Ci è pervenuto il quesito seguente:
Avendo un concessionario costruito una Cappella Gentilizia su suolo avuto in concessione novantanovennale dal Comune, può il concessionario vendere dei loculi o parte della cappella stessa, mediante scrittura privata, ad altre persone senza preventiva autorizzazione del Comune?
I loculi costruiti prima del 1975, possono essere venduti sempre mediante scrittura privata?
No, la risposta è negativa.
Il vecchio regolamento di polizia mortuaria all’epoca del Regno d’Italia Regio Decreto N. 1880 del 1942 con l’Art. 71 commi 2 e segg. avrebbe previsto la cessione delle sepolture private e di conseguenza dello jus sepulchri (diritto ad esser sepolti ed a dare sepoltura in una tomba privata) per atti inter vivos, ossia attraverso accordi e contratti stipulati tra soggetti viventi; tuttavia con l’avvento dell’Art. 824 Codice Civile (Il libro terzo del Codice Civile entrò in vigore sempre nel 1942) il cimitero è definitivamente solo e soltanto demanio comunale, quindi solo il comune può accordare la concessione in uso delle sepolture private a sistema di tumulazione (semplici loculi, cappelle gentilizie, nicchie murarie colombari, celle ipogee o epigee tombe a stesso) oppure a sistema di inumazione (tombe terranee).
Il DPR 803/1975 esplica meglio questa norma vietando espressamente il passaggio del diritto di proprietà ed il relativo jus sepulchri per atti giuridici di forma pattizia o contrattuale che intercorrano tra persone viventi, questo istituto, quindi, non è più legittimo.
Il diritto di proprietà sulle sepolture private ed il conseguente jus sepulcrhi si trasmettono solo tramite:
· Iure sanguinis o iure coniugii (diritto di consanguineità o vincolo matrimoniale) da cui origina il subentro nella titolarità della concessione
· Mortis causa quando si esaurisce la famiglia del fondatore del sepolcro il sepolcro stesso da famigliare (ossia riservato al fondatore ed alla cerchia dei suoi famigliari) diviene ereditario così come lo stesso jus sepulchri, così chi subentra nella titolarità del patrimonio del de cuius per successione mortis causa “eredita” anche la proprietà del sepolcro ed il diritto di esser ivi sepolto. Di norma, infatti, il sepolcro si trasforma in ereditario quando siano venuti meno i discendenti (c’è giurisprudenza costante in mteria: tra le altre: Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 5095 29/5/1990 e Sez. II, sent. n. 12957 del 7/3-29/9/2000). Secondo alcuni giuristi, invece, gli eredi non essendo discendenti si pongono su di un piano diverso e non acquisiscono il diritto di sepolcro, ma quali soggetti onerati sono tenuti a garantire ex Art. 63 comma 1 DPR 285/90 la manutenzione dei manufatti funerari ed il buono stato della tomba per tutta la durata del rapporto concessorio.
L’unico modo non mortis causa per variare la titolarità di una concessione cimiteriale è la retrocessione della stessa al comune, essa, così, rientrerà d’imperio nella piena disponibilità dell’amministrazione municipale che potrà riassegnarla secondo le procedure previste dal regolamento comunale di polizia mortuaria.
Il comune ha solo facoltà e NON obbligo di accettare la rinuncia alla concessione, sino, naturalmente, alla sua naturale scadenza, sempre che quest’ultima non sia a tempo indeterminato, e, quindi, stipulata prima dell’entrata in vigore il 10 febbraio 1976 del DPR 803/1975, per quelle successive a tale data la durata massima è, invece di 99 anni, salvo rinnovo, il quale poi si traduce in una nuova concessione avente per oggetto la stessa tomba.
Per la formalizzazione della retrocessione di cui sopra trovano in ogni caso applicazione le norme di legge e regolamento in materia di procedimento amministrativo e di documentazione amministrativa DPR 445/2000.
L’unica scrittura privata ammessa è la ripartizione, cui il comune rimarrà estraneo, delle quote di jus sepolchri tra gli aventi diritto.
