L’arte macabra è, forse, la forma estrema e più oscura della pur sublime arte di saper riciclare i materiali costruttivi.
In Europa, durante il solare periodo del rinascimento, quando la cultura riscoprì l’equilibrio delle opere classiche, si affermò, per converso, anche un certo gusto diabolico e morboso verso temi funerei e soggetti mortiferi.
Molto tempo prima che il nobile concetto di donare i propri organi s’imponesse come scelta responsabile nel dibattito culturale, il genio perverso di autori maledetti, proprio perché votati al peccato della trasgressione stilistica, inventò un nuovo ruolo teatrale ed eccessivo per quegli imbarazzanti cadaveri che invadevano le cripte delle cattedrali, quando orride ghirlande di ossa o scheletri furono abbondantemente impiegati quali bizzarri motivi ornamentali.
Una tra le più tetre e maestose cappelle, ricavate da quella fitta trama d’ossa umane, capace di plasmare i volumi e disegnare con le proprie spire soffocanti le geometrie certe dell’architettura si trova nella città portoghese di Evora, nel complesso monastico presso la basilica di San Francesco.
Realizzato dai monaci francescani tra il 1460 ed il 1510, il sacro edificio si regge sull’intreccio plastico e spettacolare di un’imponente struttura, quasi ricamata, grazie alla laboriosa torsione delle linee e ai vorticosi passaggi di piano dalle mille sfaccettature.
Quest’insolito telaio, dove mano forse non umana ha tessuto le sue immagini di morte, grazie a milioni di variazioni prospettiche, è stato ricavato dalla combinazione eclettica, multiforme delle ossa appartenute a circa 5000 defunti, sepolti nelle celle sotterranee del monastero.
Già all’entrata, si avverte una sensazione sinistra, oppressiva; ci si sente osservati, forse anche spiati dalle orbite cave di quei teschi incastonati nella pietra dei muri.
Appena varcata la soglia del tempio, i visitatori possono apprezzare la spettrale ironia che sembra spirare, con un sibilo sulfureo, da quelle migliaia di miseri scheletri, prima smembrati con infinita pazienza, poi ridotti ad orrida architettura.
Per avvertire quell’orizzonte di tenebra in cui la cappella è immersa, basta solo orientare lo sguardo verso un’agghiacciante iscrizione, su cui è impresso un lugubre monito intinto di lutto.
Il memento mori riporta queste drammatiche parole scandite con il ritmo percussivo della danza dei morti “Qui le nostre ossa attendono le vostre”.
All’interno, la navata è solo debolmente illuminata da una fioca luce, i raggi di un sole crepuscolare filtra dal piano finestrato.
Serve solo qualche istante per capacitarsi di come il paramento lapideo, che delimita le campate, ed i pilastri, su cui si reggono gli archi d’imposta per disegnare le coperture ricurve dei soffitti, siano interamente ottenuti con una massa compatta di tibie disposte in modo impeccabile, assieme ad altre ossa lunghe e crani.
La morte dilaga nella navata e sguaiata dipana la sua corona di teschi come se si trattasse di un rosario nero per celebrare la liturgia del male.
Una muraglia di ossa incastonate tra loro, con precisione sovrannaturale, delimita l’inviolabilità dello spazio sacro. Una volta superato l’iniziale sgomento per questa terrificante visione, il turista comincia ad apprezzare lo spettacolo surreale e grottesco, a tratti persino comico con centinaia di teschi impilati e sovrapposti assieme a molli trecce, ricavate da mandibole, che risalgono le pareti in vertiginosa ascesa sino ad orlare, con armoniosi movimenti curvilinei le nervature delle volte.
L’illusorio effetto ottico di chiaroscuro è notevole ed è, principalmente, dovuto all’intersecarsi delle diverse traiettorie tra i moduli costruttivi: le vele del soffitto, infatti, si dipartono precise e nette dalla chiave di volta, mentre i festoni che le orlano seguono profili meno tesi e si stendono sinuosi sui raccordi murari tra le volte stesse e le pareti laterali, aumentando la profondità dei già generosi volumi.
Disegni artistici si sviluppano sullo sfondo e contribuiscono a questa curiosa sintesi quasi barocca tra elementi orrorifici e temi sacri: alcuni cherubini dai biondi capelli ricci sembrano librarsi in un fantastico volo al di sotto della cappa perlacea di crani ed ossa, impercettibilmente fissati a croci, gli spigolosi assi di quest’ultime sono dipinti ed avvolti, grazie ad una raffinata illusione ottica da girali voluttuosi, da eleganti festoni floreali.
L’effige del Cristo ed un altare, impreziosito da sfarzose dorature, sono quasi celati alla contemplazione dei fedeli dal più raccapricciante addobbo cadaverico della piccola chiesa.
Due carcasse umane raggrinzite e polverose, infatti, sono appese ad un longitudinale, rispetto all’orientamento della cappella, e stendono la loro ombra malefica dagli indefiniti contorni sul presbiterio.
Si tratta dei corpi mummificati di un uomo adulto e di un fanciullo, le fattezze dei volti ormai dovrebbero essere dilavate dall’ingiuria del tempo, invece sembrano stranamente scolpite in quel velo di carta pecora che inspiegabilmente li ha imprigionati, preservandoli dalla putredine.
…continua…