Fotografie post-mortem

Immagino un pittore davanti ad un viso che con maestria tinge la tela ripercorrendo quei tratti che lasceranno ai posteri quell’attimo di vita. Uno sguardo, un pensiero, un atto gentile o meno, un’immagine che ci collega al passato.
Certo è che la fantasia e i mille simbolismi che hanno arricchito i protagonisti e gli ambienti di questi lavori di piuma o di pennello potrebbero aver alterato la realtà.
Ma ecco che nel filo del tempo si inseriscono Monsieur Niépce, Monsieur Daguerre e Mister Talbot che ebbero, ognuno con le proprie deduzioni ed i propri ragionamenti, l’illuminazione di disegnare con la luce.
Grazie alle loro conoscenze chimiche e fisiche misero a punto, chi in un modo o chi nell’altro, diversi procedimenti che permettevano di imprimere un’immagine su un supporto che veniva poi utilizzato per la stampa su carta.
Non mi soffermerò né sul modo né sui procedimenti, poiché non è qui che vi voglio portare: il percorso a cui vi invito è più percettivo che scientifico.
Dicevamo dunque di questo inedito stile di trattenere la vita: un attimo del tempo bloccato per sempre, un fermo immagine di un evento, di un luogo, di una persona: un nuovo modo per ricordare, un nuovo modo per non dimenticare.
In un periodo di epidemie con la medicina ancora poco sviluppata, con un alto tasso di mortalità soprattutto infantile, la visione del lutto diventa un quotidiano convivere con la morte.
Il bisogno di neutralizzare il dolore e di colmare in qualche modo la mancanza delle persone care, assume un’importanza rilevante: è proprio in questo periodo che prende piede lo spiritismo con tutta la fenomenologia medianica e che vede l’apertura di negozi dediti al lutto (i ‘mourning warehouse‘ o le ‘maison de deuil‘) in cui si vendono tra gli altri articoli, abiti neri impreziositi da gioielli (ciondoli, anelli, spille, ..) con ciocche di capelli in ricordo di chi non c’è più.
Anche la fotografia prende la parte come soggetto attivo in questa peculiare moda dell’epoca vittoriana, dalla seconda metà dell’800 all’inizio del ‘900. Chi di mestiere faceva il fotografo doveva produrre in poco tempo tempo ricordi duraturi.
Innanzitutto bisognava tenere in considerazione l’età del defunto, le cause della morte e gli eventuali segni delle malattie e infine l’emozione che si voleva trasmettere per poi allestire la scena e posizionare i soggetti nelle foto.
Inizialmente il cadavere veniva portato nello studio del fotografo (ricordiamo che spesso erano infanti), ma poi per motivi igienici fu varata una legge che ne impediva lo spostamento, quindi il set fotografico era ricreato nella casa dei famigliari. A questo punto, non rimaneva che scegliere come posizionare il defunto: i ritratti comunemente usati erano di tre tipi.

Il primo, più autentico, cioè “disteso nel letto” così come la morte lo aveva colto, accettandone quindi la fine della vita, spesso utilizzato per immortalare personalità importanti.
Il secondo, più delicato, “come se stesse dormendo” comunemente scelto per i più piccoli, lasciando ai posteri il dubbio se, al momento dello scatto, quella vita fosse ancora presente.
E l’ultimo, come per negare l’evento luttuoso, “come se fossero vivi”, spesso insieme a parenti e amici.

Di difficile composizione quest’ultimo tipo poiché spesso dovevano essere utilizzati dei supporti o dei complessi stratagemmi per mantenere il corpo in posizione; gli occhi dovevano, non di rado, venire dipinti aperti, in post-produzione.
Ora, a distanza di più di un secolo, la visione di una fotografia di questo genere può generare in noi emozioni molto contrastanti. Ma l’intento di chi ha commissionato la fotografia o del fotografo, non era certo rivolto a quel qualcuno che un secolo dopo sarebbe rimasto sconcertato rimirandola, o sbalordito dalle tecniche fotografiche, e nemmeno appassionato per l’effetto noir, anzi.
L’unico motivo, se posso permettermi di crederlo, era poter avere la sensazione, seppur per un attimo, che quella persona fosse ancora in vita con tutta la sua essenza e che quelle immagini, prese sul filo di lana, avrebbero continuato a ricordare ai vivi “non ti scordar di me”.

“Time flies over us, but leaves its shadow behind”
Nathaniel Hawthorn

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