Alcune note attorno al turno ordinario di rotazione

L’istituto del turno ordinario di rotazione è abbastanza conosciuto, consistendo nella previsione di un periodo di tempo durante il quale, di norma (ma vi sono alcune situazioni che consentono di derogarne), il feretro collocato in fossa d’inumazione non è suscettibile di essere rimosso (tecnicamente: esumato), in modo da consentire il normale e fisiologico completamento dei processi trasformativi cadaverici, cioè quando possa ragionevolmente stimarsi che il corpo possa risultare tale da consentire la raccolta delle ossa e il loro collocamento in ossario comune, salvo che chi ne abbia titolo non intenda avvalersi della possibilità riconosciutagli dall’art. 85, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
A ben guardare, un po’ tutte le pratiche funerarie attualmente presenti assolvono alla funzione di pervenire, più o meno, a questo risultato sostanziale.
Infatti, la cremazione apparentemente se ne differenzia, ma solo per il “risultato finale” consistente nelle ceneri e per la tempistica, nettamente più breve rispetto all’inumazione, mentre la tumulazione, pur presentando una logica conservativa (alcuni hanno avuto modo di parlare di “accumulo”), sia per le caratteristiche del feretro, per le modalità di confezionamento di questo, sia per la strutturazione dei posti feretro (es.: impermeabilità ai liquidi ed ai gas), alla fin fine prevede l’ipotesi della raccolta delle ossa (art. 86, comma 5 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), anche se richiede tempi decisamente più estesi, valutabili nella scala dei decenni.

Attualmente il turno ordinario di rotazione è determinato in 10 anni (anche se in alcune regioni, norme regionali hanno attribuito alla regolamentazione locale la fissazione di questo periodo), quanto meno a partire dall’art. 74 R.D. 8 giugno 1865, n. 2322 (”Regolamento per l’esecuzione della Legge 20 marzo 1865 sulla Sanità pubblica”).
Non sono mancate qui o là, in epoche pre-Unitarie, norme in cui questo periodo era fissato in misura minore (anche 5 anni, fissando il dimensionamento del fabbisogno cimiteriale (oggi, art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) in proporzione).
Si può presumere che la scelta post-Unitaria di fissare il turno di rotazione ordinario in 10 anni sia tanto uno degli effetti del Congresso internazionale d’igiene svoltosi a Bruxelles nel 1852, quanto derivi della constatazione che, nelle varie realtà, non sempre questa durata dell’inumazione era sufficiente a conseguire il pieno completamento dei processi trasformativi cadaverici, anche se, in altre realtà, le condizioni del terreno e d’ambiente potevano portare ad un tale risultato in periodi inferiori.
Quindi la scelta del decennio è stata quella della stima di larga massima (non si trascuri un richiamo alle caratteristiche del terreno dettate dall’art. 57 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), pur ammettendo differenziazioni locali, delle quali si trova traccia nei commi 2 e 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Per altro, queste differenziazioni comportano effetti non secondari sotto il profilo della gestione, ed altresì, in particolare nei casi in cui venga a trovare applicazione il comma 2 (incompletezza dei processi trasformativi cadaverici), altresì costi di esecuzione e, anche prima di sostenerli, di un incremento del fabbisogno cimiteriale in termini superficiari, che non sono sempre proporzionali al fine, non senza considerare come gli effetti di queste opere (correzione della struttura fisica del terreno) possano rilevarsi a distanza di alcuni … mandati amministrativi (per nulla dire, quando si registrino situazioni estreme tali da comportare il trasferimento del cimitero).

