Allorquando si tratti di “disegnare”, in sede di Regolamento comunale di polizia mortuaria, unica “fonte” a ciò deputata, quale sia l’ambito della famiglia o, se lo si voglia, dell’appartenenza alla famiglia del concessionario, ai fini dell’applicazione dell’art. 93, comma 1 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (ambito che influisce anche, in parte, sul comma 2, quanto meno sulla situazione delle persone che risultino essere state con loro conviventi), può essere facile, attenendosi alla giurisprudenza formatasi in proposito, individuare tale ambito considerando le persone che siano, o siano state, in considerazione del concessionario del sepolcro, in relazione di coniugio (o, istituti a questo assimilabili), di parentela o di affinità (magari “graduandone” i gradi e le linee di computo ai fini del diritto d’uso del sepolcro). Si tratta di un’impostazione in sé corretta e non eccepibile, ma trascura “qualche cosa” e precisamente l’istituto dell’adozione.
In realtà, il parlare di “adozione” costituisce un’imprecisione, e di particolare spessore, dovendosi usare questo termine al plurale (adozioni), per il fatto che l’ordinamento giuridico italiano (ed altresì nell’ambito di specifiche convenzioni di diritto internazionale …) considera una pluralità di istituti riconducibili a queste fattispecie, con differenze, non solo e non tanto sulle pre-condizioni per farvi luogo, ma – soprattutto – nei loro effetti. Non si intende qui affrontare la “galassia” degli istituti adottivi, ma semplicemente richiamare l’attenzione su specifici, particolari effetti. Innanzitutto, va ricordato come originariamente l’adozione fosse unicamente regolata dal C.C., istituto che oggi, dopo la L. 4 maggio 1983, n. 184 (oggetto nel tempo di plurime modifiche), corrisponde a quella che è denominata quale adozione di persone maggiori di età, mentre l’adozione maggiormente (?) forse più diffusa risulta essere divenuta l’adozione di minori, che a propria volta presenta articolazioni a seconda che sia pronunciata sulla base della sola legge italiana oppure di legge di altri Stati (c.d. adozioni internazionali, anche in questi casi con ulteriori sum-articolazioni, a seconda dei casi (e.g.) se trovi o meno applicazione qualche convenzione di diritto internazionale o meno, se il minore adottato abbia cittadinanza italiana o di altro Stato, se “si trovi” in Italia o in altro Stato, ecc.)).
L’adozione di minori, che peraltro era stata anticipata (rispetto alla L. 4 maggio 1983, n. 184) dalla L. 5 giugno 1967, n. 431, con l’introduzione di quella che allora si chiamava adozione speciale che, per la prima volta aveva introdotto anche l’istituto dell’affidamento preadottivo), produce (art. 27 L. 4 maggio 1983, n. 184, (riconfermando gli effetti già previsti dall’art. 314/26 C.C., quale introdotto dall’art. 4 della sopra citata L. 5 giugno 1967, n. 431) gli effetti di acquisizione dello stato di figlio nato nel matrimonio (espressione che, prima della L. 10 dicembre 2012, n. 219 equivaleva a “stato di figlio legittimo”; per inciso, va ricordato come con questa legge si siano modificate, tra le altre disposizioni, anche le definizioni che riguardano la parentela) degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome prevedendo, consequenzialmente, che con (tale) adozione cessino i rapporti dell’adottato verso la famiglia di origine, salvi i divieti matrimoniali.
Al contrario, nell’adozione di persone maggiori di età (quella che, in passato, era semplicemente: “adozione”), l’art. 300 C.C. prevede che “[I]L’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge [II]L’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra l’adottato e i parenti dell’adottante”: si coglie immediatamente la differenza, negli effetti, tra questi due distinti istituti adottivi, anche sotto il profilo dell’applicazione dell’art. 93, comma 1 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Queste due tipologie di istituti adottivi (volutamente non considerando le diverse tipologie di c.d. “adozioni internazionali”, per ragioni di semplicità espositiva) non esauriscono il quadro di riferimento, dal momento che la più volte ricordata L. 4 maggio 1983, n. 184 ha introdotto l’ulteriore istituto dell’adozione in casi particolari (artt. 44 e ss.), con effetti di vario ordine, tra cui (art. 55) anche il rinvio alle disposizioni dell’art. 300 C.C., già viste. Non è a caso che in alcuni strumenti di diritto internazionale pattizio si rinvengano termini quali “adozione piena” per riferirsi a quelle tipologie di adozione che producano gli effetti della filiazione, usando altri termini per quelle che non producano tali effetti. Va detto questi effetti dell’art. 55 L. 4 maggio 1983, n, 184 sono stati oggetto di sindacato di legittimità costituzionale, sui cui la Corte Costituzionale, con sentenza n. 79 del 28 marzo 2022 (che si invita a leggere per esteso, presentando rivolti “utili”: si pensi e.g. alla situazione del matrimonio contratto all’estero e riconosciuto in Italia come unione civile … (ed altro …), che “arricchiscono” ulteriormente il ventaglio delle situazioni in gioco) ha pronunciato l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui, mediante rinvio all’art. 300, secondo comma, del codice civile, prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante: si tratta di un ulteriore “tassello” del quale tenere debito conto ogni qual volta si debba considerare l’ambito dell’appartenenza alla famiglia del concessionario. E, per essere maggiormente espliciti, non consideriamo solo il caso in cui la persona adottante sia concessionario del sepolcro, ma, altresì, quello in cui lo sia un genitore (o ascendente in ulteriore grado) dell’adottante, dove la questione della sussistenza o meno di rapporti tra adottato e concessionario risulta rilevante ai fini del diritto d’uso del sepolcro.
Per altro, queste specificità (qui è stato fin troppo parlato di “particolarità”) potrebbero trovare, volendolo, agevole soluzione, in sede di intervento su “disegno” dell’ambito della famiglia in sede di Regolamento comunale di polizia mortuaria precedendo una formulazione che consideri “appartenenti alla famiglia del concessionario, accanto al coniuge o persona a questi assimilata, ai parenti e agli affini (con l’eventuale “graduazione” cui è già stato fatto cenno), altresì gli adottati (e, perché no, gli adottanti?) precisando “, a prescindere (o. “indipendentemente”) dalla tipologia di istituto adottivo” (o, più sinteticamente: “a prescindere (o, “indipendentemente”) dalla tipologia di adozione”).