Riportiamo, tratto dal blog www.giuristiediritto.it un parere penale redatto dall’avvocato Maria Sabina Lembo, che affronta una tematica di particolare interesse, quale il vilipendio di cadavere in un aoperazione cimiteriale.
Traccia:
Tizio, deceduto nel 1965, era stato sepolto in una tomba sotterranea appartenente a parenti.
Nel 2006 Mevia, comproprietaria della tomba, telefona a Sempronia avvisandola che il proprio marito Filano è deceduto e che quindi occorre togliere dalla tomba il cadavere del fratello Tizio per fare posto al nuovo defunto.
Nel cimitero, oltre i parenti del defunto, sono presenti l’impresario di pompe funebri, il custode del cimitero ed un dipendente comunale.
Per fare spazio nella tomba, si rende necessario trasferire il cadavere di Tizio dalla bara originaria in una più piccola di zinco, che già era stata portata sul posto dall’impresario di pompe funebri.
Aperta la bara, emerge però che il cadavere è intatto e mummificato.
Si decide quindi di procedere al suo spezzettamento mediante taglio delle articolazioni con uno strumento e quindi al suo inserimento nella bara più piccola.
L’operazione viene materialmente compiuta dal custode e dal dipendente comunale.
Il candidato, premessi brevi cenni sulla pietà verso i defunti, in qualità di legale del custode e del dipendente comunale, rediga parere motivato.
BREVI CENNI TEORICI
Gli artt. 410-413 c.p.tutelano il sentimento di pietà verso i defunti che viene offeso da comportamenti rivolti contro il cadavere del defunto o contro le sue ceneri (oggetto di un culto pietoso e laico, e di conservazione attenta e rispettosa).
Tali norme incriminatrici non tendono alla tutela della salute pubblica, né tutelano i cadaveri e le ceneri in sé, come possibili soggetti di diritti o di altri legittimi interessi, ma in quanto riflettono un settore della sfera sentimentale dei membri della comunità, indipendentemente dalla loro eventuale appartenenza ad una confessione religiosa. La tutela, infatti, è sganciata da connotazioni di ordine religioso.
Si parla correttamente di culto dei morti, non di culto della salma, la quale costituisce solo strumento, non oggetto della tutela penale.
Esso si estrinseca in un sentimento di affetto, pietà, dolore, venerazione e rispetto verso i defunti, i loro corpi, e i luoghi che li conservano.
Elemento comune ai reati previsti dagli artt. 410 e ss. è il concetto di cadavere, con il quale si fa riferimento alla spoglia umana inanimata, ovvero al corpo umano che abbia subito la compromissione irreversibile delle essenziali funzioni degli organi.
Presupposto del concetto di cadavere consiste nel previo verificarsi della morte.
Per la determinazione del momento della morte di una persona che abbia vissuto, rilevante per considerarne il corpo quale cadavere, l’art. 1 legge 578/1993 ha identificato la morte con “la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”, non facendo definitivamente più riferimento alla cessazione del battito cardiaco o della respirazione, che possono servire tuttavia come strumenti di accertamento della morte (art. 2 l. 578/1993).
E’ controverso, invece, se ulteriore presupposto affinché possa parlarsi di cadavere ai sensi degli artt. 410 e ss. sia la vita, qualunque durata essa abbia avuto, il che ha grande rilevanza per determinare la possibilità di tutelare penalmente, ai sensi degli articoli in esame, il corpo del feto giunto a completo sviluppo ma nato morto, nonché il feto immaturo espulso privo di vita dal corpo della madre. Secondo la dottrina rientra nella nozione di cadavere il corpo del nato morto, ma non il feto immaturo.
Ceneri sono quelle risultanti sia dalla combustione del corpo umano o da cremazione autorizzata, sia da vivi-combustione di una persona per causa accidentale o delittuosa, sia per il dissolvimento dello scheletro.