In forma privata, infatti, gli aventi diritto possono con una scrittura disciplinare tra loro l’entrata delle loro spoglie mortali nel tumulo o nel campo di terra dato in concessione, altrimenti prevarrà l’ordine cronologico degli eventi luttuosi.
Se si perviene all’accordo la scrittura privata regolerà l’accesso, ed il Comune recepirà unicamente agli atti copia di tale documento sottoscritto da tutti gli aventi diritto.
Se non si addiviene ad una soluzione per regolare lo jus sepulchri il Comune dovrà semplicemente verificare che a richiesta di sepoltura la salma abbia il diritto di essere tumulata in quel determinato loculo o in quella particolare cappella gentilizia e conseguentemente ne autorizzerà la tumulazione fino al completamento della capienza dei loculi ex Art. 93 comma 1 DPR 285/90.
Come rilevato in dottrina (sereno Scolaro) la disposizione di cui all’Art. 71 del Regio Decreto . 1880 del 1942 risultava comunque inapplicabile e decaduta fin dal 21 aprile 1942 (cioè da ben prima l’emanazione e la successiva entrata in vigore dello stesso R. D. 1880/1942), data di entrata in vigore del codice civile attualmente vigente, ccon cui il legislatore aveva volutamente affermato la demanialità dei cimiteri.
Si tratta di uno di quei fenomeni che si hanno quando i tempi di elaborazione degli atti normativi scontano “velocità” diverse, così che la norma successiva, emanata in un contesto precedente, viene emanata successivamente a norme, spesso di rango superiore, come nel caso, che importano contrasto con quelle già vigenti. Se il codice civile fosse entrata in vigore successivamente, si potrebbe parlare di abrogazione, mentre in questo caso le fasi temporali sono rovesciate e ciò giustifica l’indicazione di abrogazione tra virgolette.
Possiamo ora meditare su questo pronunciamento della giurisprudenza:
Cassazione civile, Sez. II, 29 settembre 2000 n. 12957 Per distinguere lo “ius sepulchri” “iure sanguinis” da quello “iure successionis” occorre interpretare la volontà del fondatore del sepolcro al momento della fondazione, essendo indifferenti le successive vicende della proprietà dell’edificio nella sua materialità e, in difetto di disposizione contraria, ritenere la volontà di destinazione del sepolcro “sibi familaeque suae”. Accertato dal giudice di merito questo carattere, il familiare acquista, “iure proprio”, il diritto al sepolcro, imprescrittibile ed irrinunciabile, fin dal momento della nascita e non può trasmetterlo né per atto “inter vivos”, né “mortis causa”. Quindi si costituisce tra i contitolari una particolare forma di comunione, destinata a durare sino al venir meno degli aventi diritto, dopo di che lo “ius sepulchri” si trasforma da familiare in ereditario.
Quanto poi al testamento quale titolo di disposizione di sepolcri ed, in particolare, del diritto di sepoltura, va rilevato come (dal 10 febbraio 1976 e secondo altri dall’entrata in vigore del libro III del codice civile) la titolarità del sepolcro non costituisca posizione soggettiva disponibile con atti a contenuto privatistico, perchè il diritto di sepoltura deriva dall’appartenenza alla famiglia del concessionario, quale definita dal Regolamento comunale di polizia mortuaria. In ogni caso, la disponibilità è ammessa per quanto riguarda la proprietà del manufatto sepolcrale, se eretto dal concessionario, fin tanto ché sussista la concessione, proprietà da cui derivano gli oneri, ad esempio di manutenzione (art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), che in questo caso verrebbe ad essere distinta dal titolo ad ottenere sepoltura nel sepolcro privato, titolo connesso all’appartenenza alla famiglia. In ogni caso, su questi aspetti, occorre fare riferimento al Regolamento comunale di polizia mortuaria per quanto riguarda l’uso e la sua trasmissione in occasione del decesso del concessionario.
