Conservazione dei permessi di seppellimento e altro

Un comune ha chiesto di conoscere “quali siano i tempi obbligatori per la conservazione dei permessi di seppellimento. Ho scorso il massimario di scarto previsto per il piano di classificazione che abbiamo adottato, ma non sono sicura/o che siano i 10 anni previsti per gli atti da annotare sui registri di stato civile. E’ pur vero che per i registri cimiteriali, dove sono annotati i permessi di seppellimento, si prevede la conservazione permanente. quindi mi trovo in dubbio sul singolo permesso che accompagna il defunto, deceduto nel o fuori comune. Per quanto tempo va conservato?

La formulazione del quesito è interessante per il fatto di indicare l’adozione, localmente, di un “massimario di scarto” (in cui, localmente, è presente un termine), ma anche per la necessaria distinzione tra i documenti (e le materie relative).

Come qualcuno forse ricorda l’art. 141 R,D, 9 luglio 1939, n. 1238 (abrogato) disponeva che il medico necroscopo doveva attestare l’avvenuto accertamento della morte (c.d. certificati necroscopici) e che detto certificato dovesse essere allegato ai registri per gli atti di morte, andandone ad integrare, ex post, il fascicolo degli allegati, fascicolo destinato, dopo la verifica di gennaio, ad essere depositato, congiuntamente ad un esemplare dei registri per gli atti di morte, nell’archivio (allora) del tribunale, dove veniva conservato fino al raggiungimento del termine per il versamento all’Archivio di Stato (40 anni, oggi divenuti 30).
Oggi, l’art. 74, comma 2, ultimo periodo d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. prevede che questo certificato sia “annotato” nell’archivio previsto dal precedente art. 10, archivio non attuato (anche se le relative disposizioni attuative avrebbero dovuto essere emanate entro il 31 dicembre 2001).
Per altro, queste norme si riferiscono al certificato necroscopico, non al permesso di seppellimento (oggi; autorizzazione all’inumazione o alla tumulazione e, distintamente, alla cremazione).
A stretto (formale) rigore non sarebbe previsto che il permesso di seppellimento (autorizzazione) debba essere formato in più esemplari, uno dei quali conservato dall’ufficiale dello stato civile, anche se sia abbastanza generalizzato come comportamento ma con alcune eccezioni la prassi nelle pubbliche amministrazioni di tenere “minuta” dei documenti che emettono.

Il permesso di seppellimento (autorizzazione) invece è espressamente preso in considerazione all’art. 52, comma 2 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (del tutto intenzionalmente si cita questa disposizione, prescindendo da eventuali norme regionali variamente presenti nei territori), dove è prescritto che il responsabile del servizio di custodia del cimitero “ritiri e conservi” tale autorizzazione (ricordando, nell’occasione) anche il precedente art. 23) che (lett. a) è oggetto di “iscrizione” sui registri cimiteriali.
Di qui, la questione attorno a quanto debba durare questa “conservazione”, del tutto correttamente distinguendosi, nel quesito per come formulato, tra la conservazione dei registri cimiteriali (decorso l’anno di riferimento, conservati insiti diversi (cimitero ed archivio comunale) e documenti (autorizzazione e decreto di trasporto).

Per inciso, questione analoga si pone per il verbale considerato all’art. 81 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., nonché per le autorizzazioni (o, comunque, documenti) di vario oggetto in relazione alla cremazione e destinazioni delle ceneri).

In proposito, dovrebbe farsi riferimento alle disposizioni del d.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409 (se non fosse stato abrogato, con limitazioni (parzialmente: all’articolo 21, commi 1 e 3, e comma 2, nel testo, rispettivamente, modificato e sostituito dall’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 281; agli articoli 21-bis e 22, comma 1, nel testo, rispettivamente, aggiunto e modificato dall’articolo 9 del medesimo decreto legislativo;…) , dall’art 184 D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.
Questo ultimo, all’art.41, comma 3, dispone che nessun versamento di documenti all’Archivio di Stato possa essere ricevuto se non siano state effettuate le operazioni di scarto da parte di apposite Commissioni di sorveglianza (che, per le amministrazioni statali, sono composte dal soprintendente all’archivio centrale dello Stato e dai direttori degli archivi di Stato quali rappresentanti del Ministero, e rappresentanti del Ministero dell’interno) aventi il compito di vigilare sulla corretta tenuta degli archivi correnti e di deposito, di collaborare alla definizione dei criteri di organizzazione, gestione e conservazione dei documenti, di proporre gli scarti, di curare i versamenti, di identificare gli atti di natura riservata.
In verità, per le amministrazioni pubbliche in generale vi sarebbero anche gli artt. 67, 68 e 69 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e s.m., cosa che poco apporta per i termini di conservazione, salvo che il primo (comma 1) riguardante il “trasferimento dall’archivio corrente a quello di deposito”, aspetto che, nel caso, trova coerenza con l’art. 53 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m..