Il vilipendio di cadavere ex art 410 c.p. consiste nell’esercizio di atti di vilipendio, cioè di atti di disprezzo sopra un cadavere o sulle sue ceneri.
Occorrono veri e propri atti sul cadavere, per cui non sono sufficienti semplici espressioni verbali o gesti vilipendiosi rivolti al cadavere.
Rientrano tra gli atti di vilipendio i calci, gli sputi al cadavere, gli atti corporali sul cadavere, la mutilazione e il deturpamento.
Non è necessario che l’atto di vilipendio si verifichi nel compimento di un’attività illecita. Può costituire vilipendio sia una esumazione parziale, vietata da disposizioni regolamentari, che qualsiasi manipolazione dei resti umani attuata con modalità vilipendiose non necessarie all’espletamento dell’attività lecita cui era eventualmente finalizzata.
Si è posto il quesito se l’art. 410 sia applicabile alle condotte di espianto da cadavere di organi o tessuti.
Difficile – ma non da escludere – sembra anche parlare di vilipendio in relazione ad atti di autopsia a scopo giudiziario, ove compiuti secondo modalità rispettose non idonee ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti.
E’ generalmente riconosciuto che non occorre che l’atto cada direttamente sopra il cadavere o sulle sue ceneri, bastando che esso cada mediatamente su di essi, attraverso la bara o l’urna nelle quali il cadavere o le ceneri siano state poste, e purché il cadavere o le ceneri ne risentano qualche effetto. Se invece l’atto di vilipendio si manifesta esclusivamente sul sepolcro o sull’urna (per es. uno sputo sulla tomba), si rientrerà eventualmente nella fattispecie di cui all’art. 408.
Per questo reato è sufficiente il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà della condotta di vilipendio.
La giurisprudenza, inoltre, esclude la necessità della presenza dell’intenzione di vilipendere, ingiuriare o di altro fine illecito.
La competenza è del Tribunale monocratico ed il reato è procedibile di ufficio.
MOTIVAZIONE
Nel caso di specie, le operazioni di traslazione della salma hanno dato luogo a più violazioni delle norme concernenti le estumulazioni e le esumazioni straordinarie di cadaveri, contenute nel regolamento di polizia mortuaria, approvato con D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Tali norme, tra l’altro, prevedono che la relativa istanza debba essere effettuata al Sindaco, per il tramite del Direttore del cimitero, nonchè alla ASL competente, che sia stata rilasciata la autorizzazione del Sindaco e che vi sia la presenza del coordinatore sanitario della ASL e dell’incaricato del servizio di custodia (D.P.R. n. 285 del 1990, artt. 83, 86, 88, 89).
Non è chiaro se nel caso de quo vi era stata o meno la autorizzazione del Sindaco, mentre non risulta esservi stata nè l’istanza alla ASL competente, nè comunque la presenza del Coordinatore sanitario durante le operazioni.
Ad assicurare il rispetto di tali regole procedurali sono tenuti in primo luogo proprio il custode del cimitero ed il suo coadiutore dipendente Comunale, i quali hanno quindi il preciso obbligo di interrompere ogni operazione dopo avere constatato che il feretro non si è completamente mineralizzato.
Viene infatti a questo proposito in rilievo l’art. 87 del citato regolamento di polizia mortuaria, il quale dispone espressamente, al comma 1, che “è vietato eseguire sulle salme tumulate operazioni tendenti a ridurre il cadavere entro contenitori di misura inferiore a quello delle casse con le quali fu collocato nel loculo al momento della tumulazione” ed, al comma 2, che “il responsabile del servizio di custodia del cimitero è tenuto a denunciare alla Autorità Giudiziaria ed al Sindaco chiunque esegue sulle salme operazioni nelle quali possa configurarsi il sospetto di reato di vilipendio di cadavere previsto dall’art. 410 c.p.”
