Qualche lettrice/lettore si è chiesto per quale motivo, in un precedente intervento, si sia introdotta l’aspettativa di riconoscere, di qualificare i servizi cimiteriali riconoscendone la sostanziale natura di “servizi pubblici locali a rete”, domanda del tutto legittima da porre.
Si tratta di una domanda che sorge da una visione per cui il concetto di “rete” è colto con maggiore immediatezza in senso strutturale, fisico, cioè come servizi che richiedono collegamenti attraverso tubature, cavi e simili, cioè interconnessioni sostanzialmente fisiche.
Quest’impostazione non tiene conto del fatto che in alcuni casi la “rete” non sempre è esclusivamente strutturale, ma può anche essere funzionale nel senso che vengono prese in considerazione le funzioni.
Per rendere maggiormente chiara questa seconda impostazione, è possibile ricorrere all’esempio, anche diffuso, dei comuni che, per più ragioni, a volte anche storiche o di struttura territoriale, dispongono di una pluralità di cimiteri.
In molti casi in cui si abbia questa situazione, in genere uno dei cimiteri è principale, intendendosi con questo termine i cimiteri posti a servizio di un ambito territoriale, e di popolazione, di una certa importanza, per questo in genere anche di una certa rilevante dimensione superficiaria e, per questo, attrezzati e dotati di quanto possa essere necessario per un gran numero di “sepolture”.
In una tale situazione è prevedibile che presso il cimitero così principale vi possano essere uffici, spogliatoi e docce per il personale, garages, magazzini per attrezzature e materiali, ecc. (art. 59, lett. c) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) e che il personale, e attrezzature e/o mezzi che siano, caso per caso necessari, vengano trasferiti in altri cimiteri allorquando si debba procedere a “sepolture” in questi, con un’ottica di servizio sull’intero territorio comunale, a prescindere dalla dimensione dei diversi cimiteri (e loro “frequenze” di utilizzo nel corso dell’anno).
Sarebbe improprio disporre e mantenere determinate attrezzature in cimiteri in cui il numero annuo di “sepolture” sia decisamente ridotto. In alcuni casi, vi possono essere anche più cimiteri cui, a prescindere dalle dimensioni, possano essere considerati quali, più o meno, principali.
Queste modalità organizzative sembrano confliggere con alcune disposizioni normative, quali quella dell’art. 64,comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., per cui “Ogni cimitero deve avere una camera mortuaria per l’eventuale sosta dei feretri prima di seppellimento”.
Si tratta di un’irrazionalità di fatto (si pensi ai cimiteri decisamente “minori”), cui unicamente la regione Emilia-Romagna (art. 4, comma 5 L. R. – Emilia-Romagna – 29 luglio 2004, n. 19) risulta avere presa cognizione, col precedere che la camera mortuaria debba essere allestito in ogni comune, in uno dei cimiteri del comune.
In situazioni di tal fatta il servizio viene assicurato come un servizio unitario, al di là di dove siano presenti le strutture a ciò necessarie.
Si tratta di una logica che può essere estesa sul territorio di più comuni, cioè attraverso l’individuazione di ambiti territoriali sia ricorrendo alle diverse “forme associative” (artt. 30 e ss. T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.), sia avendo presente quegli indirizzi, incentivanti le aggregazioni, enunciati all’art. 5 D. Lgs. 23 dicembre 2022, n. 201 e s.m., non solo considerando il comma 1, ma anche il comma 2 e, soprattutto, le finalità cui queste disposizioni mirino.
In tal modo diviene realistico impostare la gestione del servizio con ottiche di scala che non portano solo alle relative economie, ma anche consentire una programmazione territoriale delle diverse tipologie di “sepoltura” con un quadro di riferimento che, per la maggiore ampiezza dell’ambito territoriale meglio si presta alla programmazione e alla valutazione delle modifiche che intervengono nelle differenti componenti della “domanda”.
Cosa di particolare rilievo, in una fase in cui queste ultime modifiche hanno registrato variazioni repentine, rispetto alle attese razionalmente stimabili nel passato, da far ritenere non più rispondente ai bisogni della società quelle programmazioni; cosa che può portare alcuni a parlare di un modello cimiteriale in fase di crescente inadeguatezza.
Va osservato che queste ipotesi implicherebbero anche un mutamento adeguata della normativa di settore, orientata da visioni complessive rispondenti a istanze generali, senza separazioni tra le diverse componenti del settore funerario (attività funebre, cimiteri, cremazione, illuminazione votiva), tutte da mantenere in equilibrio, cosa che porta anche a far sorgere la necessità di individuare una specifica, specializzata autorità di regolazione di questi servizi, in modo da assicurare uniformità e coerenze su base nazionale.
Le persone che accedono ai servizi hanno sempre difficoltà quando si trovino di fronte a situazioni parcellizzate, frantumate da Regolamenti dei singoli comuni e non si capacitano di come un uno valgano alcune regole, in altro altre e molte situazioni siano oggetto di regole non solo differenti, ma anche prive di comunicazioni tra loro (quando no proprio “incomunicabili”).
Ovviamente tutto ciò richiede una norma legislativa in ambito nazionale, magari precedente un qualche comitato tecnico (lo si chiami come si voglia) che individui le linee per una riscrittura delle norme di rango secondario, sia in ambito nazionale, sia negli ambiti regionali, sia negli ambiti comunali, volti a fare un minimo di uniformità sostanziale alla materia.
Non si può pensare che questi processi possano essere portati avanti a tempi brevi, ma neppure partire dalle difficoltà per trarne motivo di abbandonare l’esigenza di percorrere strade che possano portare a superare le criticità che si registrano e stanno, con sempre maggiore evidenza, emergendo e che lasciano percepire la fine di un modello, ormai quasi bicentenario, che non risponde più ai bisogni, e sentimenti, della società italiana.
È importante immaginare (e, poi, realizzare) soluzioni innovative, adeguate all’oggi e, per quanto possibile, proiettate ragionevolmente nel futuro.