasmissibilità, in tutto o in parte, non sia incompatibile con il carattere del sepolcro secondo il diritto civile, e sempre che i regolamenti comunali ed i singoli atti di concessione non dispongano altrimenti.
[III] La cessione o trasmissione lascia inalterati gli obblighi imposti dal comune all’originario titolare della concessione.
[IV] In ogni caso, ove sussistano ragioni di pubblico interesse, il comune può non riconoscere come nuovo concessionario l’avente causa del titolare della concessione. A tal fine gli interessati devono preventivamente notificare ogni atto di cessione o trasmissione al comune, il quale, entro il termine perentorio di un mese, potrà dichiarare il proprio voto alla cessione o alla trasmissione.”””.
In particolare, si richiama l’attenzione sul fatto che il comma 1 non si discosta, nella sostanza, dalla previsione dell’attuale art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., mentre i commi 2 e 3 (in parte anche comma 4, collegato alla previsione del comma 2) costituiscono previsioni oggi non più ammissibili, per elementare fatto che del disposizioni successive corrispondenti proprio non considerano ulteriormente questa fattispecie.

La portata di queste disposizioni, quando vigenti, è la seguente.
Il citato comma 2 ammetteva la cedibilità, o trasmissibilità, del diritto di sepolcro di cui al comma precedente, sia in tutto che in parte, anche per atto intra vivos oppure mortis causa, possibilità, per così dire, attenuata da una (eventuale) incompatibilità rispetto al carattere del sepolcro secondo il diritto civile, e sempre che i regolamenti comunali ed i singoli atti di concessione non dispongano altrimenti (e.s.: escludendo tale ammissibilità).
Si tratta di condizioni che importano un atto di riconoscimento (a volte denominato: “autorizzazione”, ma non è questione di termini) in applicazione del comma 4.
È importante, a questo punto, richiamare il comma 3, dal momento che la cessione, o trasmissione del diritto d’uso lascia inalterati gli obblighi imposti dal comune all’originario titolare della concessione.
La previsione va collegata al precedente art. 70 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880
“”” Art. 70.- [I] (omissis)
[II] Con l’atto della concessione, il comune può imporre al concessionario determinati obblighi, tra cui quello di costruire la sepoltura entro un tempo determinato pena la decadenza della concessione.
[III] Non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro o di speculazione. “””
ma altresì al successivo art. 93, che non si riporta, in quanto disposizione del tutto corrispondente all’attuale art, 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.

Si potrebbe osservare che il comma 3 sia incongruo, dal momento che con la cessione, o trasmissione, il concessionario originario sembrerebbe (salvo il caso della trasmissione mortis causa) cedere o trasmettere il sepolcro (ma si veda infra) ad altri e quindi sottrarsi alla sua titolarità sulla concessione o del manufatto sepolcrale.
In realtà, il comma 2 non considera il sepolcro (inteso come manufatto, di proprietà), bensì il diritto d’uso del sepolcro.

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Sereno Scolaro

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