Proprio in ragione delle loro mansioni e delle loro qualifiche professionali, avrebbero dovuto sapere che una salma intatta deve essere seppellita nuovamente (o, meglio, inumata negli appositi campi), e non può certo essere ridotta o mutilata al fine di consentire il deposito dei resti all’interno di un contenitore di dimensioni inferiori a quelle della cassa ove il cadavere era stato conservato all’atto della sepoltura.
In capo al custode e al dipendente Comunale grava un preciso obbligo non solo di impedire operazioni sul cadavere tendenti a ridurne le dimensioni, ma anche di farne denuncia alla Autorità Giudiziaria ed al Sindaco, ai sensi dell’art. 87, comma 2, cit..
Per pacifica giurisprudenza, ai fini della sussistenza del delitto aggravato previsto dal capoverso dell’art. 410 cod. pen., nel caso di mutuazione di cadavere, non occorre il dolo specifico, ma è sufficiente il dolo generico, e cioè la coscienza e la volontà di operare la mutuazione, essendo il vilipendio insito in questo atto, così da doversi considerare ultronea la indagine sull’intenzione di vilipendere.
Aderendo alla sentenza n. 16569/2007 della Terza sezione della Cassazione Penale, nel caso di specie, è indubbia la sussistenza dell’elemento materiale del reato di vilipendio di cadavere mediante mutilazione – previsto dall’art. 410 c.p., comma 2 – dal momento che risulta accertato che i resti del defunto Tizio sono intatti, talchè è stato necessario ridurli addirittura mediante l’utilizzo di un seghetto.
La punibilità si può escludere soltanto quando si sia agito nel rispetto delle norme regolamentari ed in modo tale da non compiere sul feretro attività di manipolazione che tendano ad una modifica delle condizioni del cadavere.
SOLUZIONE
Il dipendente comunale ed il custode dovranno rispondere del reato di vilipendio di cadavere ex art 410 c.p.
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GIURISPRUDENZA RISOLUTIVA:
Cass. penale, sez. III, n. 16569/2007
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
V.V. e M.P. vennero rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 410 cod. pen. per avere commesso atti di vilipendio mediante mutilazione sopra il cadavere di B.S., disarticolandone gli arti con una taglierina e piegandone il bacino sul tronco al fine di inserirlo in un contenitore di misura inferiore rispetto a quello in cui era prima contenuto.
In sostanza, il giudice del merito ha ricostruito la vicenda nei seguenti termini. Il cadavere di B.S., deceduto nel (OMISSIS), era stato sepolto in una tomba sotterranea appartenente a parenti. L’8 agosto 2000, S.R., comproprietaria della tomba, aveva telefonato a B.N., avvisandola che il proprio marito C.G. era deceduto e che quindi occorreva togliere dalla tomba il cadavere del fratello B. S. per fare posto al nuovo defunto. La B. si recò al cimitero dove, oltre i parenti del C., erano presenti il V., impresario di pompe funebri, R.A., custode del cimitero (giudicato separatamente) ed il M., dipendente comunale. Per fare spazio nella tomba, si prospettò quindi la necessità di trasferire il cadavere del B. dalla bara originaria in una più piccola di zinco, che già era stata portata sul posto dal V.. Aperta la bara, si constatò però che il cadavere del B. era intatto e mummificato. Si decise quindi di procedere al suo spezzettamento mediante taglio delle articolazioni con uno strumento e quindi al suo inserimento nella bara più piccola. L’operazione fu materialmente compiuta dal R. e dal M..
Il giudice del tribunale di Marsala, con sentenza del 12 maggio 2005, assolse il V. per non avere commesso il fatto ed il M. per non aver commesso il fatto e comunque perchè il fatto non costituisce reato.
