Riportiamo, ripresa dal sito della Socrem Bologna, una intervista fatta al Prof. Campione, su come raccontare ai bambini la cremazione.
Come raccontare ai bambini la cremazione
Pubblicato 7 febbraio 2017
Che cosa rispondere ai bambini quando ci pongono domande sulla cremazione? Esistono delle regole da seguire? Dipende dall’età del bambino? Ne parliamo con il Prof. Francesco Campione.
Intervista di Alice Spiga, direttrice SO.CREM Bologna, al Prof. Francesco Campione, tanatologo, Presidente dell’Associazione Rivivere e autore del libro La domanda che vola – Educare i bambini alla morte e al lutto.
FL’idea di questa intervista è nata un giorno di metà novembre quando, uscendo dal Cimitero Monumentale della Certosa di Bologna, mi è capitato di superare una famiglia che, vestita a lutto, si dirigeva verso una macchina parcheggiata.
La madre teneva per mano un bambino che avrà avuto circa 8 anni. Il padre camminava accanto a loro, guardando per terra. Nel passare loro accanto, ho sentito la madre affermare: «Che cosa ne dici? Io vado a casa con il bambino. Non mi sembra il caso di portarlo al… crematorio».
Più dell’indecisione se portare o meno il figlio al polo crematorio, il dato che maggiormente mi ha colpito è stato che la madre abbia fatto una pausa prima di dire “crematorio” e che, nel nominarlo, abbia anche abbassato il tono della voce, come se si trattasse di una brutta parola che il bambino non doveva sentire.
Non so che cosa abbia risposto il padre – io ho proseguito per la mia strada, che non coincideva con la loro – però nei giorni seguenti non ho potuto fare a meno di ripensare a quel momento, mettendomi nei panni di quella madre che aveva il timore di dire ad alta voce, davanti al figlio, la parola “crematorio”.
Aveva fatto bene ad abbassare il tono della voce? È giusto o sbagliato evitare di portare i bambini al polo crematorio? E se iniziano a porci domande sulla cremazione, cosa possiamo rispondere ai nostri figli? Dipende anche dalla loro età oppure no?
Per trovare risposta a questi dubbi, che sono certa non siano solo miei, ho deciso di contattare il Prof. Francesco Campione, che è stato così gentile da rispondere ad alcune domande sul macro-tema “Come raccontare la cremazione ai bambini”.
Naturalmente, ho raccontato anche al Prof. Campione la piccola vicenda della quale ero stata testimone, così da introdurre il tema al centro di questa intervista.
«La prima domanda che potremmo porci, nell’analizzare la scena cui lei ha casualmente assistito, – esordisce il prof. Campione – è per quale motivo la madre abbassi la voce nel nominare il crematorio. Dietro l’abbassamento del tono ci sono infatti tre tabù principali, molto diffusi nella società italiana contemporanea:
Il tabù della morte, per cui evitiamo del tutto di parlare di morte con i bambini perché siamo convinti che la morte non debba avere nulla a che fare con loro, che debbano essere preservati e tenuti all’oscuro finché non riteniamo che possano sopportare l’esistenza della morte.
Il tabù del funerale, per cui talvolta abbiamo talmente paura che la partecipazione a un funerale possa traumatizzarli che scegliamo per loro di tenerli a casa, senza coinvolgerli nella decisione se partecipare oppure no (anche perché spesso non sappiamo nemmeno come spiegargli che cosa sia un funerale).
Il tabù del destino del corpo dopo la morte. È in questo tabù che risiede la cremazione, insieme al polo crematorio e alle altre forme di trattamento del cadavere: tumulazione e sepoltura.
«Questo terzo tabù è quello più difficile da infrangere perché, anche se i genitori cercano di tenere i propri figli lontani dalla morte e dai funerali, prima o poi inevitabilmente ne verranno in contatto e i genitori saranno costretti a rispondere alle loro domande, infrangendo il tabù.
«La cremazione e il polo crematorio risiedono invece in una zona d’ombra ancora più fitta: il cadavere non si vede, le ceneri potrebbero anche non destare alcuna curiosità, quindi sarà molto più difficile che il bambino ponga delle domande, e i genitori potrebbero anche non parlare mai con i loro figli del destino del corpo dopo la morte.»
E se il bambino dovesse cominciare, per un motivo o per un altro, a porre delle domande sulla cremazione? Che cosa dovrebbe rispondere un genitore?