Ovviamente per situazioni pregresse rispetto all’entrata in vigore del DPR 803/1975 o del Codice Civile vale il principio dell’irretroattività della norma giuridica: tempus regit actum dicevano i giuristi latini, quindi se se il trasferimento della proprietà è avvenuto prima del 28/10/1941 (ma non si dimentichi anche i problemi collegati all’art. 71 Regio Decreto 21/12/1942, n. 1880 (successivo, ma incompatibile), esso va considerato produttivo di effetti.
Tra l’altro, tale atto pubblico dovrebbe essere stato, oltre che registrato, anche trascritto nei registri immobiliari (e risultante anche dalle successioni eventualmente successive).
Conseguentemente, provando le risultanze della trascrizione (ex Conservatoria RR. II., oggi Agenzia del Territorio) e producendo copia autentica, registrata, dell’atto pubblico, il comune può senz’altro, con determinazione dirigenziale, adottare un atto riconoscitivo dell’avvenuto trasferimento dei ‘diritti’ sul sepolcro.
Occorre, dunque, valutare le fattispecie in esame in rapporto al regolamento comunale vigente all’epoca. Se gli interessati notificarono al Comune l’atto di cessione ed il Comune non si pronunciò negativamente nei tempi previsti, non sorgono problemi in quanto vi è un silenzio assenso sul trasferimento del diritto. Se la cessione non venne notificata da parte degli interessati e se il Comune non ha ragioni di pubblico interesse che ostino a riconoscere il trasferimento del diritto, è opportuno che ne venga preso atto dall’Organo comunale competente in relazione alla organizzazione propria di ogni Comune.
Esistono, però, opinioni, invero del tutto minoritarie, volte a sostenere come, in regime di concessione perpetua, sorta quindi prima del DPR 803/1975 entrato in vigore il 10 febbraio 1976, una cappella gentilizia o di famiglia, se priva di feretri, e, quindi libera, possa essere ceduta, previo consenso del Comune, laddove questi possa verificare che nel trasferimento non vi sia lucro o speculazione.
Un’altra corrente dottrinaria e giurisprudenziale, alla quale appartiene chi scrive, nega invece la possibilità di continuare a cedere totalmente o parzialmente il diritto d’uso di tutte le sepolture fra privati, sulla base di quanto disposto dall’art.93 comma 4 del DPR 803/75, poi confermato dall’art.92 comma 4 del DPR 285/90, il quale fa divieto di concedere aree per sepoltura privata a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro o speculazione
Consiglio vivamente di consultare, in via preliminare, questo link: https://www.funerali.org/?p=283
Richiamo l’art. 93 comma 1 dPR 10/9/1990, n. 285 sul diritto di sepoltura “riservato” al concessionario ed alle persone appartenenti alla sua famiglia. La “riserva” altro non significa se non che le persone le quali si trovino in una data condizione di rapporto di consanguineità con il concessionario hanno titolo, mentre, contemporaneamente ne sono escluse tutte quelle estranee al nucleo famigliare. Il sepolcro gentilizio (= familiare) se non per espressa volontà contraria del suo fondatore sorge sibi familiaeque suae, ossia per lui e la sua famiglia, così come definita dal combinato disposto tra il regolare atto di concessione ed il regolamento comunale di polizia mortuaria vigente all’atto del rilascio della concessione.
Tuttavia, ci si potrebbe chiedere se ciò attenga al solo diritto (personale) di sepoltura e non al diritto (patrimoniale) sul manufatto sepolcrale.
In buona sostanza occorre valutare attentamente l’istituto del “subentro” nella intestazione della concessione alla luce del regolamento comunale di polizia mortuaria.
Di norma il sepolcro si trasforma in ereditario quando siano venuti meno i discendenti (tra le altre: Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 5095 29/5/1990 e Sez. II, sent. n. 12957 del 7/3-29/9/2000), fatte, com è ovvio, atte salve le previsioni del Regolamento comunale di polizia mortuaria in proposito, cioè concernenti la successione delle persone alla morte del concessionario in relazione alla concessione.
