Una riflessione per Pasqua

IL TEATRO SACRO – Episodi del Vangelo tradotti in gesti ed emozioni nella cultura medioevale

Nelle grandi rappresentazioni teatrali del Medioevo il tema così centrale, per la fede, della resurrezione di Cristo era introdotto da una coreografia grandiosa e spettacolare insieme: la discesa agli inferi dopo l’amaro epilogo del Calvario.
L’attore che impersonava Gesù di Nazareth era sempre abbigliato con il tipico costume della resurrezione, tramandatoci da innumerevoli scuole pittoriche: sul corpo, in gran parte spoglio, s’intravedevano le cinque ferite, segno indelebile della Passione, mentre un drappo di tessuto rosso sgargiante, allacciato come se fosse un mantello, velava trasversalmente il costato.
L’ampio panneggio del tessuto, con la sua linea diagonale, si scostava sempre in corrispondenza dello squarcio sul torace, provocato dalla lancia del soldato romano di guardia sotto il patibolo della croce.

Spesso in queste recite ispirate a soggetti religiosi il personaggio del Nazareno, secondo la più classica iconografia, recava nella mano destra uno stendardo bianco su cui era impressa la croce, simbolo cristiano per eccellenza.
Grazie al profondo e genuino senso del sacro, diffuso anche nelle classi più popolari, nel semplice sovrapporsi visivo di due assi si realizzava l’inestricabile paradosso del Nuovo Testamento, con un macabro ordigno di morte e tortura che misteriosamente diviene strumento di vita e redenzione.
Nel suo viaggio oltremondano il Cristo era accompagnato da schiere di angeli oppure dall’anima del buon ladrone.

Quando sulla scena il protagonista si avvicinava all’ormai prossima porta dell’Aldilà, le comparse, che recitavano nel ruolo di diavoli e spiriti maligni, scatenavano sul palco un pandemonio infernale con scoppio di petardi, fumo, strida disperate e frastuono assordante, nel frattempo fiamme alte si liberavano nel cielo ed ombre inquietanti si contorcevano sullo sfondo.
In quel preciso momento, allora, i battenti, posti quale perenne sigillo alle immani fauci dell’inferno, erano divelti dalla potenza vivificante del Signore, così, mentre rovinavano pesantemente al suolo, travolgevano, con fragore, la figura di Satana.
Attraverso il prodigioso varco della salvezza che incrinava mortalmente le difese ed il baluardo dell’inferno uscivano per primi i progenitori dell’umanità Adamo ed Eva, assieme a qualche altro eroe o profeta dell’Antico Testamento.

In successione giungevano, poi, agli occhi degli spettatori tutti gli altri episodi narrati nelle ultime pagine dei vangeli.
L’attore che interpretava il Divin Figliuolo, con lo stesso costume indossato in precedenza, usciva dalla tomba, ed alzava spesso la mano destra con un ampio gesto benedicente, per testimoniare a tutto il mondo la sua formidabile vittoria sul peccato.
I soldati, addormentati nei pressi del Santo Sepolcro, presentavano caratteristiche pressoché identiche in tutte le recite delle diverse compagnie teatrali: erano sempre nello stesso numero ed assopiti.
Come tramortiti dallo spavento, secondo il celebre verso manzoniano, sembravano colti da profondo sopore, mentre, rannicchiati, si adagiavano a terra nelle medesime, anguste posizioni alla ricerca di un po’di conforto e calore.
Spesso era un angelo a rimuovere la lastra sepolcrale ed un’ingegnosa macchina elevatrice, nascosta sotto il palco, faceva lentamente emergere dalla cella in cui il Venerdì Santo era stato deposto un Gesù dall’espressione solenne e trionfale.

Il pubblico più attento avrebbe potuto facilmente riconoscere alcuni rimandi scenici di grande significato simbolico, come la comparsa sullo sfondo delle tre pie donne (evidente il riferimento alla Trinità) dirette alla tomba del maestro, oppure la stessa recinzione ed entrata dell’Orto degli Ulivi che caratterizzavano di volta in volta, il Golgota, il Giardino dell’Eden oppure il Santo Sepolcro.
Queste simmetrie avevano il compito di tradurre in un linguaggio immediato e comprensibile la circolarità, nella Storia della Salvezza, dell’azione di Dio.
Come ci ricorda San Paolo, se a causa di un uomo (Adamo) la morte irruppe nel mondo a causa di un altro uomo (il Cristo), la vita si riversò nuovamente copiosa sul creato; era, quindi, importante ai fini di una corretta catechesi mantenere l’unità di luogo perché, se in un giardino si era consumato il peccato, sempre in quel giardino si rinnovasse l’eterna alleanza tra Dio Padre ed il mondo e, se un albero aveva provocato l’inimicizia tra l’Eterno e l’uomo, fosse un altro legno (la croce) a sconfiggere la morte.

Il ciclo teatrale si chiudeva con le apparizioni del Risorto, che gli evangelisti collocano nei quaranta giorni tra il radioso giorno di Pasqua e la solennità dell’Ascensione.
Uno dei momenti più cari agli spettatori era il colloquio tra Maria Maddalena ed il Cristo.
Questo misterioso incontro avveniva nello stesso spazio verde in cui si erano svolti altri passaggi importanti nello sviluppo della narrazione evangelica, come l’arresto nell’orto degli Ulivi oppure l’antica disobbedienza dei progenitori al comandamento di Dio Padre.
L’albero come elemento di ideale continuità era sempre presente, Maria Maddalena inginocchiata per lo stupore cerca di toccare il Signore, che con una lieve torsione del corpo sembra negarsi al tatto della donna (Cristo stesso spiega questo suo diniego: “Maria, non toccarmi, non sono ancora entrato nella gloria del Padre Mio”) , mentre a terra sono visibili gli unguenti profumati utili per la toelettatura dei defunti.

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Carlo Ballotta

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