Andando a consultare i dati, espressi in percentuale sul totale dei defunti, delle cremazioni effettuate su base nazionale risultano e considerando non tanto i dati per singoli anni, ma unicamente per decenni, si individuano i seguenti valori: 2002 = 6,94%; 2012 = 16,62%; 2022 = 36,43%.
Si tratta di valori che segnalano un trend di netta crescita e che porta, allo stato, a valutare come la pratica funeraria della cremazione sia divenuta ormai la seconda tra le tre pratiche funerarie e lascia ipotizzare che abbastanza a breve divenga la prima.
A ciò va aggiunta la considerazione che si tratta di dati viziati dalla logica della “media”, in quanto il dato nazionale offusca come in diverse realtà, prevalentemente città di gradi dimensioni e geograficamente localizzate, il valore medio nazionale sia tendenzialmente prossimo alla metà e l’accesso alla cremazione rappresenti, al di là del dato numerico, la prima pratica funeraria cui le famiglie si indirizzino.
Si tratta di fenomeno (o, fenomeni?) che influenzano la “domanda” di servizi cimiteriali, in particolare sulla composizione degli “ingredienti” che la compongono, dato che l’inumazione richiede risposte in termini superficiari, la tumulazione in termini volumetrici, così come la cremazione, ma questa con volumi ben differenti.
Utilizzando i valori dimensionali indicati per le nuove costruzioni dal Punto 13.2) della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993 (anche se in una regione siano stati adottati altre indicazioni, per quanto abbastanza prossime) la tumulazione di feretri richiede un volume, in termini di spazio libero interno, di 1,18 m3, mentre la nicchia cineraria richiede 0,045 m3, con un rapporto di 1/26.
Ovviamente, si tratta di computi del tutto fatui, non tenendo conto che i diversi “contenitori” hanno dimensioni esterne che coportano spazi interstiziali.
Ma a questo fattore andrebbe aggiunto il fatto che, nella cremazione, la tumulazione delle urne cinerarie è solo una tra le possibili “destinazioni” delle stesse, essendo ammesse anche la dispersione delle ceneri e l’affidamento delle urne cinerarie ai familiari, “destinazioni” che riducono la domanda di nicchie cinerarie (che, per inciso, potrebbero trovare allocazione in manufatti a sistema di tumulazione originariamente realizzati unicamente per accogliere feretri e/o, eventualmente, cassette ossario).
Il 23 ottobre 2023 la So.Crem. di Torino ha solennizzato i 140 anni dalla propria fondazione, ma si ritiene che le motivazioni che hanno, allora, indotto alla sua fondazione non fossero quelli che portano oggi le famiglie ad accedere a tale pratica funeraria.
Si potrebbe ricordare come Giuseppe Garibaldi, deceduto l’anno precedente (1882), avesse espresso una precisa volontà cremazionista, anche con dettagli, fin troppo dettagliati, sul luogo e sulle tipologie di essenze vegetali da impiegare, come risulta da una lettera del 27/9/1877:
”Mio Carissimo,
Voi gentilmente vi incaricate della cremazione del mio cadavere: ve ne sono grato. Sulla strada che da questa casa conduce verso tramontana alla marina, alla distanza di 300 passi a sinistra vi é una depressione di terreno limitata da un muro.
Su quel canto si formerà una catasta di legno di due metri, con legna di acacia, lentisco, mirto ed altre legna aromatiche. Sulla catasta si poserà un lettino di ferro, e su questo la bara scoperta, con dentro gli avanzi adorni della camicia rossa.
Un pugno di cenere sarà conservato in un’urna qualunque, e questa dovrà essere posta nel sepolcreto, che conserva le ceneri delle mie bambine Rosa e Annita.
Vostro sempre
G. Garibaldi”
Non rileva, a distanza di tempo, indagare le motivazioni per cui questa volontà non è stata attuata, bastando considerare come, per numerosi decenni, l’istanza alla cremazione trovasse ragioni in orientamenti culturali (meriterebbe scriversi con l’iniziale maiuscola) di alto valore morale che si contrapponevano ad altri orientamenti valoriali, altrettanto degni di rispetto, contrapposizione che, lentamente, è venuta a sfumare, lasciando spazio a motivazioni decisamente molto meno “ideali”.
Se all’inizio sono stati considerati i decenni dal 2002 in poi, ci si colloca in un contesto temporale in cui le contrapposizioni che storicamente hanno frenato la crescita della cremazione non trovano spazio (salvo che nel ricordo di alcune/i, probabilmente neppure in età … adolescenziale).
Chiedendoci quali siano attualmente le motivazioni che inducono le persone (e, in difetto di queste, le famiglie) ad accedere alla pratica della cremazione, sembrerebbe che non vi siano più, almeno in termini diffusi, motivazioni sempre riconducibili a valori, ad ideali, quanto a ragioni di ben altro profilo, in cui non manca un pizzico (quanto consistente?) di un certo quale egoismo.
Infatti, la cremazione genera una “sensazione” di definitività che, invece, permea il ricorso alle altre pratiche funerarie.
Nell’inumazione vi è il turno ordinario di rotazione (che non è un termine decorso il quale si deve provvedere, ma unicamente il termine a partire dal quale possa provvedersi, rimettendo al comune il momento opportuno per procedere all’esumazione), cosa che importa l’applicazione dell’art. 85, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., cioè con un ulteriore coinvolgimento delle famiglie.
Nella tumulazione, questa ha una durata, variabile, decorso il cui periodo, trova applicazione il successivo art. 86 stesso D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., anche qui coinvolgendo, a distanza di tempi, generalmente superiori a quelli previsti per l’inumazione, le famiglie.
In entrambi i casi, l’atteggiamento dei familiari nei confronti dei feretri, esumati od estumulati che siano, è ben diverso rispetto a quello che, generalmente, si registra nei confronti dei feretri nella fase dell’immediato post mortem, registrandosi (spesso) un “interesse” ben minore (il lutto è un atteggiamento che tende a smorzarsi nel tempo).
Nella cremazione, questi elementi temporali “danno la sensazione” di venire annullati, o almeno decisamente compressi, giungendo ad uno stato (quello delle ceneri raccolte in urna cineraria) dove la “sensazione” è ben diversa e ormai prossima alla cassetta ossario.
A maggiore ragione se l’opzione della persona defunta sia stata quella della dispersione delle ceneri, oppure se l’opzione della persona defunto o dei suoi familiari sia quella dell’affidamento dell’urna ai familiari (qui andrebbe considerato il caso della rinuncia ad un tale affidamento, oppure, questo è di maggiore rilievo, quale “destinazione” possa, o debba avere l’urna oggetto di affidamento nel momento in cui il familiare affidatario deceda a propria volta (può accedere …).
Tolti di mezzo gli “alti valori morali”, contrapposti o meno che fossero, la cremazione viene percepita (almeno così ci pare) come una soluzione maggiormente “definitiva” e che tendenzialmente elimina ulteriori coinvolgimenti (ed oneri) in capo ai familiari.
Sembra trattarsi di una sorta di “secolarizzazione” delle spoglie mortali. Cosa che contrasta con il fatto che tutte le civiltà hanno storicamente affrontato il rapporto con la morte, individuando ritualità, pratiche funerarie, luoghi di collocamento dei corpi dei defunti.
Forse, si tratta di valutazioni non pienamente fondate, ma si ritiene opportuna una riflessione, non per contrastare con l’accesso alla cremazione (anzi!), ma per comprendere l’evoluzione della società.