Se la concessionaria oggi defunta, per la quota di jus sepulchri di propria spettanza (il 50%), risulta non avere discendenti che jure sanguinis siano succeduti nei diritti concernenti la concessione, il sepolcro deve considerarsi trasformato in ereditario. Ne consegue che gli eredi, se previsto dal Regolamento, subentrano al concessionario defunto, quando questi non abbia disposto con atto di ultima volontà o altrimenti con atto pubblico in modo diverso.
Rispetto al subentro, in caso di decesso del concessionario, è sempre il regolamento comunale a dover disciplinare la fattispecie in esame, potendosi scegliere se, chi “succede” al concessionario, assuma o meno a sua volta la condizione di concessionario, sotto il profilo giuridico. Quando il “successore” non venga ad assumere la qualità di concessionario, rimane comunque obbligato ad accollarsi unicamente gli oneri manutentivi ex Art. 63 comma 1 DPR 10 settembre 1990 n. 285
Secondo un certo filone della dottrina, infatti, la trasmissione dello jus sepulchri si verifica unicamente, mortis causa, per discendenza e non jure haereditatis, salvo quando questa sia esaurita, nel qual caso può avvenire per eredità, anche se con effetti particolari. In effetti, poiché il diritto alla sepoltura in un determinato sepolcro privato nel cimitero è un diritto della persona, esso non ha carattere patrimoniale, con questa conseguenza: la successione per eredità, esaurita la discendenza, comporterebbe che l’”erede” sia unicamente tenuto agli obblighi di manutenzione od altri previsti localmente della sepoltura privata nel cimitero, senza mai acquisire il diritto d’uso del sepolcro.
Va ricordato, poi, come la natura tipica delle concessioni cimiteriali importi che nella “successione” mortis causa possano aversi subentri sono negli obblighi derivanti dalla concessione e non nel diritto di poterla utilizzare, a tempo debito, secondo la cronologia degli eventi luttuosi. Come si vede, il regolamento comunale di polizia mortuaria assume un ruolo del tutto centrale ed essenziale nella regolazione delle questioni segnalate.
L’ente morale “erede” del lascito di Sua zia non ha titolo ad alcun rimborso da parte della Sua famiglia, semmai potrà rinunciare alla quota di concessione ereditata, sollevandosi, così, dagli oneri manutentivi.
buongiorno,
mia zia è morta senza figli lasciando come erede universale un ente morale.
lei aveva diritto al 50% della nostra tomba di famiglia, e mia madre il restante 50%.
che diritti può vantare l’ente?
forse un rimborso sul valore venale dell’edificio tombale?
X Massimo:
Consiglio preliminarmente di consultare questo link: https://www.funerali.org/?p=927
Alla morte del concessionario primo, attraverso l’istituto del subentro, dovrebbero succedere i discendenti del fondatore del sepolcro, nell’intestazione della concessione, determinando, dunque, una sorta di comunione indivisa e solidale, anche riguardo agli oneri manutentivi (vedrei come inammissibile o eccezionale, ma in tal caso deve essere previsto dal Regolamento comunale, una divisione della concessione; almeno tenendo conto di alcune pronunce della Suprema Corte di Cassazione).
Il diritto alla sepoltura (= ad essere sepolti) ha comunque un limite, quello dell’art. 93, 1 parte finale dPR 285/1990.
Ad ogni modo i concessionari, o i loro aventi causa, se è avvenuta una ripartizione in quote nella titolarità della concessione, sono tenuti IN SOLIDO all’obbligo di manutenzione, cui non possono sottrarsi, tanto che, in caso di eventuale inadempienza, si determinerebbe una situazione di decadenza, con rientro del sepolcro nella disponibilità del comune per una nuova assegnazione, dopo i necessari lavori di sistemazione o ristrutturazione.
Va bene, il Comune ne resta fuori e viene regolata fra gli eredi.
Ma quando un erede non vuole onorare il proprio debito, tocca agli altri accollarsi le spese? (faccio presente che la spesa è irrisoria e costa meno di un’avvocato) tuttavia, non è possibile che chi ha ereditato di più, poi faccia il solito taccagno, esonerandosi dalle spese.
