Ci è pervenuto il quesito seguente:
Avendo un concessionario costruito una Cappella Gentilizia su suolo avuto in concessione novantanovennale dal Comune, può il concessionario vendere dei loculi o parte della cappella stessa, mediante scrittura privata, ad altre persone senza preventiva autorizzazione del Comune?
I loculi costruiti prima del 1975, possono essere venduti sempre mediante scrittura privata?
No, la risposta è negativa.
Il vecchio regolamento di polizia mortuaria all’epoca del Regno d’Italia Regio Decreto N. 1880 del 1942 con l’Art. 71 commi 2 e segg. avrebbe previsto la cessione delle sepolture private e di conseguenza dello jus sepulchri (diritto ad esser sepolti ed a dare sepoltura in una tomba privata) per atti inter vivos, ossia attraverso accordi e contratti stipulati tra soggetti viventi; tuttavia con l’avvento dell’Art. 824 Codice Civile (Il libro terzo del Codice Civile entrò in vigore sempre nel 1942) il cimitero è definitivamente solo e soltanto demanio comunale, quindi solo il comune può accordare la concessione in uso delle sepolture private a sistema di tumulazione (semplici loculi, cappelle gentilizie, nicchie murarie colombari, celle ipogee o epigee tombe a stesso) oppure a sistema di inumazione (tombe terranee).
Il DPR 803/1975 esplica meglio questa norma vietando espressamente il passaggio del diritto di proprietà ed il relativo jus sepulchri per atti giuridici di forma pattizia o contrattuale che intercorrano tra persone viventi, questo istituto, quindi, non è più legittimo.
Il diritto di proprietà sulle sepolture private ed il conseguente jus sepulcrhi si trasmettono solo tramite:
· Iure sanguinis o iure coniugii (diritto di consanguineità o vincolo matrimoniale) da cui origina il subentro nella titolarità della concessione
· Mortis causa quando si esaurisce la famiglia del fondatore del sepolcro il sepolcro stesso da famigliare (ossia riservato al fondatore ed alla cerchia dei suoi famigliari) diviene ereditario così come lo stesso jus sepulchri, così chi subentra nella titolarità del patrimonio del de cuius per successione mortis causa “eredita” anche la proprietà del sepolcro ed il diritto di esser ivi sepolto. Di norma, infatti, il sepolcro si trasforma in ereditario quando siano venuti meno i discendenti (c’è giurisprudenza costante in mteria: tra le altre: Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 5095 29/5/1990 e Sez. II, sent. n. 12957 del 7/3-29/9/2000). Secondo alcuni giuristi, invece, gli eredi non essendo discendenti si pongono su di un piano diverso e non acquisiscono il diritto di sepolcro, ma quali soggetti onerati sono tenuti a garantire ex Art. 63 comma 1 DPR 285/90 la manutenzione dei manufatti funerari ed il buono stato della tomba per tutta la durata del rapporto concessorio.
L’unico modo non mortis causa per variare la titolarità di una concessione cimiteriale è la retrocessione della stessa al comune, essa, così, rientrerà d’imperio nella piena disponibilità dell’amministrazione municipale che potrà riassegnarla secondo le procedure previste dal regolamento comunale di polizia mortuaria.
Il comune ha solo facoltà e NON obbligo di accettare la rinuncia alla concessione, sino, naturalmente, alla sua naturale scadenza, sempre che quest’ultima non sia a tempo indeterminato, e, quindi, stipulata prima dell’entrata in vigore il 10 febbraio 1976 del DPR 803/1975, per quelle successive a tale data la durata massima è, invece di 99 anni, salvo rinnovo, il quale poi si traduce in una nuova concessione avente per oggetto la stessa tomba.
Per la formalizzazione della retrocessione di cui sopra trovano in ogni caso applicazione le norme di legge e regolamento in materia di procedimento amministrativo e di documentazione amministrativa DPR 445/2000.
L’unica scrittura privata ammessa è la ripartizione, cui il comune rimarrà estraneo, delle quote di jus sepolchri tra gli aventi diritto.
In forma privata, infatti, gli aventi diritto possono con una scrittura disciplinare tra loro l’entrata delle loro spoglie mortali nel tumulo o nel campo di terra dato in concessione, altrimenti prevarrà l’ordine cronologico degli eventi luttuosi.
Se si perviene all’accordo la scrittura privata regolerà l’accesso, ed il Comune recepirà unicamente agli atti copia di tale documento sottoscritto da tutti gli aventi diritto.
Se non si addiviene ad una soluzione per regolare lo jus sepulchri il Comune dovrà semplicemente verificare che a richiesta di sepoltura la salma abbia il diritto di essere tumulata in quel determinato loculo o in quella particolare cappella gentilizia e conseguentemente ne autorizzerà la tumulazione fino al completamento della capienza dei loculi ex Art. 93 comma 1 DPR 285/90.
