Chi deve rimuovere il pace-maker nei cadaveri destinati a cremazione?

La questione su chi possa, o debba, effettuare l’asportazione dello stimolatore cardiaco è ancora piuttosto controversa, la Regione Lombardia, ad esempio, aveva prvisto di emanare, a tal proposito, un decreto dirigenziale ai sensi dell’ Art. 10/2 L.R. 22/2003 (Modalità e casi in cui effettuare rimozione di protesi di salme destinate a cremazione) ora confluita nel Testo Unico delle Leggi Sanitarie Regionali

La stessa regione Lombardia, con il paragrafo 6 della circolare n. 7 del 9 febbraio 2004, ha, poi, limitato la portata del provvedimento, precisando come si renda necessario togliere il pace-maker sono in caso quest’ultimo sia alimentato con radionuclidi, per altro, ormai nemmeno più utilizzati, almeno nei modelli più recenti.

Al momento, a livello nazionale, non sussiste alcuna disposizione di legge in proposito, anche se diverse normative regionali, (esempio: Regione Toscana: decreto dirigenziale n. 1688 del 9 maggio 2011, Regione Lombardia, allegato 3 delibera n. 20278 del 21 gennaio 2005) avendo elaborato un modello unificato per l’accertamento di morte (= certificato di avvenuta visita necroscopica) fanno sorgere in capo allo stesso medico necroscopo l’obbligo di segnalare al gestore dell’impianto di cremazione se il defunto fosse o meno portatore di stimolatore cardiaco.

In sede di lavori preparatori della revisione del regolamento di polizia mortuaria nazionale, verso la fine degli anni ’90, si era dibattuto a lungo su questo problema.

Secondo alcuni esperti non vi sarebbe alcun rischio se si immettono nel forno crematorio cadaveri ancora provvisti di pace-maker.

In dottrina si ritiene, invece, vi possa essere reale pericolo per la salute pubblica, e per l’impianto di cremazione, nel caso di defunti portatori dei vecchi pace makers che traevano energia da batterie con materiale radioattivo, anche se di limitata potenza, per l’effetto accumulo che lo stesso avrebbe sulla pietra refrattaria, e sui meccanismi interni del forno come il carrello che serve per il caricamento del feretro.

È comunque argomento da approfondire e nell’incertezza si potrebbe mantenere la prassi di fatto esistente.

Su scala internazionale spesso si procede d’ufficio con l’espianto preventivo dei pace makers o perché previsto da legge o per routine, o ancora su diretta richiesta del gestore del crematorio.

Ci risultano rare le circostanze in cui non si provveda ad espianto preventivo.

Sotto il profilo meramente operativo è bene sapere della presenza del pace maker impiantato, in modo da adottare tutti gli accorgimenti tecnici più opportuni.

E’ sufficiente, nella maggior parte dei casi, portare il forno ad una temperatura superiore all’ordinario per un limitato periodo di tempo, così da evitare imprevisti, improvvisi scoppi o altre noie nel condurre a termine, con successo, il processo della cremazione, ma possono essere ben più chiare in materia le ditte produttrici degli impianti.

 

L’ espianto, naturalmente, è oneroso ed a carico della famiglia che richiede la cremazione (salvi i casi di indigenza, disinteresse, vita sola in analogia con le norme di cui all’Art. 1 comma 7 bis Legge 28 febbaraio 2001 n. 26).

 

Tra i compiti esclusivi del medico necroscopo non si annovera, attualmente, la rimozione dei pace maker, essa allora potrebbe anche esser eseguita da personale medico, o tecnico delegato, non necessariamente incaricato delle precipue mansioni di medico necroscopo. Si ricorda la L. 26 febbraio 1999, n. 42.

Certo dal punto di vista funzionale, se si esclude l’evenienza di autopsia o riscontro diagnostico il necroscopo è l’ultimo sanitario ad entrare in contatto con la salma, quindi, potrebbe esser affidata a lui quest’incombenza, senza ulteriori aggravi procedurali (anche in termini di ottimale impiego delle risorse umane) per l’autorità sanitaria.

Al contrario, si dovrà intervenire sullo stimolatore cardiaco solo dopo la visita necroscopica che esclude in modo incontrovertibile anche il solo sospetto di morte apparente, in caso contrario si cagionerebbe l’inibizione di possibili segni di vita come appunto il battito cardiaco.

