Accoglimento nei sepolcri in concessione ad enti

L’art. 93, comma 1, primo periodo D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. prevede che, per le concessioni cimiteriali (cfr.: precedente art. 90) fatte ad enti, “Il diritto di uso … è riservato alle persone contemplate dal relativo ordinamento e dall’atto di concessione”.
Fino a qui sembrerebbe tutto abbastanza lineare, in particolare sul fatto che l’individuazione delle persone, o categorie di persone, che abbiano titolo all’accoglimento nel sepolcro (con l’ovvio limite della capienza) è rimessa a due “strumenti”: (a) l’ordinamento dell’ente concessionario e (b) l’atto di concessione.

Tuttavia non sempre è così, specie quando si tratti di concessioni cimiteriali risalenti dal momento che nei cimiteri vi possono essere situazioni che si discostano dai “parametri classici”, risalendo a momenti in cui le impostazioni generali non erano quelle che oggi conosciamo.
Per questo occorre, o, se si vuole, è opportuno, avere presenti anche situazioni di lontana origine, tanto più che è di queste che, ricorrendone i casi, occorre trattare.
Infatti non mancano casi (qui se ne assume ad esempio uno che ben potrebbe essere, più o meno, presente in diverse realtà. In fondo, nei cimiteri vi è anche la storia e la memoria delle singole comunità locali) in cui vi siano sepolcri oggi nella “titolarità” (evidenziandosi la virgolettatura) di un qualche ente, magari non al titolo originario di concessione cimiteriale, nel senso che dopo il sorgere della concessione in capo ad altri, la “titolarità” sia stata oggetto di alcuni eventi (uno o più), che alla fine l’hanno ricondotta ad un ente.
A titolo esemplificativo si ipotizza (in realtà si tratta di una situazione concreta) il caso di una concessione cimiteriale originariamente fatta a persona fisica, cui siano, di seguito, subentrati uno (o più) discendenti, fino a che non sia residuato un solo concessionario, il quale ha istituito a proprio erede universale (e senza che vi fossero persone aventi un qualche titolo sulla successione) un ente, riconoscendone l’apprezzabilità dei fini (e ottenendo una lapide, posta all’ingresso della sede istituzionale dell’ente, che lo riconosce e qualifica quale “benefattore”).
L’asse ereditario comprendeva edifici, aziende agricole con relativi fabbricati rurali, titoli e rapporti bancari, incluso numerario, ma anche la cappella funeraria originariamente destinata alla famiglia del fondatore del sepolcro.
Poniamo che il decesso dell’ultimo concessionario sia avvenuto attorno al 1921 – data in sé poco rilevante, ma è solo per darvi una collocazione temporale precedente all’entrata in vigore del T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e del Libro III del C.C. (attuale).

L’ente istituito ad erede universale del patrimonio del dante causa aveva tra i propri fini quello di dare accoglimento alle “fanciulle povere rimaste orfane per cui non vi fossero altri parenti che le potessero accogliere, insegnare loro i lavoro donneschi (termine presente negli atti di fondazione; perdonino quante/i abbiano oggi un orientamento volto alla parità di genere, ma nel passato così non era), mantenendole fino a che zitelle (nel senso di: “non ancora coniugate”) e dotandole (leggansi: fornirle di dote) in occasione del matrimonio”.
L’ente è stato interessato alle norme della L. 17 luglio 1890, n. 6972, per quanto sorto anche prima di questa, seguendone nel tempo le trasformazioni e mutando i propri fini (da ultimo i fini erano divenuti quelli dell’educazione dei fanciulli che non avevano ancora raggiunto l’età per l’accesso alle scuole dell’obbligo).

Con l’acquisizione dell’eredità l’ente era rivenuto proprietario, nel senso patrimoniale del termine, della cappella funeraria, avendo quindi l’obbligo di mantenerla in buono stato di conservazione (art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) e di conservare le spoglie mortali delle persone appartenenti alla famiglia del concessionario (o, famiglia concessionaria) (art. 86, comma 1 stesso D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
Dato che il manufatto sepolcrale presenta disponibilità sotto il profilo della capienza, merita di esplorarsi chi siano o possano essere le persone i cui feretri possano essere accolti nel sepolcro.
Ai cenni in precedenza fatti circa i fini dell’ente andrebbe aggiunta l’importante indicazione per la quale l’ordinamento dell’ente non faccia mai, neppure nelle sue modifiche intervenute nel tempo, riferimento di sorta ad accoglimenti in sepolcri.
Neppure può farsi rinvio all’atto di concessione, in quanto a suo tempo fatto a persona fisica per l’accoglimento dei feretro del concessionario e quelli delle persone appartenenti alla sua famiglia (poi estintasi). Ne consegue che i due “strumenti” ricordati inizialmente sono, entrambi, inutilizzabili, sterili.

Si è in presenza di un sepolcro, originariamente di famiglia o gentilizio, trasformatosi in sepolcro ereditario. Sepolcro ereditario di cui è “titolare” un ente, e, per quanto precede, un ente il cui ordinamento (e l’atto – originale – di concessione cimiteriale) non consentono, non legittimano alcun accoglimento ulteriore, dopo quelli “familiari” avvenuti prima della sua trasformazione in sepolcro ereditario.
Si tratta di una situazione altamente inefficiente, avendosi uno “spreco” dato dall’inutilizzabilità di posti feretro dati dai residui di capienza. Questa situazione potrebbe suggerire soluzioni non ortodosse, quali (e.g.) l’accoglimento di persone aventi, o aventi avuto, cariche negli organi dell’ente, l’accoglimento di (alla fine) fanciulli in età pre-scolare accolti dall’ente per finalità educative, l’accoglimento di persone in situazioni di indigenza od appartenenza a famiglia bisognosa (cosa ancor meno sostenibile dato che questi ultimi parametri non possono essere presi in considerazione nei/per i “sepolcri privati”), ecc.
Tali soluzioni non solo non sono ortodosse, ma proprio insostenibili, per l’evidenza dell’alterazione dei fini.
Inoltre, essendo il sepolcro trasformatosi in ereditario, neppure è molto percorribile prospettare, per il futuro, che questo passi in eredità ad altri soggetti.
In verità, vi potrebbe essere un caso in cui ciò si realizzi, quello per cui l’ente venga sciolto e il relativo patrimonio passi per successione al comune, caso nel quale la cappella funeraria verrebbe a trovarsi divenire parte del demanio cimiteriale.
Ed, a questo punto, il comune potrebbe destinare i residui posti di capienza a persone determinate, secondo criteri di ordine generale oppure anche provvedere all’assegnazione della cappella funeraria a soggetti terzi, con procedure che assicurino imparzialità, trasparenza e buon andamento.

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Sereno Scolaro

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