Cara Redazione,
scrivo dall’Emilia Romagna; in caso di cremazione di resto mortale (quindi dopo 20 anni dalla tumulazione) portatore di pacemaker, a chi tocca l’onere della rimozione?
Può essere eseguito dagli operatori cimiteriali? Come si smaltisce il pace-maker?
Risposta:
Si segue, in toto, il dettato dell’Art. 12 della Legge Regione Emilia Romagna 29 luglio 2004 n. 19, secondo cui la vigilanza sulle operazioni cimiteriali transita in capo allo stesso gestore del camposanto.
Solo per le esumazioni ed estumulazioni straordinarie, in particolari situazioni, si potrà richiedere il parere igienico sanitario.
Si segnala però la necessità di normare in sede comunale le modalità delle esumazioni ed estumulazioni, individuando anche la figura sostitutiva per la verifica del rispetto delle condizioni regolamentate dal CAPO XVII DPR n. 285/1990, che la L.R. già individua nel personale da cui sono effettuate le operazioni cimiteriali, purché esso sia adeguatamente formato.
Sarà quindi necessaria l’emanazione di una specifica normativa in materia (ordinanza del Sindaco ai sensi del combinato disposto tra gli Artt. 82 comma 4 e 86 comma 1 DPR n. 285/1990 o regolamento di polizia cimiteriale) e conseguentemente prevedere uno specifico percorso d’addestramento per i necrofori-affossatori, anche per risolvere situazioni dubbie di questo tipo.
La questione dello stimolatore cardiaco è annosa soprattutto per gli apparecchi di vecchia concezione, alimentati a nuclidi radioattivi, perché durante la cremazione potrebbero, per il forte calore, esplodere, provocando ingenti danni alle pareti del forno, realizzate con materiale refrattario.
Ponzio Pilato (noto igienista il quale sui problemi di giustizia terrena e natura cristologica si lavava bellamente le mani) suggerirebbe:
a) di far firmare a chi richiede la cremazione del resto mortale, su propria responsabilità, civile soprattutto, ma anche penale ex Art. 76 DPR n. 445/2000 una dichiarazione, nella forma dell’atto sostitutivo di atto di notorietà, in cui escluda la presenza del pacemaker sul corpo da incinerare o comunque la sua intrinseca pericolosità.
b) reperire presso i famigliari del defunto la documentazione sanitaria in cui si attesti la tipologia del pacemaker impiantato, eccettuando, così, ab origine, la malaugurata ipotesi di batteria a radio nuclidi, assolutamente deleteria per l’impianto di cremazione.
La soluzione di cui al punto b) sarebbe la più ragionevole, veritiera e certa, anche ai sensi dell’Art. 49 DPR n. 445/2000, secondo cui le attestazioni sanitarie non sono surrogabili da soggetti terzi attraverso l’autocertificazione, ma per interventi d’impianto molto risalenti nel tempo è assai improbabile poter produrre agli atti tutte le necessarie certificazioni sanitarie, anche perché, dati i decenni ormai trascorsi, il medico che eseguì l’applicazione dello stimolatore cardiaco, potrebbe anche non esser più rintracciabile o reperibile.
Si ritiene che in sede di ricognizione sul mancato stato di avvenuta mineralizzazione del cadavere, quando cioè si schiude la cassa di zinco e si rinviene il defunto ancora o parzialmente integro competa a chi esegue questa operazione, invero, piuttosto scabrosa (di solito, quindi, al caposquadra necroforo) la rimozione di eventuale pacemaker (L’AUSL nella stesura dell’ordinanza sindacale di cui cui sopra potrebbe suggerire anche, magari a latere, in modo particolare per quanto riguarda raccolta e smaltimento del rifiuto) un piccolo protocollo operativo cui i necrofori dovranno scrupolosamente attenersi (tanti auguri ai colleghi in servizio presso il Suo cimitero perché la ricerca del pacemaker non deve esser per nulla gradevole!).
Sarebbe molto proficuo interessare l’A.USL, per una sua valutazione complessiva sulla procedura da adottare, siccome casi di questo genere, con l’appressarsi delle estumulazioni massive di feretri sepolti negli anni ‘80 ed inizio ’90 in avelli dati in concessione con durata trentennale (siamo ben oltre i 20 anni fissati dalle legge come tempo minimo di permanenza nel sepolcro) il fenomeno è destinato a ripresentarsi puntualmente ed in modo sempre più frequente.
Se c’è anche il solo sospetto di una possibile contaminazione con i radionuclidi della pila è d’obbligo la segnalazione all’AUSL, la quale provvederà alla rimozione, in tutta sicurezza con proprio personale, anche se qui da noi, in Emilia Romagna le AUSL si stanno progressivamente spogliando delle funzioni di polizia mortuaria, in forza del processo di de-medicalizzazione della stessa, iniziato ben prima e non so quanto legittimamente, della promulgazione della Legge Regionale n. 19/2004.
Il pacemaker espiantato è, a tutti gli effetti, rifiuto pericoloso (a rischio infettivo anche in quanto è entrato direttamente a contatto con i liquidi cadaverici?) e come tale va trattato, ai sensi del DPR n.254/2003