Osservò il giudice: – che non vi era prova che il V. avesse partecipato alle operazioni materiali di riduzione del cadavere e che avesse diretto le operazioni, potendo quindi ritenersi che egli si fosse limitato a fornire la cassetta di zinco dove trasferire i resti del B.; – che non vi era prova che la B.N. avesse protestato e si fosse opposta allo smembramento del cadavere del fratello, sicchè poteva presumersi che vi avesse acconsentito; – che, vi era la prova che il M., insieme al R., aveva effettivamente smembrato il cadavere, ma era però probabile egli avesse agito con il consenso della B. e quindi nel ragionevole convincimento putativo che non vi fossero opposizioni alla riduzione del cadavere; – che comunque il vilipendio consiste nel fatto cosciente e volontario di chi intende esternare il proprio dispregio su cose o persone, e pertanto nella specie non vi era stato vilipendio in questo senso, dato che la riduzione del cadavere era avvenuta, dopo oltre trent’anni, al fine di fare spazio nella tomba della famiglia S. per ospitarvi il nuovo defunto.
Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Marsala propone ricorso per Cassazione deducendo:
1) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 285 del 1990, art. 83 e segg. e dell’art. 110 cod. pen.. Lamenta che la sentenza impugnata ha violato le norme del regolamento di polizia mortuaria:
E’ infatti provato che le operazioni di traslazione della salma erano avvenute in dispregio di dette norme e della procedura da esse imposta (mancata richiesta al sindaco ed all’AUSL competente; mancata presenza del medico legale). E’ quindi indubbia la responsabilità del M. che, quale incaricato dal responsabile del servizio di custodia del cimitero, avrebbe dovuto fermare ogni operazione dopo a-ver constatato che il feretro non si era completamente mineralizzato e che, in ragione delle sue funzioni, non poteva non sapere che il regolamento vieta espressamente di eseguire operazioni come quelle compiute, tanto che gli imponeva anche il dovere di fare denuncia alla A.G. nel caso in cui terzi avessero eseguito mutilazioni di cadavere volte alla loro riduzione. Tutto ciò dimostra anche la responsabilità del V. in via autonoma, a prescindere dal concorso nel reato commesso da altri. Il V., infatti, effettuò l’esumazione con la sua organizzazione, presiedette le operazioni, fornì la cassetta di zinco dove fu ridotto il cadavere, mentre, nella sua qualità di incaricato di un pubblico servizio, avrebbe dovuto richiedere la presenza del coordinatore sanitario, in assenza del quale non avrebbe potuto proseguire le operazioni, ed aveva comunque l’obbligo giuridico di impedire l’evento. In ogni caso il V., con una serie di azioni ed omissioni di rilevante gravità, ha contribuito notevolmente alla condotta degli altri, sia sotto il profilo materiale sia sotto quello ideologico. I fatti integrano il reato contestato perchè l’agente, per non essere punibile sotto il profilo psicologico, deve avere agito nel rispetto delle regole ed in maniera tale da non compiere nessuna attività sul feretro, in quanto ogni manipolazione che tenda ad una modifica dello status attuale del cadavere integra il reato di vilipendio.
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 50 cod. pen.;
travisamento del fatto. Osserva che il consenso della sig.ra B. (quand’anche vi fosse stato) era irrilevante perchè nè essa nè altri soggetti avrebbero potuto acconsentire alla riduzione del cadavere, trattandosi di diritti di natura pubblicistica indisponibili da parte dei privati. In ogni caso, dalla istruttoria dibattimentale non era in alcun modo riscontrabile un consenso prestato dalla parte civile.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il perspicuo e puntuale ricorso del pubblico ministero di Marsala è pienamente fondato e va, quindi, accolto, in quanto effettivamente la sentenza impugnata è affetta da diverse violazioni di legge e vizi di motivazione.