X Massimo,
Mentre già con il Regio Decreto 8 giugno 1865 n. 2322 il neonato Regno d’Italia imponeva ad ogni sua municipalità di dotarsi di un corpus normativo in tema di polizia mortuaria, con particolare attenzione agli aspetti igienico-sanitari, storicamente i primi regolamenti speciali emanati dallo Stato post-unitario sulla materia funeraria risalgono “solo” alla fine del XIX Secolo, rispettivamente con il Regio Decreto n.42/1891 ed il Regio Decreto n.448/1892 cui seguì da ultimo il Regio Decreto n.1880/1942. In epoca repubblicana i regolamenti di polizia mortuaria sono stati il DPR n.803/1975 e, da ultimo, il DPR 10 settembre 1990 n. 285, ancora in vigore (e chissà mai per quanto tempo ancora!).
Bisogna, preliminarmente, precisare come l’area cimiteriale e i sepolcri, su di essa eretti, siano parte del demanio comunale ai sensi dell’Art. 824 comma 2 Cod. Civile, e ciò ne comporta l’inalienabilità, l’inespropriabilità, la non usucapibilità e la non commerciabilità ex Art. 823 Cod. Civile. I manufatti sepolcrali e soprattutto i titoli di sepoltura sono, dunque, extra commecium perchè sottratti ad atti negoziali a contenuto privatistico inter vivos.
Tuttavia la “vendibilità” ha un limite in riferimento alla perpetuità o meno della concessione, a seconda delle epoche e dei sistemi normativi in cui furono stipulati gli atti concessori; infatti prima del DPR 803/1975 (entrato in vigore il 10.2.1976) era previsto, ai sensi dell’Art. 71 REgio DEcreto n.1880/1942 il passaggio a terzi di tale diritto, ragion per cui per quelle concessione antecedenti, un certo filone della giurisprudenza e della dottrina, considerando l’alienazione del sepolcro un diritto acquisito e perfetto, consentirebbe ancora la cessione dello Jus Sepulchri per atti tra i vivi.
Pertanto esistono opinioni, anche piuttosto autorevoli e motivate, volte a sostenere che, in regime di concessione perpetua, ormai abrogato dal 10 febbraio 1976 con il suddetto DPR n.803/1975, la cappella gentilizia o di famiglia, se priva di feretri ivi tumulati, poichè l’occupazione dei posti feretro inibirebbe l’esercizio dello jus sepulchri, possa essere ceduta, previa notifica al comune e consenso di quest’ultimo, quale titolare ultimo della funzione cimiteriale, laddove esso possa verificare che nel trasferimento non vi sia lucro o speculazione; e ciò, comunque, risulterebbe incompatibile con l’istituto della compavendita dato il suo fine ultimo di carattere patrimoniale.
Di conseguenza le tombe non possono esser assolutamente vendute da un privato ad un altro, in quanto solo il comune è l’ente pubblico deputato a concederle.
Un’altra corrente dottrinaria e giurisprudenziale, alla quale appartiene tutto il gruppo redazionale di questo blog, nega invece la legittimità di continuare a trasmettere totalmente o parzialmente il diritto d’uso di tutte le sepolture fra privati, sulla base di quanto disposto dall’art.93 comma 4 del DPR n. 803/1975, poi confermato dall’art.92 comma 4 del DPR n. 285/1990, il quale fa espressamente divieto di concedere aree per sepoltura privata a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e speculazione.
Il concetto di lucro, in termini civilistici, si riferisce ad ogni possibile incremento economico di un patrimonio, da ciò consegue il divieto per tutti i privati di conseguire tale vantaggio attraverso la trasmissione del diritto d’uso di un sepolcro. Si aggiunga poi, che, ai sensi dell’art.109 comma 2 del DPR n. 803/75, ogni disposizione contraria o incompatibile ad esso, è stata abrogata dalla data del 10.2.1976, quindi anche la possibilità di cessione totale o parziale del diritto d’uso delle sepolture. In conclusione, l’unica procedura che appare conforme alla Legge consiste nella retrocessione della concessione da parte dei concessionari non più interessati, o dei loro aventi causa, come nel caso da Lei illustrato, con il conseguente ingresso del bene nella disponibilità del Comune, il quale procederà all’accrescimento delle quote di jus sepulchri seguendo i criteri di scelta stabiliti dal regolamento di polizia mortuaria comunale. Con la rinuncia si perde il diritto alla sepoltura, ma, parallelamente, si è sollevati dagli obblighi manutentivi ex Art. 63 comma 1 DPR 10 settembre 1990 n. 285.