Fino a che vigente, il d.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409, il suo art. 35 disponeva che gli enti pubblici stabilissero, con provvedimento motivato dei rispettivi organi deliberanti, quali documenti dei propri archivi fossero da scartare, provvedimento sottoposto all’approvazione dell’autorità che ha vigilanza sull’ente (se ve ne sia) previo nullaosta del sovrintendente archivistico. Per inciso, l’art. 30, comma 1, lett. c) prevedeva, per quanto possa attenere, la possibilità di istituire sezioni separate d’archivio per atti esauriti da (oggi) 30 anni.

L’obbligo di conservazione persiste per l’art. 30 D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m., mentre i termini sono individuati all’art. 41, comma 1 che considera: (a) documenti relativi agli affari esauriti da oltre 30, unitamente agli strumenti che ne garantiscono la consultazione, (b) le liste di leva e di estrazione sono versate 70 dopo l’anno di nascita della classe cui si riferiscono, (c) gli archivi notarili versano gli atti notarili ricevuti dai notai che cessarono l’esercizio professionale anteriormente all’ultimo centennio. Trascurando le ultime due tipologie, emerge come il principio generale possa essere colto nelle fattispecie della lett. (a), cioè 30 anni (la riduzione da 40 a 30 anni è avvenuta on l’art. 12, comma 4, lett. b) del D.-L. 31 maggio 2014, n. 83, convert. in L. 29 luglio 2014, n. 106).

In relazione all’art. 35 d.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409 (e sue modificazioni inclusa l’abrogazione, per quanto limitata), nonché sulle commissioni per lo scarto degli atti d’archivio, ed altresì (o, soprattutto) ) rispetto alle modifiche riguardanti gli Enti Locali (si cita, per brevità, solamente il D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.) si può concludere che:

= A = le procedure di scarto dei permessi di seppellimento (autorizzazioni), decreti di trasporto, verbali ex art. 81 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., possano essere oggetto di procedura di scarto decorsi 30 anni (operativamente potrebbe suggerirsi di provvedevi con riferimento all’anno completo e non alla data dei singoli documenti, consentendo di descrivere i documenti in modo “generico” (es: le autorizzazioni/verbali relativi a … dell’anno …) e non per singoli documenti;

= B = si ritiene che permanga il previo parere del sovrintendente archivistico, sulla base di una proposta delle tipologie di atti oggetto di provvedimento di scarto;

= C = circa gli “organi deliberanti”: tenendo conto degli artt. 50, comma 4 e 61 (e ss.) d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e s.m., si deve ritenere che uno dei 2 organi tecnicamente oggi “deliberanti”, nella fattispecie la giunta (art. 48) possa adottare un atto di indirizzo politico-amministrativo, ai sensi del successivo art. 107, comma 1 con cui fornisce al dirigente (o, nei comuni che siano privi di figure dell’area dirigenziale, a chi ne assolva le funzioni) gli “indirizzi” da seguire per la conservazione dei documenti e, in questo contesto, anche quelli per le procedure di scarto. Tali “indirizzi” possono essere raccolti in appositi “massimari per lo scarto dei documenti, aventi il pregio di fornire una sistematizzazione delle procedure.

Infine, dato che nel quesito vi è un’indicazione per un periodo più breve, si ritiene solo di osservare come un’analisi normativa non consenta di affrontare questo aspetto, principalmente considerando l’Autonomia degli Enti Locali

(riconosciuta dall’art. 5 Cost.), che ben potrebbe valutare come determinate tipologie di documenti presentino caratteristiche più “leggere” rispetto agli (ordinari) termini degli obblighi di conservazione, anche se non guasterebbe in proposito un parere, un nulla osta del sovrintendente archivistico. Si ha, a titolo personale, notizia che ciò sia avvenuto con riguardo ai verbali di cui all’art. 81 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. in cui il sovrintendente archivistico locale abbia “autorizzato” una conservazione per 3 anni.

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Sereno Scolaro

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