 

 

 

In sintesi, il pace maker può esser sì espiantatato, ma solo quando la salma, per effetto del completo decorso del periodo d’osservazione e soprattutto della visita necroscopica, sia divenuta cadavere.

 

In un futuro non troppo lontano l’eliminazione dello stimolatore cardiaco potrebbe rientrare nella sfera di competenze dell’addetto al trasporto ormai diretto responsabile di tutto il processo di confezionamento del feretro, puntura conservativa compresa, (almeno in Emilia Romagna) a questo punto, però, i necrofori dovrebbero saper padroneggiare almeno i principi della tanatoprassi, perché occorrerebbe pur sempre un intervento cruento ed invasivo, anche se di modestissima entità.

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Carlo Ballotta

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4 thoughts on “Chi deve rimuovere il pace-maker nei cadaveri destinati a cremazione?

  1. il solito casino di leggi italiane , poi ogni regione legifera in modo diverso e il luogo in cui si muore determina la modalità burocratica più o meno incasinata.
    propongo di far mettereobbligatoriamente il peace maker a tutti i politici anche se non consenzienti
    moriturus vos saluta

  2. X Daniele,

    Regione Emilia-Romagna ‘nevvero?

    Si segue, in toto, il dettato dell’Art. 12 della Legge Regionale 29 luglio 2004 n. 19 secondo cui la vigilanza sulle operazioni cimiteriali transita in capo allo stesso gestore del camposanto.

    Solo per le esumazioni ed estumulazioni straordinarie, in particolari situazioni, si potrà richiedere il parere igienico sanitario.

    Si segnala però la necessità di normare in sede comunale le modalità delle esumazioni ed estumulazioni, individuando anche la figura sostitutiva per la verifica del rispetto delle condizioni regolamentate dal CAPO XVII DPR n. 285/1990, che la L.R. già individua nel personale da cui sono effettuate le operazioni cimiteriali, purché esso sia adeguatamente formato.

    Sarà quindi necessaria l’emanazione di una specifica normativa in materia (ordinanza del Sindaco ai sensi del combinato disposto tra gli Artt. 82 comma 4 e 86 comma 1 DPR n. 285/1990 o regolamento di polizia cimiteriale) e conseguentemente prevedere uno specifico percorso d’addestramento per i necrofori-affossatori, anche per risolvere situazioni dubbie di questo tipo.

    La questione dello stimolatore cardiaco è annosa rileva soprattutto per gli apparecchi di vecchia concezione, alimentati a nuclidi radioattivi, perché durante la cremazione potrebbero, per il forte calore, esplodere, provocando ingenti danni alle pareti del forno, realizzate con materiale refrattario.

    Ponzio Pilato (noto igienista il quale sui problemi di giustizia terrena e natura cristologica si lavava bellamente le mani) suggerirebbe:

    a) di far firmare a chi richiede la cremazione del resto mortale, su propria responsabilità, civile soprattutto, ma anche penale ex Art. 76 DPR n. 445/2000 una dichiarazione, nella forma dell’atto sostitutivo di atto di notorietà, in cui escluda la presenza del pacemaker sul corpo da incinerare o comunque la sua intrinseca pericolosità.

    b) reperire presso i famigliari del defunto la documentazione sanitaria in cui si attesti la tipologia del pacemaker impiantato, eccettuando, così, ab origine, la malaugurata ipotesi di batteria a radio nuclidi, assolutamente deleteria per l’impianto di cremazione.

    La soluzione di cui al punto b) sarebbe la più ragionevole, veritiera e certa, anche ai sensi dell’Art. 49 DPR n. 445/2000 secondo cui le attestazioni sanitarie non sono surrogabili da soggetti terzi attraverso l’autocertificazione, ma per interventi d’impianto molto risalenti nel tempo è assai improbabile poter produrre agli atti tutte le necessarie certificazioni sanitarie, anche perché, dati i decenni ormai trascorsi, il medico che eseguì l’applicazione dello stimolatore cardiaco, potrebbe anche non esser più rintracciabile o reperibile.