Nel merito del quesito posto occorre, poi, distinguere tra diritto ad essere sepolto nella tomba ed obblighi manutentivi della stessa. Il diritto ad essere sepolto nella tomba è iure sanguinis, cioè dipendente dal rapporto col fondatore del sepolcro ed indipendente dalla quota ereditata. In sostanza chi prima muore viene tumulato. È tradizione che vi sia una sorta di divisione dei posti in base alla quota di proprietà del sepolcro, ma questo non è elemento di diritto. Le opere di manutenzione vengono svolte da chi le richiede, avendone titolo e per la quantità e la qualità richiesti. La suddivisione in quote delle spese di manutenzione è questione a cui resta estraneo il Comune e viene regolata fra gli eredi.
Nel 1880 i miei antenati acquistarono una cappella, con l’andare del tempo i loro discendenti si sono allargati ed oggi quasi esauriti (rimaniamo in solo 8 eredi). Adesso le spese per la manutenzione, per alcuni sono insostenibili o non necessarie, le mie domande sono le seguenti:
alcuni eredi si possono ritirare dalle spese accollandole agli altri?
E’ possibile vendere la cappella con 14 tombe ad altri, chiudendo ogni disaccordo?
grazie per la risposta
Carlo,
non ho parole che possono esprimere, la mia gratitudine per tutto quello
che hai scritto.
In Ottobre vengo in Italia per due settimane. Spero di potere trovare una risoluzione per questo problema.
Grazie… grazie tante,
Marcella
X Marcella,
Dicevano i giuristi latini: Nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet, quindi nessuno nessuno può trasferire ad altri un diritto maggiore di quello egli stesso non possa vantare; spesso, allora, in materia di concessioni cimiteriali sorge un equivoco, perchè i manufatti sepolcrali costruiti dall’ente locale su suolo cimiteriale non sono venduti, nel senso tecnico del termine, dal comune al concessionario, anche se l’operazione è pur sempre a titolo oneroso, e dunque il pagamento del canone di concessione potrebbe ingenerare qualche confusione semantica, ma semplicemente dati in concessione, e per la legge italiana i manufatti sepolcrali sono, come già accadeva nel diritto romano, extra commercium, sono, cioè, sottratti ad atti negoziali inter vivos tra privati volti a trasferire da un soggetto concessionario ad un altro il diritto d’uso sulle tombe: questo per diverse ragioni anche di natura morale: sarebbe, infatti, oscenamente scandaloso lucrare, da parte di un privato cittadino sui titoli di sepoltura. Il rapporto, concessorio, così, non è un normale contratto da gestire in piena autonomia, ma il diritto del privato, degradando spesso a mero interesse legittimo, è subordinato e soggiace alla potestà ordinativa del comune per ovvi motivi di interesse pubblico prevalente. Astrattamente una donazione sarebbe, sì, anche possibile, ma solo sulla componente patrimoniale dei sepolcro (lapidi, arredi votivi…) ma consisterebbe nell’assunzione dei soli obblighi manutentivi ex Art. 63 comma 1 DPR 10 settembre 1990 n. 285, senza, per altro mai intaccare lo jus sepulchri, il quale si acquisisce solo per jure sanguinis (Art. 93 comma 1 DPR n.285/1990) vale a dire per il solo fatto di esser in un determinato rapporto di consanguineità con il concessionario primo, detto altrimenti: con il fondatore del sepolcro stesso.
