Il film “2001: Odissea nello spazio” risale al 1968, come si può notare, tra gli altri aspetti, anche dalle acconciature, specie femminili, dei personaggi, ma allora la data del 2001 appariva come proiettata in un futuro percepito come molto lontano (e nel 1968 si usavano ancora le schede perforate; la prima chiamata con un telefono cellulare risale al 3/4/1973).
Ora, sono passati più di 20 anni dal 2001. Questo per ricordare come e quanto sia mutata la situazione negli ambiti funebri, cimiteriali e di cremazione: basterebbe ricordare che nel 1970, in Italia, si sono avute 1.051 cremazioni (su 521.000 decessi, cosicché non ha neppure senso esprimere il rapporto percentuale tra cremazioni/decessi), che raffrontate alle 244.186 cremazioni (su 706.035 decessi del 2021, cifra chi ha visto un qualche contributo della pandemia; per inciso, nel 1998 i decessi erano stati 576.911 e le cremazioni 23.941 segno che l’accelerazione si è concentrata nel periodo successivo, arrivando a superare il 10% nel 2007, il 20% nel 2015 e il 30% nel 2019), danno un segnale evidente delle trasformazioni intervenute.
Senza tema di smentita, si può affermare che nell’ultimo cinquantennio si sia profondamente modificata gli “ingredienti della miscela” tra le diverse pratiche funerarie, che ha influito fortemente sulle “domande” relative, alterando anche gli equilibri di sostenibilità complessiva, in particolare laddove non si siano colte le variazioni in corso, ma si siano mantenute impostazioni che presupponevano una stabilità di un modello ritenuto consolidato e non esposto a grandi modificazioni.
È comprensibile come, quando si sia all’interno dei fenomeni, possa non sempre, e non immediatamente, cogliersi quali siano le modifiche in corso, in quale direzione, e consistenza, per adottare misure di prospettiva.
Ma, a distanza di oltre 20 anni dalla L. 30 marzo 2001, n. 130 (lo stesso anno usato nel titolo del film), qualche risultato può trarsi.
Vi è chi dà conto di come la crescita della cremazione abbia costituito una sorta di killer application rispetto ad un modello cimiteriale, considerazione che non è culturalmente ostile alla pratica funeraria della cremazione, ma evidenzia come questo modello non abbia saputo trarre lezione dai cambiamenti che intervenivano, anche sotto il profilo dell’approccio da parte delle famiglie rispetto al trattamento dei defunti e, quindi, anche alla “composizione delle domande” (al plurale) di servizi nei cimiteri.
Vi è stato chi ha, correttamente, considerato che questi fenomeni hanno avuto poca incidenza sull’attività funebre, ma hanno interessato maggiormente il contesto delle attività cimiteriali, modificando profondamente questi aspetti, che, per inciso, riguardano anche le stesse durate, oltre che gli oneri per le famiglie, anche se non mancano aree geografiche in cui persistono tradizioni ed orientamenti “conservativi” (nel senso di conservazione dei corpi, come si ha con la pratiche funeraria della tumulazione), unitamente a persistenze di tradizioni che, in altre realtà, si sono affievolite.
Tuttavia, anche nel contesto dell’attività funebre si sono avute, nell’ultimo cinquantennio, cambiamenti importanti.
È possibile, per mere ragioni temporali, che molti operatori odierni non abbiano nella propria memoria quale fosse la situazione dell’attività funebre circa cinquant’anni addietro (è presumibile che chi lo ricordi sia ormai in pensione, magari neppure da poco).
Attualmente, si stanno registrando fenomeni, variamente diffusi, quali il crescere delle case funerarie, da un lato e, dall’altro lato, dei c.d. centri di servizio, a volte interallacciati all’interno di processi di crescita aziendale, su cui raramente si leggono gli effetti conseguenti.
L’avvio di una casa funeraria costituisce un investimento che, specie agli inizi, genera passività (per cui occorre mettere in conto un certo quale “respiro”), ma che lentamente portano a far sì che si incrementino i servizi/annui, a scapito degli operatori che non siano stati altrettanto tempestivi (e/o disponessero delle risorse spendibili per intervenire in questa direzione).
Dall’altro canto i c.d. centri servizi supportano soggetti che non dispongono di tutte le risorse per assicurare le prestazioni di servizi propri della loro attività, cosa che favorisce la crescita di soggetti a bassa strutturazione imprenditoriale.
Di fatto, questi due fattori, stanno diventando la killer application per un’imprenditoria strutturata e degna del nome di impresa, a favore di una rete, spesso con maglie destrutturate, di soggetti che non fanno impresa, quanto assolvono ad un ruolo di “venditore al minuto” di prestazioni di servizio altrui.
Non senza dimenticare come sta crescendo in Italia la presenza di imprese di respiro multinazionale, che non sono oggetto da temere, ma delle quali tenere conto come players presenti sul mercato, senza limitarsi a guardare al proprio ombelico.
Qui torna la domanda, spesso proposta: quale impresa si vuole?
A questo punto, potrebbe essere opportuno riprendere la questione del modello cimiteriale, storicamente “figlio” (almeno così si dice) del noto (e poco consultato) Editto dato a Saint Cloud il 23 pratile (leggi: 12 giugno) 1804, se non fosse che nella normazione italiana post-Unitaria è stato del tutto rimosso il suo Titolo III, in particolare l’art. 11 [1], quello per cui le concessioni di sepolture private nei cimiteri avevano come presupposto, un “prezzo sociale” a carattere solidaristico, cui, verificato il suo assolvimento, seguiva l’ordinaria corresponsione della tariffa concessoria.
Questa rimozione è stata dovuta alla trasformazione, avvenuta nella società, in cui all’egemonia dell’aristocrazia si era venuta ad avere un’egemonia sociale della borghesia, che in genere tende a sottrarsi a logiche di solidarietà.
Per altro, dall’Unità d’Italia è passato qualche giorno (…), anche se ormai mai non è, almeno non esplicitamente, individuabile una qualche classe egemone nella società.
Contemporaneamente, molte amministrazioni locali sembrano non porsi neppure obiettivi per la ricerca di soluzioni che possano dare risposte alla domanda della popolazione, men che meno a valutare quanto questa sia mutata, ma, rassegnate a mille ristrettezze (disponibilità di bilancio, patti di stabilità, limiti assunzionali, ecc.), non vedono altra soluzione se non quella di abbandonare il servizio, attribuendolo a terzi, secondo logiche di maggiori ribasso possibile, senza considerare il degrado nella qualità dei servizi offerti (quando offerti), generando una spirale negativa, sempre più difficilmente rimediabile a mano a mano che questa spirale venga percorsa.
Occorrerebbe che tutte le diverse figure, nelle diverse fasce di attività, si assumessero l’onere di capire le trasformazioni intervenute, individuando soluzioni.
[1] 11.- Les concessions ne seront néanmoins accordées qu’à ceux qui offriront de faire des fondations ou donations en faveur des pauvres et des hôpitaux, indépendamment d’une somme qui sera donnée à la commune, et lorsque ces fondations ou donations auront été autorisées par le Gouvernement dans les formes accoutumées, sur l’avis des conseils municipaux et la proposition des préfets.