Innanzitutto, invero, il giudice del merito ha omesso di tenere conto, nella valutazione delle condotte poste in essere dagli imputati, che le stesse, così come ritenute dalla sentenza impugnata, e le operazioni di traslazione della salma avevano dato luogo a più violazioni delle norme concernenti le estumulazioni e le esumazioni straordinarie di cadaveri, contenute nel regolamento di polizia mortuaria, approvato con D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Tali norme, tra l’altro, prevedono che la relativa istanza debba essere effettuata al sindaco, per il tramite del direttore del cimitero, nonchè alla AUSL competente, che sia stata rilasciata la autorizzazione del sindaco e che vi sia la presenza del coordinatore sanitario della AUSL e dell’incaricato del servizio di custodia (D.P.R. n. 285 del 1990, artt. 83, 86, 88, 89). Ora, come eccepisce il ricorrente, non è chiaro se nella specie vi era stata o meno la autorizzazione del sindaco, mentre dalla sentenza impugnata non risulta esservi stata nè l’istanza alla AUSL competente, nè comunque la presenza del coordinatore sanitario durante le operazioni. Va inoltre considerato che ad assicurare il rispetto di tali regole procedurali erano tenuti in primo luogo proprio il custode del cimitero, R.A., ed il suo coadiutore, M.P., i quali avevano quindi il preciso obbligo di interrompere ogni operazione dopo avere constatato che il feretro non si era completamente mineralizzato.
Viene infatti a questo proposito in rilievo l’art. 87 del citato regolamento di polizia mortuaria, il quale dispone espressamente, al comma 1, che “è vietato eseguire sulle salme tumulate operazioni tendenti a ridurre il cadavere entro contenitori di misura inferiore a quello delle casse con le quali fu collocato nel loculo al momento della tumulazione” ed, al comma 2, che “il responsabile del servizio di custodia del cimitero è tenuto a denunciare alla autorità giudiziaria ed al sindaco chiunque esegue sulle salme operazioni nelle quali possa configurarsi il sospetto di reato di vilipendio di cadavere previsto dall’art. 410 c.p.”. Esattamente il pubblico ministero ricorrente osserva che gli imputati, proprio in ragione delle loro mansioni e delle loro qualifiche professionali, avrebbero dovuto sapere che una salma intatta avrebbe dovuto essere seppellita nuovamente (o, meglio, inumata negli appositi campi), e non poteva certo essere ridotta o mutilata al fine di consentire il deposito dei resti all’interno di un contenitore di dimensioni inferiori a quelle della cassa ove il cadavere era stato conservato all’atto della sepoltura. Vi ostava, infatti, il precetto posto dal citato art. 87, comma 1, che fa espresso divieto di eseguire sulle salme operazioni dirette a ridurne le dimensioni al fine di consentire l’utilizzazione di contenitori di dimensioni inferiori a quelle del feretro tumulato.
Come ricorda il pubblico ministero ricorrente, è opinione condivisa che tale divieto non abbia più ragion d’essere soltanto nei casi di avanzata decomposizione del cadavere, laddove la riduzione del corpo è opera del tempo e non dell’uomo, mentre la raccolta dei resti mineralizzati è consentita solamente previo parere del coordinatore sanitario che deve stilare una apposita relazione.
Esattamente quindi il ricorrente lamenta che il giudice del merito ha omesso di valutare la sussistenza, in capo al R. ed al M., di un preciso obbligo non solo di impedire operazioni sul cadavere tendenti a ridurne le dimensioni, ma anche di farne denuncia alla autorità giudiziaria ed al sindaco, ai sensi dell’art. 87, comma 2, cit..
In secondo luogo, la sentenza impugnata è erronea laddove esclude la configurabilità del vilipendio di cadavere sotto il profilo della mancanza dell’elemento soggettivo, e ciò per il motivo che gli imputati non avevano la volontà di esternare il proprio dispregio nei confronti della salma del B., ma perseguivano solo la finalità di fare spazio nella tomba per ospitarvi il nuovo defunto.
E difatti, per pacifica giurisprudenza, ai fini della sussistenza del delitto aggravato previsto dal capoverso dell’art. 410 cod. pen., nel caso di mutuazione di cadavere, non occorre il dolo specifico, ma è sufficiente il dolo generico, e cioè la coscienza e la volontà di operare la mutuazione, essendo il vilipendio insito in questo atto, così da doversi considerare ultronea la indagine sull’intenzione di vilipendere (cfr. Sez. 3^, 17 maggio 1971, Musu, m. 119.008).