    Si ritiene che in sede di ricognizione sul mancato stato di avvenuta mineralizzazione del cadavere, quando cioè si schiude la cassa di zinco e si rinviene il defunto ancora o parzialmente integro competa a chi esegue questa operazione, invero, piuttosto scabrosa (di solito, quindi, al caposquadra necroforo) la rimozione di eventuale pacemaker (L’AUSL nella stesura dell’ordinanza sindacale di cui cui sopra potrebbe suggerire anche, magari a latere, in modo particolare per quanto riguarda raccolta e smaltimento del rifiuto) un piccolo protocollo operativo cui i necrofori dovranno scrupolosamente attenersi (tanti auguri ai colleghi in servizio presso il Suo cimitero perché rovistare nella cavità toracica di un resto mortale alla ricerca del pacemaker non deve esser per nulla gradevole!).

    Sarebbe molto proficuo interessare l’AUSL, per una sua valutazione complessiva sulla procedura da adottare, siccome casi di questo genere, con l’appressarsi delle estumulazioni massive di feretri sepolti negli anni ‘80 in avelli dati in concessione con durata trentennale (siamo ben oltre i 20 anni fissati dalle legge come tempo minimo di permanenza nel sepolcro) il fenomeno è destinato a ripresentarsi puntualmente ed in modo sempre più frequente.

    Se c’è anche il solo sospetto di una possibile contaminazione con i radionuclidi della pila è d’obbligo la segnalazione all’AUSL, la quale provvederà alla rimozione, in tutta sicurezza con proprio personale, anche se qui da noi, in Emilia Romagna le AUSL si stanno progressivamente spogliando delle funzioni di polizia mortuaria, in forza del processo di de-medicalizzazione della stessa, iniziato ben prima e non so quanto legittimamente, della promulgazione della Legge Regionale n. 19/2004.

    Il pacemaker espiantato è, a tutti gli effetti, rifiuto solido pericoloso (a rischio infettivo anche in quanto è entrato direttamente a contatto con i liquidi cadaverici?) e come tale va trattato, dopo opportuna sterilizzazione ai sensi del DPR n.254/2003

  3. Scrivo dall’Emilia Romagna; in caso di cremazione di resto mortale ( qundi dopo 20 anni dalla tumulazione ) portatore di pacemaker, a chi tocca l’onere della rimozione? Può essere eseguito dagli operatori cimiteriali ? Come si smaltisce il pacemaker ?

  4. E’ bene che il feretro giunga all’impianto di cremazione dopo l’espianto (se non altro perchè non è minimamente ammissibile aprire la bara per operazioni di questo tipo, una volta chiusa e debitamente sigillata; si trascura ogni considerazione se nell’impianto sia presente locale idoneo e/o personale per questo).
    Anche se non prescritto, è opportuno indicare nell’autorizzazione l’avvenuta rimozione del pace-maker (ed evito di indicarne le motivazioni di questo “suggerimento”).

    Da parte di ambienti sanitari si tende a considerare l’eliminazionedel pace maker un c.d. atto medico, in quanto atto invasivo (seppure lievemente), altri, invece, considerano che una (comprensibile) riserva a funzioni di esercenti professioni sanitarie, cessi con la morte (ovviamente, salvaguardando il riscontro diasgnostico oppure l’autopsia o il trattamento di imbalsamazione, indipendentemente da quale sia il procedimento seguito e/o dalla sua efficiacia o durata).

    Nel caso, poi, di cremazione di resti mortali mi sovviene un dubbio un sul rilascio della relativa autorizzazione: essa può basarsi sull’autocertificazione dei parenti i quali dichiarano che il defunto non era portatore di stimolatore cardiaco.

    Si applica, forse, l’art. 49 Comma. 1 del D.P.R. n. 445/2000 dove testualmente si dice: “I certificati medici, sanitari, [……] non possono essere sostitutiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore”.

    Personalmente semplificherei, in quanto non si tratta di un certificato medico/sanitario vero e proprio.

    Non bisogna, infatti, attestare uno stato di salute (da tempo, un po’ … cessata), ma se, al contrario, vi sia un “oggetto” (dispositivo) o meno ….

    Così non richiederei neppure una dichiarazione ex art. 47 dPR n.445/2000, ritenendo sufficiente che questa “indicazione” sia presente nell’assenso.

    Oltretutto, nell’eventualità di irreperibilità dei familiari (art. 3, 1, lett. g) L. 30/3/2001, n. 130), chi potrebbe riportare questa notizia, la cui funzione è quella di evitare possibili danni all’impianto di cremazione, si renderebbe, allora, necessaria per ogni estumulazione/esumazione di resto mortale finalizzata alla cremazione dello stesso un’attenta ricognizione, da parte dei necrofori, sullo stato dell’esito da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo, per nulla facile e scontata.

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