Le criticità della perpetuità
In Premessa è stato considerato come la perpetuità abbia riguardo alla durata, per quanto senza limiti temporali.
Questo è il “vizio capitale” sotteso al termine, dal momento che assume a proprio fondamento una certa immutabilità rispetto al tempo o, altrimenti, una negazione del tempo [7], quando nei fatti, e non solo nei fatti, il tempo altro non è se non la misura dei cambiamenti. In realtà, il tempo è sempre un fattore rilevante, dal momento che col suo scorrere mutano le condizioni iniziali.
Restando in ambito cimiteriale e di concessioni cimiteriali di sepolcri dentro i cimiteri, le condizioni del c.d. fondatore del sepolcro, nonché della sua famiglia quali sussistenti al momento dell’erezione del sepolcro, sono date. Condizioni che non sono immutabili, anzi.
La famiglia (consideriamo questa per avere un orizzonte temporale maggiore di quello che si avrebbe, se si considerasse solo la persona del fondatore del sepolcro) ha una precisa composizione.
A questa seguono o possono seguire, nel tempo, modifiche, ad esempio per ulteriori filiazioni, matrimoni, ecc. Ma può mutare anche quando eventi non avvengano: si pensi al caso in cui i discendenti diretti del fondatore del sepolcro non abbiano a propria volta discendenti, riducendo così eventuali aspettative del fondatore del sepolcro.
Non trascurando come la famiglia del concessionario possa, nel tempo, “distribuirsi nello spazio”, cioè andare ad abitare altrove, più o meno lontano (estero incluso) dal cimitero in cui si trovi il sepolcro, cosa che può avvenire per i più disparati motivi, il ché ridurrebbe la frequenza delle visite al sepolcro.
Aggiungiamo il fatto che, nel tempo, la famiglia potrebbe articolarsi sempre maggiormente, dando origine a pluralità, non sempre pacifiche e concordi, di posizioni, che, in caso di conflittualità, risultano difficilmente componibili.
Accanto al tema (anzi, ai temi) delle persone appartenenti alla famiglia del concessionario vanno considerate le condizioni della famiglia (a volte, dello stesso concessionario iniziale), le quali sono tutt’altro che immutabili.
Chi (concessionario e/o appartenenti alla famiglia di questi) si trovava, al momento dell’erezione del sepolcro nelle condizioni di accedere ad acquisire una concessione cimiteriale perpetua, che oltretutto comporta obbligazioni (si pensi all’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), può nel tempo mutare la propria condizione, a volte talmente tanto da non conservare neppure quanto necessario a far fronte alle obbligazioni anzidette che, magari, all’origine erano od apparivano essere marginali o di scarso rilievo (cosa che potrebbe essere uno dei motivi per cui si determinino situazioni di incuria del sepolcro).
Il fatto che nel tempo intervengano sempre mutamenti può essere colto (e.g.) ricorrendo ad un qualche atlante storico, anche scolastico, verificando quali siano stati i confini territoriali dell’Italia durante il (solo) XX sec. Se ciò sia verificabile in questo ambito, ben maggiori sono i mutamenti che interessano le persone e loro aggregazioni sociali.
Prescindendo da questi, ed altri, aspetti, le situazioni di perpetuità presentano, specie quando il sepolcro faccia ricorso al sistema di tumulazione, ulteriori fattori di criticità, in quanto il limite della capienza tende progressivamente a pervenire ad un punto di saturazione.
Tanto più se si consideri quanto preveda l’art. 86, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., col suo inciso: “…, quando non si tratti di salme tumulate in sepolture private, a concessione perpetua, … “, per il quale “… le estumulazioni si eseguono allo scadere del periodo della concessione …”: l’inciso si comprende, sotto il profilo sistemico, per il fatto che le concessioni perpetue, per definizione, non hanno scadenza, ma questo limite produce l’effetto, del tutto perverso, di non consentire estumulazioni, per cui, raggiunta la saturazione dei posti costituenti la capienza del sepolcro, questo non è più utilizzabile per ulteriori tumulazioni.
Si tratta di una disposizione largamente contrastata, a causa della sua “inefficienza”, al punto che è ampiamente diffusa la prassi di prevedere, nel Regolamento comunale di polizia mortuaria, disposizioni che consentano di procedere ad estumulazioni una volta decorso un certo tempo dalla tumulazione, variabile nei diversi Regolamenti comunali di polizia mortuaria, a volte riferendosi al termine rinvenibile nell’art. 92, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., oppure, secondo una tendenza più recente, nel termine considerato, per la tumulazione, all’art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, ritenendo (o, fraintendendo) che questo ultimo termine sia tale da assicurate le condizioni considerate all’art. 86, comma 5 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., cosa che non sempre (o, meglio, raramente …) si ha.
Non si sta difendendo un assunto di inestumabilità da concessioni cimiteriali perpetue, dato momento che quest’ipotesi costituisce un evidente fattore di criticità. Tanto più che introdurre (avvalendosi dei poteri dei comuni dati dall’art. 7 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. e – prima sotto il profilo del rango normativo, dell’art. 117, comma 6, terzo periodo Cost.) in sede regolamentare l’ammissibilità delle estumulazioni, decorso un certo tempo (da valutare ragionevolmente sulla base delle condizioni ed esperienze locali come sufficiente a rinvenire situazioni di completa scheletrizzazione dei corpi) anche per le concessioni perpetue risponde ad logiche che favoriscono contemporaneamente le famiglie interessate e il sistema cimiteriale, consentendo alle prime una più ampia, nel tempo, di fruizione del sepolcro (e, conseguentemente, anche la conservazione di un interesse al sepolcro) e al secondo contenendo la domanda di ulteriori posti feretro a sistema di tumulazione.
[7] Impostazione tanto irrealistica quanto quella di negare una o più delle altre dimensioni (euclidee) del complesso spazio-tempo.