Secondo diversi studiosi della polizia mortuaria il diritto di uso sul sepolcro, cioè lo jus sepulchri, non avrebbe contenuto unitario, in quanto composto da un complesso differenziato di situazioni giuridiche: in primo luogo di un diritto cosiddetto primario, consistente nella duplice potere di essere sepolti (jus sepulchri) e di seppellire altri (jus inferendi in sepulchrum) in un dato sepolcro; e di un diritto cosiddetto secondario, che ha come contenuto la facoltà di accedere al sepolcro e di opporsi alle trasformazioni che arrechino pregiudizio alla sepoltura. Quanto alla natura del diritto primario, si ritiene che si tratti di un diritto patrimoniale di natura reale tutelabile in via possessoria, assimilabile secondo alcuni al diritto di superficie, ovvero di servitù, costituendo, invece, secondo altri, un diritto reale sui generis. Ora, è ben vero che secondo l’Art. 56 della Legge sul Diritto Internazionale privato 31 maggio 1995, n. 218 le donazioni sono regolate dalla legge nazionale del donante al momento della donazione, ma, la stessa legge 31 maggio 1995, n. 218 con l’Art. 51 sottomette la disciplina dell’istututo del possesso (e della sua tutela) e degli altri diritti reali, ossia sulla “res” alla legislazione nazionale (nel nostro caso si tratta di quella italiana) vigente nel territorio statale dove quei determinati beni (i loculi, nella fattispecie) si trovano.
Solo se la donazione, in vigenza dell’Art. 71 REgio DEcreto n.1880/1942, fosse avvenuta prima del 10 febbraio 1976, si potrebbe tentare di farne riconoscere, dall’amministrazione, la validità (e soprattutto la liceità!)attraverso apposita notifica all’ufficio comunale di cui il comune dovrebbe prendere atto attraverso un apposito atto ricognitivo da parte del dirigente preposto alle funzioni di polizia mortuaria. Altrimenti ogni atto di disposizione sul diritto d’uso di un sepolcro è nullo di diritto.
In tutt’onestà, però, non continuo a capire i termini della questione: lo Jus Sepulchri, come abbiamo visto, segue la regola generale dello Jus Sanguinis el’Art. 93 comma 1 DPR n.285/1990 stabilisce, assieme all’atto di concessione, la cosidetta “riserva”, ovvero il novero delle persone cui è riconosciuto l’esercizio (o l’aspettativa?) nel post mortem del diritto d’uso sulla tomba, di conseguenza, se Tua madre è l’intestataria dei loculi oggetto di questo quesito e la “riserva” è stabilita sulla base della consanguineità Tu quale figlia di Tua madre avrai, nel post mortem (che Ti auguro il più tardi possibile) il sacrosando diritto di vedere le Tue spoglie mortali riposare, si spera, in pace accanto a Tuo padre, per tutta la durata rimanente della concessione.
Il problema, invece, si porrebbe, se il loculo rimasto libero di fianco a Tuo padre fosse riservato e dedicato solo ed esclusivamente ad accogliere la salma di Tua madre, la quale, come mi par di capire, è stata tumulata in una diversa cappella. In questo caso, allora, per “sbloccare” il loculo rimasto libero da questo vincolo che ne impedirebbe l’uso in futuro converrebbe retrocedere al comune tutta la concessione per poi stipulare un nuovo atto di concessione, novando la concessione stessa, sempre sugli stessi loculi, ma con clausole più elastiche, tutto ciò ha un senso logico se il regolamento comunale ammette tale soluzione.
Carlo,
ti ringrazio immensamente per la pronta risposta e la cortesia di elengare i numeri del codice civile pertenenti alla mia domanda.
In poche parole, il documento del concedo del loculo che mi ha fatto la mamma non e’ valido senza l’approvo del comune.
Sono corretta ?
Carlo, sono veramente impressa alla tua conoscenza in queste informazioni legale.