«Le risposte sulla cremazione dipendono da un primo fattore fondamentale: l’età del bambino. Secondo le tappe evolutive del concetto di morte (1) che la ricerca psicologica ha individuato allo stato attuale, i bambini:
Fino ai 3 anni sono convinti che la morte sia un evento reversibile e non universale del quale tende a non comprenderne le cause.
Tra i 4 e i 6 anni comprendono che la morte è irreversibile e universale, ma la causa può essere anche non naturale o biologica (ad esempio una magia o una volontà cattiva).
Tra i 6 e i 9 anni comprendono che la morte è una cessazione irreversibile delle funzioni vitali, che avviene per ragioni biologiche, che è universale e che riguarda anche loro.
«Sarebbe quindi meglio evitare di spiegare che cos’è realmente la cremazione a un bambino di tre anni. Allo stesso tempo però, visto che è convinto che la morte sia un evento reversibile, si potrebbe raccontare che il corpo con la cremazione diventa fumo, che diventa solido e si ricompone in aria.
«In questo modo, tra l’altro, si offrirebbe una risposta in linea con il pensiero magico che, per un bambino della sua età, circonda completamente il concetto della morte.»
E quando il bambino ha tra i 4 e i 6 anni? Come si potrebbe raccontare la cremazione?
«In questa fase il bambino sa che la morte è un processo irreversibile, che dalla morte non si torna, però crede ancora che possa essere il risultato di forme magiche e maligne. Qui il terreno è fertile per raccontare la cremazione, sempre però in termini magico/fiabeschi. Ad esempio si potrebbe dire che il fuoco serve a scacciare gli spiriti maligni e a purificare il corpo morto.
«Quando, infine (tra i 6 e i 9 anni), il bambino sa che la morte è un’interruzione delle funzioni vitali, che il corpo diventa un cadavere destinato a decomporsi e a tornare ai suoi elementi base, allora sì, gli si può spiegare che la cremazione serve a bruciare il corpo, accelerando questo processo naturale.»
Da una certa età in avanti, ritiene quindi che i bambini dovrebbero essere educati anche al destino del corpo dopo la morte?
«Qualsiasi cosa si decida di dire ai propri figli (che il corpo muore e si decompone o che un giorno ci sarà una resurrezione), è importante che, da una certa età in poi, sappiano che il cadavere può essere sepolto, tumulato oppure cremato. Ritengo infatti che, per essere un buon cittadino, non sia sufficiente l’educazione civica.
«Molti pregiudizi sociali nascono perché l’educazione ricevuta in famiglia è univoca, spesso per insicurezza dei genitori o per paura che, se i bambini sentono opinioni diverse, possano esserne “corrotti”, finendo per intraprendere strade diverse. Bisognerebbe invece dire prima i fatti e poi quello che si pensa.
«Ad esempio: “In Italia si può scegliere se essere sepolti, inumati o cremati. Io penso sia meglio questo, per questo e questo motivo, ma tu potrai scegliere quello che preferisci, perché il corpo è tuo”. In questo modo porteremo i nostri figli a scegliere consapevolmente della loro morte come scelgono consapevolmente della loro vita».
Per quanto riguarda, infine, le istituzioni? Le scuole, ad esempio, ritiene sarebbe utile coinvolgerle per portare i bambini in visita al cimitero o al Polo Crematorio?
«Non credo che il nostro Paese sia maturo per iniziative di questo genere perché, nel nostro contesto culturale, ci sono i genitori che vogliono che i figli sappiano tutto sulla morte, difendendo il loro “diritto alla verità” anche su questo tema, e quelli che invece vogliono tenerli all’oscuro, inventando “favole” che possano rassicurare i bambini, “preservandoli” dalla verità traumatizzante della morte.
«Ora, premesso che, a mio avviso, nella società odierna né le favole né il realismo dei fatti possono funzionare se si propongono separatamente, in questo contesto mi preme sottolineare che, se una scuola volesse organizzare una visita a un cimitero, immediatamente si formerebbero due fazioni: i genitori contrari perché convinti che questo traumatizzerebbe i loro bambini, e quelli che si lamenterebbero perché di visite come queste bisognerebbe proporne molte di più, finendo per bloccare ogni iniziativa».
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Note
(1) Francesco Campione, La Domanda che vola – Educare i bambini alla morte e al lutto, ed. Dehoniane, Bologna, 2012, pagg. 26-27