Per anni – anche nella trasposizione cinematografica – l’idea di servizio funebre americano è stata generalmente legata ad immagini di sepoltura, in cimiteri verdi, con prati curati e punteggiati di lapidi marmoree discrete, attorno ad un terreno recintato, con la predisposizione della fossa, attorno alla quale si raccoglievano – tra ghirlande di fiori – i partecipanti in lutto e l’officiante religioso.
Con il decesso di almeno 2,7 milioni di americani all’anno, oltre ad una cronica carenza di spazi, sono emerse, nell’ultimo periodo pre-Covid, nuove preferenze nelle pratiche funerarie statunitensi, che hanno prodotto una conseguente diversa modulazione dei servizi offerti da parte degli impresari funebri.
Non sorprende pertanto come, negli Stati Uniti, l’aumento della percentuale di persone, orientate ad essere cremate dopo la morte, abbia presto superato il numero di defunti sepolti.
Tra una decina d’anni, secondo le proiezioni della National Funeral Directors Association, almeno l’80% degli statunitensi sceglierà la pratica funeraria della cremazione, vale a dire 2,80 milioni di cremazioni all’anno.
Fra i motivi di questo profondo mutamento, un ruolo importante lo ha giocato, in primis, il costo più contenuto – ben oltre la metà – rispetto alla sepoltura.
È curioso anche il fatto che, nel corso degli ultimi cinque anni, aree in cui gli spazi cimiteriali non presentavano particolari problemi di ampliamento, alla fine siano risultate essere tra quelle in cui le persone si sono maggiormente indirizzate verso la cremazione.
Mentre, al contrario, aree più densamente popolate hanno tardato ad abbandonare le sepolture.
Nel 2015 il tasso di cremazione nazionale si attestava sul 47,9% e gli stati con i tassi più bassi, tra il 20 e il 30%, erano tutti nel Sud: Mississippi, Alabama, Kentucky e Louisiana. Nella zona occidentale i tassi superavano il 70%, ad esempio in Colorado, New Hampshire, Montana, Hawaii, Maine, Oregon, Nevada e Washington.
Il divario, pur correndo lungo precise linee geografiche, presentava diverse implicazioni socio-culturali: dalla frammentazione delle famiglie, alla transitorietà territoriale di molti americani, alla perdita del senso di comunità.
Negli anni successivi la media nazionale ha ampiamente superato il 50% ed ora, anche la pandemia Covid, con i suoi drammatici strascichi di altissima mortalità, contribuirà all’innalzamento di tale numero.
Al tempo stesso, anche le religioni hanno accettato con più favore la cremazione, pur ritenendo preferibile la sepoltura delle ceneri rispetto all’affido o alla dispersione.
E, non ultimo fattore negli Stati Uniti, in grado di spostare gli equilibri verso la pratica cremazionista, è stato l’aumento dell’attenzione verso il rispetto dell’ambiente.
Nonostante i grandi spazi verdi, che contraddistinguono i cimiteri americani, sussistono nei plessi problemi di inquinamento del suolo e di garanzia della qualità ambientale, relativamente alle sepolture delle salme.
Un editoriale sul New York Times poneva l’attenzione anche sulle risorse “interrate” ogni anno: “abbastanza legno per incorniciare oltre 2.300 case unifamiliari; acciaio sufficiente per erigere quasi 15 torri Eiffel; quattro volte il cemento usato per costruire il Pentagono ed un volume di fluido da imbalsamazione tale da traboccare da una piscina olimpionica”.
L’atteggiamento più positivo e progressista, nei confronti della fine della vita, ha favorito nel complesso la cremazione, che garantisce anche un grado di personalizzazione della destinazione finale più ampio: dall’interramento di urne biologiche nei pressi di alberi, alla dispersione in mare, dall’incorporazione di ceneri in gioielli, fino alla conservazione in affido, dove le urne diventano originali complementi di arredo.
La tendenza delle nuove generazioni nel circondarsi di bellezza, unicità, opulenza, unitamente ad un atteggiamento maggiormente leggero e scanzonato nei confronti della morte, ha rafforzato la pratica funeraria della cremazione e creato anche nuovi rituali nell’elaborazione complessiva del lutto.