La chiesa cattolica ed il “problema” cinerario comune”: nuove interpretazioni della normativa canonica

L'articolo è parte 4 di 13 nella serie Posizioni Chiesa cattolica
Navigazione nella Serie di articoli<< Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede “Ad resurgendum cum Christo” circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazioneIl Dicastero sulla Dottrina della Fede fornisce risposta a due quesiti sulla conservazione delle ceneri dei defunti, sottoposti a cremazione >>

Non conosco nella gerarchia delle fonti del diritto canonico quale particolare e precisa funzione svolgano le soluzioni ad un quesito, pur avvezzo alle sagrestie come sono.
Di conseguenza mi spericolerò in un ardito parallelismo tra due ambiti…”legali”, in qualche misura, dunque, giuridici ambedue, ovvero pur sempre fondati sul concetto di norma: dettata, quest’ultima però, ora dall’Autorità Civile, ora da quella Ecclesiastica.
Sono piani completamente distinti e non sovrapponibili, almeno in teoria, ma che a volte tendono ad intersecarsi, soprattutto nel caso Italiano, ma non solo (il fenomeno è ravvisabile pure in altri Paesi, laddove la presenza del cattolicesimo sia forte e strutturata).
Ricordo come l’ultimo atto ufficiale della Santa Sede sul problema “cremazione” sia l’istruzione Ad Resurgendum cum Cristo. Ad essa bisogna rapportarsi necessariamente.
Mi pare che i due riscontri forniti ad altrettanti quesiti posti dalla Diocesi di Bologna legittimino anche per Santa Romana Chiesa l’uso massivo del cinerario comune (ma manca la ritualità, se ne rileva un’ossessiva carenza!) e l’asportazione a fine devozionale di una piccola quantità di ceneri da quell’unicum inscindibile, rappresentato pur sempre dall’urna cineraria.
Detta proposta, questa volta sì rivoluzionaria per la nostra mentalità, se non erro sarebbe stata contenuta nel famoso DdL Vaccari, ma non è mai divenuta legge, per di più per il nostro ordinamento nazionale questa pratica, non solo non è ammessa, al contrario è severamente vietata (art. 343 comma 2 T.U.LL.SS ed art. 86 comma 2 D.P.R. n. 285/1990).

Dove conservare, allora il simbolico pizzico di ceneri del de cuius. Un diamante sintetico? Un pregiato monile? De gustibus non est disputandum…
Piuttosto, ho già scritto su “ISF” ed anche su Funerali.org sull’esperienza tedesca delle chiese adibite alla custodia delle urne (dietro versamento di relativo canone concessorio!). Brutto segno se le chiese si riempiono di morti e non di vivi. Però è un intelligente riuso di spazi sacri molto belli ma abbandonati altrimenti, poichè sconsacrati.
La nostra linea editoriale è sempre stata fedele ai principi di St. Cloud (…proveniamo da lontano, ormai!) con l’istituzione della moderna polizia mortuaria e della demanialità della funzione cimiteriale; quindi tendenzialmente è il cimitero il solo naturale presidio (per di più consacrato!) dove deporre le ceneri dei defunti, ed il camposanto è impianto esercito in regime di monopolio dal Comune.
No, quindi, a luoghi terzi a ciò deputati a loro volta, di proprietà, però, privata che si contrapporrebbero al più classico e rassicurante cimitero comunale, in regime questa volta di lucrosa concorrenza ai danni di quella comunità cittadina che l’Ente Locale deve invece tutelare e promuovere nel suo sviluppo sociale.

