Su Repubblica, cronaca di Torino del 29 aprile, è apparso l’articolo seguente:
Azienda a rischio per colpa del cimitero. I sindacati scrivono a Napolitano
Fim, Fiom e Uilm hanno inviato una lettera al presidente della Repubblica chiedendogli di sbloccare l’impasse in cui è scivolata la Sert di Leinì, impresa messa in ginocchio dall’espansione del vicino camposanto di Caselle
di STEFANO PAROLAE’ finito sulla scrivania del presidente della Repubblica il caso della Sert di Leinì, l’azienda che rischia di chiudere perché il Comune di Caselle ha deliberato l’espansione del cimitero che confina con lo stabilimento. I tre sindacati metalmeccanici torinesi, Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil, hanno infatti scritto una lettera a Giorgio Napolitano in cui chiedono alla massima carica dello Stato di sbloccare l’impasse in cui è finita l’impresa metalmeccanica, che con 70 tra dipendenti diretti e indotto è tra i principali fornitori di catene di montaggio del gruppo Fiat.
Nella loro missiva le tre sigle raccontano che “questa piccola realtà rischia di sparire, perchè il Comune di Caselle Torinese ha voluto costruire un nuovo cimitero a pochi metri dal muro di cinta dello stabilimento creando vincoli di inedificabilità, di zonizzazione acustica e quindi l’abbattimento del valore patrimoniale dell’azienda”. Insomma, i macchinari sarebbero troppo rumorosi per il vicino luogo di culto e, in più, la Sert possiede aveva acceso mutui anche grazie a un’ipoteca su un terreno sul quale, causa espansione del camposanto, non è più possibile costruire.
Eppure, accusano Fim, Fiom e Uilm, “dagli enti pubblici sono arrivate tante promesse ma fino ad ora non si è visto nulla di concreto”. E spiegano: ” Questa è una situazione al limite del paradosso: sindacati, lavoratori e imprenditore fianco a fianco, senza distinzione di sigle. La Sert ha lavoro per milioni di euro ed il potenziale per assumere almeno altre cinque persone ma i lavoratori non prendono lo stipendio da quattro mesi per colpa dei finanziamenti promessi e che non arrivano”.
Dunque, concludono le tre organizzazioni, “chiediamo a lei, signor presidente di aiutarci a porre fine a tutto questo”.
Tutta colpa delle zone di dispetto?