Allo stesso modo, anche più recentemente si è affermato che “il reato di vilipendio di cadavere è integrato da qualunque manipolazione dei resti umani che risulti obiettivamente idonea ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti, e nel contempo sia vietata da disposizioni regolamentari (come per il caso dell’esumazione parziale di cadavere) o comunque attuata con modalità non necessarie all’espletamento dell’attività lecita cui risulti eventualmente finalizzata” e che “l’elemento psicologico del reato di vilipendio di cadavere consiste nel dolo generico, ed è integrato quando l’agente sia consapevole che la condotta posta in essere è idonea ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti ed è vietata da disposizioni regolamentari… (fattispecie relativa alla esumazione di un corpo destinato ad urna ossario, smembrato dall’operatore addetto perchè solo parzialmente mineralizzato)” (Sez. 3^, 21 febbraio 2003, n. 17050, Saini, m. 224.788 e 224.787).
In sostanza, si ritiene che l’agente, per non essere punibile sotto il profilo psicologico, deve avere agito nel rispetto delle norme regolamentari ed in maniera tale da non compiere sul feretro attività di manipolazione che tendano ad una modifica dello status attuale del cadavere.
Nel caso di specie è indubbia la sussistenza dell’elemento materiale del reato di vilipendio di cadavere mediante mutilazione – previsto dall’art. 410 c.p., comma 2 – dal momento che è stato accertato che i resti del B. erano intatti, talchè fu necessario ridurli addirittura mediante l’utilizzo di un seghetto.
Per quanto concerne la sussistenza dell’elemento psicologico, invece, la sentenza impugnata è chiaramente erronea perchè non si è conformata ai principi di diritto dianzi ricordati ed, in particolare, ha omesso di considerare che era sufficiente il dolo generico e di valutare se la condotta degli imputati fosse stata conforme alle norme regolamentari.
In terzo luogo, la sentenza impugnata è erronea nella parte in cui ha ritenuto che gli imputati avessero agito con il consenso della B., e quindi nel ragionevole convincimento putativo che non vi fossero opposizioni da parte di costei. Da un lato, infatti, questa affermazione è apodittica e manifestamente illogica, in quanto non è indicato da quali elementi il giudice abbia tratto il convincimento sull’esistenza di un consenso della parte civile o un convincimento ragionevole sulla presenza del consenso da parte degli imputati, anche perchè nella stessa sentenza impugnata si da atto che la B. piangeva e si trovava in evidente stato di agitazione nel corso dell’intero svolgimento dei fatti. Da un altro lato, l’affermazione è inconferente perchè un ipotetico consenso o il ragionevole convincimento della sua presenza sarebbero stati comunque irrilevanti. Ed infatti, se il consenso del parente prossimo del defunto da esumare è richiesto, in condizioni di normalità, dal regolamento di polizia mortuaria per procedere nelle operazioni, nel caso in esame, tuttavia, nè la B. nè altri soggetti avrebbero potuto dare un valido consenso alla riduzione del cadavere mediante operazioni di mutilazione, in quanto tali attività sono espressamente vietate da una norma imperativa di evidente natura pubblicistica, e l’eventuale consenso sarebbe caduto su diritti indisponibili da parte dei privati. Invero, le condizioni in cui versava il feretro del B. erano tali che non ne era consentita la manipolazione, di modo che il consenso tacito asseritamente prestato non avrebbe potuto avere alcun rilievo, così come non avrebbe potuto avere alcun rilievo il presunto convincimento della presenza di tale (Ndr: testo originale non comprensibile) riguarda poi la responsabilità dei singoli imputati, il giudice del merito ha innanzitutto omesso di considerare che agli odierni ricorrenti è stato contestato anche il concorso con R. A., ossia con il custode del cimitero, sicchè anche nei loro confronti avevano rilievo gli obblighi giuridici (quale quello di impedire l’evento) gravanti su quest’ultimo. Sul punto la sentenza impugnata è assolutamente carente, avendo compiuto un esame del tutto superficiale degli elementi processuali in ordine alla sussistenza di un concorso, materiale o psicologico, con il R., che pertanto è stata escluso con una motivazione meramente apparente e, in sostanza, inesistente, se non anche manifestamente illogica.
