Arte della morte

Alcune opere d’arte contemporanea riescono ancor più raccapriccianti della morte stessa.
Ci sono artisti visionari che, vagando nei remoti recessi della propria creatività, là dove ricerca dell’estremo, piacere sadico e raffinatezze stilistiche si sovrappongono, hanno scelto di dipingere, fotografare o altrimenti raffigurare l’ossuto fantasma dalle orbite cave nelle sue più terribili e materiali manifestazioni.
Questa nuova tendenza è indice di una nuova sensibilità del gusto postmoderno, perché smette di immaginare la morte nelle consuete forme personificate, e si concentra sul unico effetto fisico che lei stessa sappia produrre: l’imbarazzante, carnale presenza di un cadavere.
L’ultima avanguardia, infatti, è costituita da artisti di successo come Joel Peter Witkin che, per realizzare le proprie mirabili composizioni, utilizza corpi morti, o meglio sezioni di corpi ormai abbandonati dalla vita.

La sua vorticosa ricerca di una poesia costituita da immagini estreme l’ha condotto, ormai da tempo, ad individuare nelle rappresentazioni orrorifiche l’unico veicolo espressivo capace di trasmettere emozioni violente.
Per questo trasgressivo autore l’arte è un’incursione nell’ignoto, un percorso inspiegabile attraverso una realtà onirica che non conosce confine.
L’impatto del pubblico, con l’esposizione da lui allestita, è di terrificante potenza comunicativa: cadaveri prima tagliati poi ricomposti in bizzarre geometrie sono ambientati scenograficamente in contesti fantastici ed enigmatici che ricordano quelle scene di nature morte, di decapitazioni o torture, cui attinsero i grandi maestri della scuola fiamminga o dell’epoca barocca, sovente in prospettiva religiosa.
I sinistri soggetti, di cui da sempre si nutre l’arte macabra, sono così riproposti attraverso il linguaggio contemporaneo della fotografia, per riproporre, in chiave moderna, i temi del “Memento mori” e delle riflessioni sulla vanità del mondo.

Nell’opera di Witkin si condensano pulsioni contraddittorie come intuizioni spirituali, anche se eretiche, che invitano a meditare sul dramma della condizione umana assieme a possessivi istinti di voluttà animalesca, cui si affianca spesso una sincera ricerca di una bellezza vivida ed immune dal peccato.
La sua produzione tradisce un profondo disagio esistenziale; un simile mal di vivere, di chiara reminiscenza romantica, si traduce, così, in una irridente ed eccessiva provocazione stilistica.
Il risultato di questa galleria dell’orrore è uno spettacolo protervo ed arcigno di impressionante plasticità.
Qui, il senso del meraviglioso e la paura dell’irrazionale convivono per esaltare la potenzialità di un codice semantico, che ritrova il suo valore immaginario in un coraggioso confronto con la morte.
Lo sviluppo delle forme, assieme all’alternarsi dei volumi è narrato, con il ritmo volutamente illetterato e feroce, nella desolazione di povere membra costrette ad una tragica, sacrilega immortalità.
Quei corpi sospesi in un lampo di luce sono, infatti, prigionieri di un istante, riflessi oscuri di un tempo ancora vivo, solo perché cristallizzato sulla pellicola dal genio perverso dell’autore.

Written by:

Carlo Ballotta

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