A prescindere dalle singole situazioni locali, il turno ordinario di rotazione definisce il momento a partire dal quale è ammissibile (salvi i casi regolati dagli artt. 83 e 84 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) provvedere alle esumazioni. Ciò non significa che le singole esumazioni debbano eseguirsi il giorno successivo al compimento del decennio dall’inumazione del singolo feretro (la formulazione è volutamente accademica), ma che da questo inizi in periodo in cui le esumazioni sono ammissibili: infatti l’art. 82, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. attribuisce all’autorità comunale (vedi, anche, il precedente art. 51 (non entrando qui nel merito dell’organo che, oggi, ne sia titolare, trattandosi chiaramente di funzioni squisitamente gestionali e, de facto estranee a problematiche igienico-sanitarie)) la regolazione delle esumazioni, cosa che comporta una prevedibile programmazione di queste.
Dal momento che sarebbe ben poco razionale e non efficiente “regolare” (leggi: programmare ed eseguire quanto programmato) le esumazioni per lasciare il terreno non utilizzato, costituisce pratica diffusa e condivisibile provvedervi quando vi sia una qualche prospettiva di ri-utilizzo, spesso provvedendo per campi, file di fosse, per annate di decesso (dato più palese che non riferirsi alle date d’inumazione, anche se questi due elementi temporali generalmente coincidono, salvo che nei ridotti casi estremi (e di poca rilevanza quantitativa) di chi deceda alla fine di un anno e sia inumato nei giorni iniziali dell’anno seguente).
Queste metodologie hanno anche il pregio di consentire di procedere a comunicazioni, anche quando rivolte alla generalità e non ad personam, come avvisi od altre informazioni circa la “regolazione”.
Anche se le norme non prevedano queste “comunicazioni”, “avvisi”, ecc., specie per le inumazioni nei campi di cui all’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (Cfr., ex plurimis: T.A.R. Piemonte, Sez. 1^, 23 aprile 2018, n. 470), è norma di buona e corretta prassi provvedervi, non certo (solo) in via personale, ma attraverso modalità che, come quelle ipotizzate, consentano conoscibilità (e trasparenza, in senso sostanziale), dal momento che attorno ai defunti (ed altresì, loro familiari!) vanno sempre assicurate le misure di rispetto e pietas, indipendentemente dallo stato in cui si trovino.

Negli ultimi decenni è mutata la composizione degli “ingredienti” che compongono la “ricetta” della “domanda” di tipologie di “sepolture”, in particolare per effetto della crescita all’accesso alla cremazione, cosa che ha portato ad una riduzione della domanda di inumazione, anche laddove questa pratica era abbastanza equilibrata (vi sono aree geografiche in cui il “sentire” della popolazione tende, o tendeva, a privilegiare pratiche nettamente “conservative”), con la conseguenza che la “domanda” per nuove fosse è divenuta tale che la “regolazione” delle inumazioni porta, di fatto, a mantenere i feretri nelle fesse di originario accoglimento per tempi nettamente superiori a quelli del turno ordinario di rotazione.
Nelle realtà in cui la pratica dell’inumazione è prevista, non solo nei campi di cui all’art. 58 D.P.R. settembre 1990, n. 285 e s.m., ma altresì nelle aree considerate dall’art. 90, comma 2 stesso Regolamento, ben può accedere che le inumazione in queste seconde registrino durate inferiori a quelle che, di fatto, si hanno nelle prime, proprio come conseguenza del mutamento della “domanda”.
Con l’ulteriore effetto che molte parti di superficie che, nel passato, integravano il “fabbisogno cimiteriale”, risultano ormai ridondanti. In alcune culture (es.: USA) si stanno introducendo modalità di “trattamento” dei corpi che potrebbero apparire proprie dell’inumazione, ma sono impostate in modo da accelerare, attraverso procedure di c.d. compostaggio, i processi trasformativi cadaverici, riducendoli a pochi mesi, pratiche che si collocano in contesti culturali che non tengono conto di quelle culture in cui il corpo, quale ne sia lo stato, costituisce pur sempre un valore di pietas, non solo per il corpo, ma anche per i familiari.
Tuttavia, la riduzione della domanda di inumazioni (e, quindi, il conseguente prolungamento di fatto della turata delle inumazioni) potrebbe poter consentire di valutare la possibilità di ricorrere ad altre esperienze, presenti nel Regno Unito e altri Paesi del nord Europa, cioè quella del c.d. “cimitero foresta” (o, bosco), dato che la minore domanda di superficie potrebbe consentire piantumazioni di essenze vegetali idonee (si pensi alle radicazioni) e consentire di sottrarsi all’impostazione strettamente rettangolare (che deriva dalle caratteristiche delle fosse) ordinariamente presenti, con ciò giungendo a predisporre impostazioni a specifico interesse anche paesaggistico, consentendo ai familiari una diversa frequentazione di queste aree cimiteriali.

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Sereno Scolaro

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