Quando si usa il termine di “tumulazione” vi è la tendenza ad identificare questa pratica quale “tumulazione stagna”, se non altro come conseguenza delle modalità di realizzazione previste dall’art. 76 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., molte delle quali derivanti dalla tradizione conservativa che tradizionalmente, ed in Italia, permea questa pratica funebre, logica che si correla altresì con lunghe durate.
Da ciò l’ulteriore conseguenza per la quale la tumulazione porta a quelli che sono stati, correttamente, denominati “cimiteri ad accumulo”, di fatto contrapposti con quelli realizzati con pratiche funerarie rispondenti alla logica dei “cimiteri a rotazione”.
La previsione normativa, oltretutto, non agevola processi di ricerca e sviluppo (R&S) o, se si voglia, la ricerca di soluzioni innovative, meglio ancora se tendenzialmente meglio rispondenti alle esigenze della popolazione (in grado prioritario, valutandosi le esigenze della gestione in modo secondario).
Questi freni all’innovazione sono stati evidenti da quando il Governo ha iniziato ad adottare la linea di sollevare questioni di legittimità costituzionale attorno a talune norme regionali eccependo, spesso, che alcune previsioni erano in contrasto con norme regolamentari per il solo fatto che queste non prevedevano certi istituti, come se queste avessero non solo grado primario, ma altresì fossero inderogabili.
Ovviamente, evitando di intervenire su aspetti in cui la legittimità costituzionale aveva effettivamente fondamento, in particolare allorquando le norme regionali “sconfinassero” nelle materie di competenza legislativa – esclusiva – dello Stato (art. 117, comma 2 Cost.).
La funzione delle diverse pratiche funerarie, cui rispondono sostanzialmente tutte, è quella di far si che si svolgano i normali e fisiologici processi trasformativi cadaverici, giungendo alla c.d. completa mineralizzazione dei corpi.
Cosa che avviene o può avvenire sia con modalità differenti, sia con tempi nettamente diversi e, per alcune tra la pratiche funerarie, possono anche risultare inibite, o fortemente rallentate, proprio dalle caratteristiche della pratica funeraria, casi nei quali viene intaccata la funzione stessa.
In altri Stati, le caratteristiche cui si ricorre per la tumulazione non corrispondono a quelle del sopra ricordato art. 76 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (e norme corrispondenti, previgenti), ma possono essere molto lontane, oppure del tutto assenti, consentendo l’esplicarsi della funzione considerata.
Dopo una sperimentazione locale, avviata per sanare situazioni e prassi conseguenti ad eventi bellici, piano piano si è iniziato a parlare anche in Italia di tumulazione aerata, rispetto a cui in alcune regioni, per quanto non in tutte, si sono avute norme mirate ad introdurla, cosa coerente con le materie rientranti nella competenza legislativa regionale concorrente (art. 117, comma 3 Cost.).
A prescindere dalla diffusione di tale prassi, nonché dalle sue diverse modalità e tecnicalità adottate, si può constatare come questa metodologia sia stata poco adottata, pur se pressoché tutte le disposizioni regionali in questo ambito abbiano considerato sia la realizzazione di loculi aerati, sia la trasformazione di loculi esistenti in loculi aerati.
Indipendentemente da ciò, questa scarsa attenzione potrebbe essere imputabile ad un ridotto orientamento, anche nelle sedi locali, verso l’adozione di modalità innovative, quasi con timore di avventurarsi in una qualche terra incognita, privilegiando la tranquillità e la stabilità del “si è sempre fatto così”, rispetto alla ricerca di innovazione.
Si tratta di atteggiamenti che portano ad evitare di approfondire i possibili vantaggi (e il loro confronto con gli svantaggi).
La tumulazione aerata, sia in sede costruttiva, sia in sede di eventuali trasformazioni di loculi esistenti, risulta agevolmente realizzabile, anche se richiede l’osservazione prescrizioni specifiche, ma porta ad ottenere risultati di un certo spessore, dal momento che le durate per il prevedibile raggiungimento positivo della funzione, cioè l’evolversi dei processi trasformativi cadaverici, vengono ad essere fortemente ridotte, rispetto alla tumulazione stagna.
Sotto l’angolo di visuale delle famiglie concessionarie questo comporta, de facto, un incremento nella capienza del sepolcro, non sotto il profilo volumetrico, quanto sotto quello della possibilità di plurime (rispetto alla tumulazione stagna) tumulazioni, specie quando la durata, sorta nella logica della tumulazione stagna sia particolarmente lunga (rispetto a quella coerente con la tumulazione aerata).
Sotto il profilo gestionale (che, come sopra considerato, va valutato in termini di subordinazione), questo contiene la domanda di volumi per la “sepoltura” di feretri, riducendo la necessità di nuove realizzazioni e consentendo, avvenuti i processi trasformativi cadaverici, di offrire alle famiglie dei defunti una rosa di soluzioni ben maggiori rispetto a quella considerata dall’art. 86 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., dato che la probabilità (o, la certezza?) di riscontrare la situazione considerata al comma 5 di questo articolo diventa pressoché generalizzata.
A questo punto, meriterebbe che anche nelle sedi locali si rimuovano le resistenze e si cominci (almeno iniziare …) a valutare le possibilità (e sono molte, se solo si rimuova il ghiaccio formatosi attorno alle pratiche consuete), almeno per una valutazione di fattibilità.
Si pensi, uscendo dal tema sulla tumulazione stagna od aerata, alla possibilità di utilizzare (i.e.) le strutture cimiteriali come supporti per l’installazione di pannelli fotovoltaici, utilizzabili sia per usi propri del cimitero, eventualmente illuminazione elettrica votiva inclusa, oppure utilizzare anche le aree ad inumazione per installarvi pergolati di tali pannelli in modo di permettere alle vedove (ma vale anche per i vedovi) di visitare le sepolture rimanendo all’ombra (o, al riparo dalla pioggia), oppure collocarsi all’interno delle Comunità energetiche rinnovabili (CER), e molte altre.
Non si tratta di sposare l’innovazione come ideologia, ma iniziare a ragionare pensando anche al di fuori, od in allargamento, di orizzonti ormai … scheletrizzati.