Grazie mille,
Marcella
X Jimmy
Dal 10 febbraio 1976, quando entrò in vigore il DPR n.803/1976 che abroga il Regio Decreto n.1880/1942, il quale permetteva con l’Art. 71 la trasmissione dello jus sepulchri per “acta inter vivos”, oppure secondo un altro filone della dottrina, ancor prima, ossia a far data dal 20 ottobre 1941, in forza degli Artt. 823 ed 824 Cod. Civile che conferiscono il carattere della demanialità ai sepolcreti, è vietata la cessione degli jura sepulchri, è, pertanto nullo di diritto ogni negozio giuridico volto al trasferimento dal titolare dello jus sepulchri ad un soggetto terzo del diritto d’uso o di proprietà (essendo ex Art. 92 comma 4 DPR n.285/1990, propibito il fine di lucro nelle concessioni cimiteriali) su qualsivoglia manufatto sepolcrale: lo jus sepulchri si acquisisce solamente per jure sanguinis, ossia per il fatto di trovarsi in rapporto di consanguineità con il concessionario, o per successione mortis causa (magari previo subentro e relativa voltura della concessione laddove essi siano previsti dal regolamento comunale di polizia mortuaria).
La Legge, con il DPR n.803/1975, confermato poi dall’Art. 92 comma 1 dell’attuale Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria approvato con DPR 10 settembre 1990 n. 285 fissa solo un termine massimo alla durata della concessione (max 99 anni salvo il possibile rinnovo). superando, così l’istituto della perpetuità prima possibile in virtù del Regio Decreto n.1880/1942 ed ancor prima dei due regolamenti speciali di polizia mortuaria succedutisi in epoca post-unitaria, ma demanda al comune, quale titolare ultimo della funzione cimiteriale il potere di fissare nel proprio regolamento locale ed all’atto del sorgere del rapporto concessorio, scadenze anche più ravvicinate nel tempo. Oggi abbiamo, soprattutto nel grandi cimiteri, loculi singoli concessi anche per solo 20 anni, la concessione 50ennale per due loculi affiancati è, quindi, perfettamente legittima: molto, infatti, dipende dalla politica cimiteriale attuata dal Suo comune.
L’unica soluzione legale (a pena, altrimenti di decadenza della concessione stessa) è la cosidetta rinuncia, che il comune ha facoltà di accettare o meno, con atto unilaterale del concessionario, ai due loculi, così essi rientreranno nella piena disponibilità dell’Amministrazione ed essa potrà riassegnarli ad un nuovo concessionario.
L’applicazione del principio nominalistico (art. 1277 codice civile) potrebbe non facilitare la retrocessione dei 2 luculi al comune, determinando una situazione di difficile gestione ed una diffusione dello stato di abbandono (ma, di solito anche il non uso produce dichiarazione di decadenza) risulta, dunque, che molti comuni, in sede di regolamento comunale di polizia mortuaria, debitamente omologati (condizione di efficacia) corrano il rischio della responsabilità patrimoniale ex Art. 93 D.LGS n.267/2000, ammettendo meccanismi di determinazione dei corrispettivi per le retrocessione di tipo diverso: si tratta di una prassi che, a parte il pericolo anzidetto di “incorrere nelle ire” della Corte dei Conti, risponde a criteri di recupero e riutilizzo ottimale del patrimonio cimiteriale. Ma, si badi, un conto è il calcolo di un quid per la retrocessione, ben altro, invece, sarebbe rimborsare l’intera somma versata, a suo tempo, a titolo di concessione.
Si rappresenta come il comune non abbia titolo a riconoscere o no il diritto di sepoltura, in termini di discrezionalità amministrativa, quanto di dare atto o meno se il regolamento comunale e l’atto di concessione contemplino tale possibilità o l’escludano sulla base di elementi giuridicamente oggettivi, ossia lo jus sanguinis.
Nei due loculi di cui Lei è intestatario, se non diversamente stabilito, con criteri più restrittivi in sede di stipula dell’atto di concessione, potranno comunque esser accolte le salme delle persone riservatarie (Art. 93 comma 1 DPR n.285/1990) del diritto di sepolcro, ossia tutti i suoi famigliari così come individuati dal combinato disposto tra il regolamento comunale ed il contratto di concessione o, quale, extrema ratio dagli Artt. 74 e segg. del Cod. Civile.