Per quanto concerne il M., infatti, il giudice del merito ha omesso di tenere nel dovuto conto il fatto che questi, oltre ad avere compiuto materialmente, insieme con il R., le operazioni di riduzione del cadavere, mutilandolo con un seghetto, era anche il coadiutore del custode del cimitero ed, in quanto tale, aveva precisi obblighi di interrompere le operazioni dopo aver constatato che il cadavere non era completamente mineralizzato, e di fare denuncia alla autorità giudiziaria ed al sindaco del solo sospetto che le operazioni sulle salme potessero configurare il vilipendio di cadavere, ossia del solo sospetto che le operazioni implicassero anche una mutilazione della salma.
Per quanto riguarda il V., poi, fondatamente il pubblico ministero ricorrente lamenta che la sentenza impugnata è carente e manifestamente illogica laddove esclude sia una sua responsabilità diretta e sia anche un suo concorso, materiale o psicologico, con il R. ed il M.. Il giudice del merito, infatti, ha omesso di prendere in considerazione e valutare – e comunque ha omesso di darne adeguatamente conto nella motivazione – una serie di circostanze, espressamente evidenziate dall’accusa, e che indubbiamente potevano incidere sul giudizio di responsabilità del V.. In particolare, ha omesso di considerare che il V. aveva una specifica qualifica soggettiva, quale impresario di pompe funebri, e speciali conoscenze tecniche nel settore; che lo stesso si trovava sul posto proprio in ragione delle sue funzioni e per provvedere alla tumulazione del cadavere del C.; che era stato il V. ad organizzare l’esumazione e ad effettuarla materialmente mediante la sua organizzazione; che infatti il V. aveva presieduto alla esumazione del cadavere del B., alla tumulazione del feretro del C., ed aveva altresì provveduto a reperire ed a far portare sul posto la piccola cassetta di zinco dove avrebbero dovuto essere deposte le ossa del primo e dove, in realtà, è stato poi ridotto il cadavere; che il V., proprio per la sua qualifica professionale, doveva essere a conoscenza che le operazioni non avrebbero potuto proseguire in assenza del coordinatore sanitario e comunque che le operazioni di riduzione e mutilazione del cadavere che si stavano per effettuare erano tassativamente vietate dal regolamento di polizia mortuaria ed integravano il reato di vilipendio di cadavere. Relativamente, poi, al contestato concorso del V. con gli altri due soggetti, ed in particolare con il R., il giudice del merito ha omesso di considerare e valutare se il V., con tutta la sua serie di azione miste ad omissioni, avesse contribuito al verificarsi dell’evento; che, secondo quanto riferito dalla B., sarebbe stato proprio il V. ad affermare che era necessario tagliare il cadavere; che era stato il V. a portare la cassettina dove riporre i resti del B.; che l’allontanamento successivo dal luogo ove erano compiute le operazioni poteva avere diverse spiegazioni ed essere eventualmente ritenuto illogico ed irrituale;
che il V. aveva accettato dalla B. il corrispettivo richiesto proprio per la illecita esumazione effettuata, il che indicava un suo interesse al compimento dell’operazione.
In conclusione, per le considerazioni, svolte la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Marsala.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Marsala.
