All’art. 80, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. si legge:
“4. Le dimensioni limite delle urne cinerarie e le caratteristiche edilizie di questi edifici (riferendosi agli edifici considerati al precedente comma 3) vengono stabilite da regolamenti comunali.
Ora per la seconda fattispecie è abbastanza facile richiamare anche il Punto 13) della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, che qualche pronuncia giurisprudenziale (TAR Liguria, Sez. I, 7 gennaio 2022, n. 17), pur dando atto che non assurga a norma, quanto ad utile ed importante indirizzo per le nuove costruzioni, cioè quelle realizzate dopo l’emanazione della circolare medesima, ma anche comprensibile il rinvio alla regolamentazione comunale.
Meno comprensibile questo rinvio per la prima parte, cioè per quanto riguarda la determinazione, delle dimensioni limite delle urne cinerarie, in quanto costituisce un aspetto che rientra nell’ambito della potestà regolamentare del comune all’interno del cui cimitero è realizzato l’impianto di cremazione (o, meglio, il crematorio), comune che non sempre, anzi, coincide anche con il comune di accoglimento delle urne cinerarie, fruendo degli edifici richiamati all’art. 80, comma 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Questo perché il collocamento delle ceneri nell’urna cineraria ha luogo presso il crematorio, dopo di che l’urna viene sigillata, oltre che dotate dei necessari elementi identificativi della persona defunta, cosa che comporta per il seguito una tutela dell’inalterabilità.
Tra l’altro, la fornitura di una c.d. “semplice urna” è una delle componenti comprese nella tariffa di cremazione, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e) D. M. (Interno) 1° luglio 2002. Non mancano norme regionali che attribuiscono ai regolamenti comunali di polizia mortuaria la titolarità a stabilire le caratteristiche delle urne cinerarie, su cui non si entra, se non per esprimere la “sensazione” che in queste previsioni non si particolare cognizione di quanto possa costituire “caratteristiche”, quali fini debba assicurare, ecc.
Tornando alla questione iniziale, la definizione delle “dimensioni limite delle urne cinerarie” non risponde all’esigenza che queste non eccedano alle dimensioni interne delle nicchie cinerarie, o, almeno, non solo a questo (qui potrebbe tornare la questione della separazione tra il luogo di collocamento delle ceneri nell’urna cineraria e luogo di successiva collocazione dell’urna cineraria nella nicchia cineraria), ma hanno, fin dall’origine all’interno del crematorio altra funzione di maggiore importante.
Quest’ultima è agevolmente individuabile nell’esigenza che l’urna cineraria abbia una capienza interna sufficiente ad accogliere l’intera quantità di ceneri che risultino dalla cremazione una volta completata la fase di cui all’art. 2, comma 1, lett. d) D. M. (Interno) 1° luglio 2002, dato che questa quantità costituisce un tutto unico, indivisibile ed inseparabile (Cfr.: art. 80, comma 2 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) (con la sola eccezione della fattispecie in cui si abbiano le condizioni per provvedere alla dispersione delle ceneri, cosa che sussiste limitatamente all’inizio della a fase di esecuzione di quest’ultima, ma non prima).
Purtroppo, si sono già avute situazioni (accertate, purtroppo, in sede penale) in cui nell’urna cineraria non è stata collocata l’intera quantità di ceneri, ma solo una parte, mentre quantitativi eccedenti sono stati oggetti di indebita (Cfr.: Art. 411, comma 4 C.P., quale introdotto dall’art. 2 L. 30 marzo 2001, n. 130) dispersione in localizzazioni … improprie.
Per inciso, se vi fossero “eccedenze” (cosa che non dovrebbe proprio aversi), queste non potrebbero neppure essere accolte nel cinerario comune (per se questo preveda due pre-condizioni di accoglimento) per il fatto elementare che le ceneri (salva l’ipotesi già vista della loro dispersione e con i limiti che questa deve rispettare) costituiscono quell’unicum indivisibile ed inseparabile come già ricordato.
Ne consegue che la questione delle “dimensioni limite delle urne cinerarie” rileva sia per il collocamento dell’urna in nicchia cineraria di qualche comune, a prescindere se questo ultimo coincida con quello in cui è presente il crematorio, oppure un qualsiasi altro comune, sia – e questo è di maggiore rilevante e del tutto prioritario – per la capienza “interna” dell’urna.
Non importa se tale capienza sia espressa in volume o altro (es.: litri), dato che quest’ultimo sarebbe semplicemente un diverso nomen del primo.
In ambito internazionale, in questo o quel Paese, possono talvolta trovarsi indicazioni in proposito (es.: indicandosi valori sui 4 – 4.5 litri, dove, per ragioni cautelative (enunciate alla fine), forse suggerirebbe di privilegiare quest’ultima, anche ad altri possa apparire eccessiva), spesso espressi in termini di “suggerimenti” o di indicazioni di soggetti di varia natura (non necessariamente soggetti pubblici titolari di potestà normative, siano queste ultime leggi o regolamenti), magari anche di “impronta” privata, quali (e.g.) associazioni di gestori di crematori o altro. In Italia, non vi sono – al momento – prescrizioni normative ad hoc, anzi neppure le “norme tecniche” previste dall’art. 8 L. 30 marzo 2001, n. 130 (che, sulla carta, avrebbero dovuto essere state emanate entro il … 3 agosto 2001!) fanno cenno alcuno a questi aspetti, pur se rilevanti.
Il punto su cui va richiamata l’attenzione è quello per il quale non sia in alcun caso ammissibile che vi sia “eccedenza” di ceneri rispetto alla capienza dell’urna cineraria in cui devono essere collocate cioè, rovesciando l’angolo di visuale, che la capienza di sufficiente ad accogliere tutte le ceneri risultanti da ciascuna singola cremazione.
Si è già considerato il fatto che il cinerario comune non è deputato all’accoglimento di queste eccedenze e ciò per il motivo che non possono (= potrebbero, in termini di liceità, legittimità) aversi “eccedenze”.
Qui occorre ancora una volta farsi riferimento, purtroppo, alle norme penali, riferendosi non solo al sopra richiamato art. 411 C.P., ma altresì avendo presenti anche fattispecie considerate agli artt. 407, 408, 410, 412 C.P., dato che alcuni “risvolti” potrebbero portare a far concorrere con l’art. 411, comma 4 C.P. anche queste.
La tendenza in alcuni ambienti a proporre indicazioni che possano portare ad una qualche determinazione di queste “dimensioni limite”, non rilevando se ci si arrivi con norme, magari anche solo di rango secondario (regolamenti), oppure con “istruzioni amministrative” (es.: circolare/i), oppure con “orientamenti”, “indirizzi” di questo o quell’organismo, purché si giunga ad una qualche definizione della capienza (capacità?) delle urne cinerarie, in modo da non esporre i vari soggetti della filiera a situazioni che potrebbero esporre ad effetti penali, sempre poco “piacevoli”, neppure per improvvidità.