Il diritto canonico vieta il lucro e la speculazione nei luoghi sacri, come appunto i cimiteri (can. 1240 – 1243), al pari della legislazione civile.
È la natura stessa del plesso cimiteriale a rendere l’impianto incompatibile con qualunque altra attività estranea al culto dei morti, a norma, sempre, delle leggi canoniche.
Reputo ad oggi difficile che uno stabile deputato ad accogliere urne cinerarie, con scopo evidentemente commerciale, possa esser consacrato, sic stantibus rebus, naturalmente, e la Chiesa si sa – ha, o…dovrebbe avere, una prospettiva atemporale, nella sua azione salvifica.
Come si può giustamente rilevare, la Chiesa ha un orizzonte ben più ampio della nostra misera (forse) polizia mortuaria, ma sulle attività funerarie in genere le sue decisioni nella nostra tradizione almeno, hanno da sempre esercitato un forte ascendente, anche sugli aspetti più operativi (ad es. la estrema diffidenza, solo oggi mitigata, sulla cremazione in sé).
Questi precetti, generali ed astratti vanno poi declinati nelle diverse esperienze nazionali e delle specifiche comunità locali. Ciò che da noi è vietatissimo altrove è, per converso, ammesso. Anche nelle stesso rito delle esequie recentemente riformato si consentono grandi diversità nelle forme di espressione liturgica del lutto.
Sono principi di massima per di più di un ordinamento sovrastatale che vale solo per i fedeli, quindi convivere con due leggi (l’una giuridica e civile, l’altra religiosa e morale spesso tra loro confliggenti) costringe spesso a spericolatezze da equilibrista anche il più accorto e maturo cittadino-credente, e si spera pure coerente con i propri valori, religiosi, ma anche civili.

Davanti alla morte di qualcuno sarebbe un ulteriore trauma per il dolente/famigliare veder negate le esequie ecclesiastiche al de cuius per tendenze troppo libertarie di quest’ultimo sulla destinazione delle proprie ceneri.
La posizione del dicastero per la dottrina e la fede è, nel bene o nel male destinata ancora una volta ad influenzare le scelte funerarie degli italiani. Sempre più residualmente? Forse ed un giorno, chissà, ma ad oggi la Voce del Vaticano fa opinione e soprattutto fa discutere.
A Roma, oltre Tevere, governano un fenomeno quasi bimillenario, per sua stessa ampiezza, di dimensioni globali, e debbono con saggia prudenza trattenere gli opposti estremismi: dal divieto assoluto di cremazione e punto, alle aperture inaspettate sul fronte cremazionista, con l’istruzione Ad RESURGENDUM CUM CRISTO.
La Chiesa deve anche per sua missione temperare certe tendenze, non nego, abbastanza minimaliste sul presunto senso cristiano ancora tutto da conferire alla pratica funebre della dispersione ceneri, quando e se un giorno sarà lecita anche per i cattolici osservanti. Un ritorno al nulla eterno di foscoliana memoria? Una cupio dissiolvi nel mistero nella Divinità infinita? Un “…et in pulvem reverteris” da pessimismo cosmico leopardiano? Il librarsi finalmente dell’anima nel Regno dei Cieli, una volta sciolto il vincolo terreno, secondo fascinazioni platoniche? Sembrano raffinatezze teologiche, speciose elucubrazioni da catechismo mal appreso, eppure hanno una dannata importanza…almeno per chi creda in una vita oltremondana, sino alla Resurrezione dell’ultimo giorno.

Bene, allora, per la legittimazione ex post dei cinerari comuni (specifico: per legge ex art. 80 comma 6 D.P.R. n. 285/1990 interni ai cimiteri) come destinazione postrema delle ceneri, anche secondo la dottrina della Chiesa. Latita, però, completamente la relativa ritualità per il conferimento in cinerario comune, in cui coesistono elementi di conservazione in perpetuo e, parimenti di smarrimento della sepoltura individuale, contrassegnata dagli estremi identificativi del de cuius (per altro sempre rintracciabili nei Sulla natura pubblica dei registri cimiteriali, almeno in Italia).
Comunque, si evidenziano reazioni positive all’indicazione (estremi anagrafici?) dei defunti le cui ceneri siano state sversate in modo indistinto per la conservazione del senso comunitario della morte in un luogo di memorie storiche ed artistiche (il cimitero!) alla nuova linea adottata dall’alto magistero della Chiesa, in tema di nuove forme di destinazione delle ceneri, come per altro già previsto da alcune legislazioni regionali (Es. Toscana).
Rilevo ancora una volta la pesante e quasi parossistica assenza di un adeguata formula liturgica. Almeno, però, adesso non sarà sacrilego invocare una benedizione all’atto dello sversamento ceneri, né accompagnare il mesto atto con il segno della croce, vi fossero ancora dubbi sotto questo profilo, molto formale, posto che venga escluso ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista.

Written by:

Carlo Ballotta

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