Vabbè, anche siamo in clima pasquale (oggi è Venerdì Santo e la Chiesa raccomanda la visita ai Sepolcri allestiti presso il Tabernacolo di ogni edificio di culto cattolico…nell’attesa della Domenica di Resurrezione) sono d’obbligo alcune riflessioni:
1) Ai sensi dell’Art. 101 Cost. il giudice (e, quindi anche quello penale) è soggetto soltanto alla Legge, intesa come atto formale a contenuto normativo emanato dal potere legislativo (Art. 70 Cost.), quindi non dovrebbe esser oggetto di giurisdizione penale una trasgressione al DPR 10 settembre 1990 n. 285, il quale come tutti i regolamenti approvati con Decreto del Presidente della Repubblica è una fonte di diritto di rango secondario.
2) La definizione giuridica di “Resto Mortale”, ossia di esito da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo, prima delineata da due semplici atti istruttivi, quali la Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24, poi la Circ:Min. 31 luglio 1998 n. 10, è stata in fine sancita, con norma amministrativa (di eguale livello, e quindi prevalente, proprio perchè successiva, rispetto al DPR n. 285/1990) dall’Art. 3 comma 1 lettera b) DPR 15 luglio 2003 n. 254. Ad oggi il “resto mortale” è un’enità medico-legale, identificabile attraverso un mero criterio temporale: è, infatti “resto mortale” (e, quindi non più cadavere ex Art. 410 C.P.) qualsiasi corpo umano ancora del tutto, o parzialmente intatto (si tratta del cosiddetto “inconsunto cimiteriale”) per effetto di saponificazione, mummificazione o corificazione, quando sia trascorso il periodo di sepoltura legale (20 anni per la tumulazione e 10 anni (almeno ordinariamente), per l’inumazione.
3) Il trattamento per i cosiddetti “indecomposti” può essere: a) la cremazione con procedura semplificata (Art. 3 comma 6 DPR n. 254/2003) b) la sepoltura in campo di terra (Art. 86 commi 2 e 3 DPR 285/1990 e paragrafo 3 Circ.Min. 31 luglio 1998 n. 10 con cui si ammette il ricorso a sostanze biodegradanti da addizionare al feretro, riducendo a 2 anni il turno di rotazione in campo di terra) c) la ri-tumulazione nella stessa o in altra sepoltura; dovranno esser ripristinate le condizioni di impermeabilità del feretro a gas putrefattivi e liquami postmortali (Ex Art. 88 PR 285/1990) solo quando, al momento dell’estumulazione, si ravvisi, nel resto mortale, la persistenza di tessuti molli, con relativo rischio di percolazioni cadaveriche. Altrimenti è sufficiente la sola cassa lignea, o, addirittura, un semplice cofano cartaceo, di cellulosa, om comunque di materiale “leggero” ed a basso impatto ambientale ai sensi della risoluzione ministeriale p.n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23/3/2004.
4) La cassetta ossario di cui all’Art. 36 DPR 285/1990, pur essendo di metallo e dovendo esser sigillata (la Legge non precisa, però, se la saldatura debba estenersi ininterrottamente lungo tutto il perimetro di contatto tra le pareti laterali ed il coperchio) è indicata solo per la conservazione ed il trasporto di resti ossei, ovvero di avanzi (cranio, mandibola, femore, tibia…) completamente scheletrizzati, ossia spolpati e, dunque, privi di parti molli.
5) In molti cimiteri italiani è invalsa l’abitudine di RI-TUMULARE i “resti mortali” non altrimenti riducibili (si tratta sempre degli indecomposti”) in un semplice cofano di zinco, privo, cioè della cassa di legno, per guadagnare spazio, al fine dell’immissione di nuove sepolture, siccome la bara di metallo è più bassa e stetta rispetto al cofano di cui all’Art. 30 DPR 285/1990, e, parallelamente, proteggere l’ambiente esterno dalle ammorbanti esalazioni cadaveriche, ancorchè residue. Si tratta di una forma di tutulazione spuria, che non trova fondamento nello jus positum, ma solo nella prassi, per altro contra legem.
6) Per la differenza, ai fini penali, tra “cadavere” e “resto mortale” si veda la Sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione in data 9 nomembre 1999.