Come rilevato in dottrina (sereno Scolaro) la disposizione di cui all’Art. 71 del Regio Decreto . 1880 del 1942 risultava comunque inapplicabile e decaduta fin dal 21 aprile 1942 (cioè da ben prima l’emanazione e la successiva entrata in vigore dello stesso R. D. 1880/1942), data di entrata in vigore del codice civile attualmente vigente, ccon cui il legislatore aveva volutamente affermato la demanialità dei cimiteri.
Si tratta di uno di quei fenomeni che si hanno quando i tempi di elaborazione degli atti normativi scontano “velocità” diverse, così che la norma successiva, emanata in un contesto precedente, viene emanata successivamente a norme, spesso di rango superiore, come nel caso, che importano contrasto con quelle già vigenti. Se il codice civile fosse entrata in vigore successivamente, si potrebbe parlare di abrogazione, mentre in questo caso le fasi temporali sono rovesciate e ciò giustifica l’indicazione di abrogazione tra virgolette.
Possiamo ora meditare su questo pronunciamento della giurisprudenza:
Cassazione civile, Sez. II, 29 settembre 2000 n. 12957 Per distinguere lo “ius sepulchri” “iure sanguinis” da quello “iure successionis” occorre interpretare la volontà del fondatore del sepolcro al momento della fondazione, essendo indifferenti le successive vicende della proprietà dell’edificio nella sua materialità e, in difetto di disposizione contraria, ritenere la volontà di destinazione del sepolcro “sibi familaeque suae”. Accertato dal giudice di merito questo carattere, il familiare acquista, “iure proprio”, il diritto al sepolcro, imprescrittibile ed irrinunciabile, fin dal momento della nascita e non può trasmetterlo né per atto “inter vivos”, né “mortis causa”. Quindi si costituisce tra i contitolari una particolare forma di comunione, destinata a durare sino al venir meno degli aventi diritto, dopo di che lo “ius sepulchri” si trasforma da familiare in ereditario.
Quanto poi al testamento quale titolo di disposizione di sepolcri ed, in particolare, del diritto di sepoltura, va rilevato come (dal 10 febbraio 1976 e secondo altri dall’entrata in vigore del libro III del codice civile) la titolarità del sepolcro non costituisca posizione soggettiva disponibile con atti a contenuto privatistico, perchè il diritto di sepoltura deriva dall’appartenenza alla famiglia del concessionario, quale definita dal Regolamento comunale di polizia mortuaria. In ogni caso, la disponibilità è ammessa per quanto riguarda la proprietà del manufatto sepolcrale, se eretto dal concessionario, fin tanto ché sussista la concessione, proprietà da cui derivano gli oneri, ad esempio di manutenzione (art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), che in questo caso verrebbe ad essere distinta dal titolo ad ottenere sepoltura nel sepolcro privato, titolo connesso all’appartenenza alla famiglia. In ogni caso, su questi aspetti, occorre fare riferimento al Regolamento comunale di polizia mortuaria per quanto riguarda l’uso e la sua trasmissione in occasione del decesso del concessionario.
Ovviamente per situazioni pregresse rispetto all’entrata in vigore del DPR 803/1975 o del Codice Civile vale il principio dell’irretroattività della norma giuridica: tempus regit actum dicevano i giuristi latini, quindi se se il trasferimento della proprietà è avvenuto prima del 28/10/1941 (ma non si dimentichi anche i problemi collegati all’art. 71 Regio Decreto 21/12/1942, n. 1880 (successivo, ma incompatibile), esso va considerato produttivo di effetti.
Tra l’altro, tale atto pubblico dovrebbe essere stato, oltre che registrato, anche trascritto nei registri immobiliari (e risultante anche dalle successioni eventualmente successive).
Conseguentemente, provando le risultanze della trascrizione (ex Conservatoria RR. II., oggi Agenzia del Territorio) e producendo copia autentica, registrata, dell’atto pubblico, il comune può senz’altro, con determinazione dirigenziale, adottare un atto riconoscitivo dell’avvenuto trasferimento dei ‘diritti’ sul sepolcro.
Occorre, dunque, valutare le fattispecie in esame in rapporto al regolamento comunale vigente all’epoca. Se gli interessati notificarono al Comune l’atto di cessione ed il Comune non si pronunciò negativamente nei tempi previsti, non sorgono problemi in quanto vi è un silenzio assenso sul trasferimento del diritto. Se la cessione non venne notificata da parte degli interessati e se il Comune non ha ragioni di pubblico interesse che ostino a riconoscere il trasferimento del diritto, è opportuno che ne venga preso atto dall’Organo comunale competente in relazione alla organizzazione propria di ogni Comune.
Esistono, però, opinioni, invero del tutto minoritarie, volte a sostenere come, in regime di concessione perpetua, sorta quindi prima del DPR 803/1975 entrato in vigore il 10 febbraio 1976, una cappella gentilizia o di famiglia, se priva di feretri, e, quindi libera, possa essere ceduta, previo consenso del Comune, laddove questi possa verificare che nel trasferimento non vi sia lucro o speculazione.
Un’altra corrente dottrinaria e giurisprudenziale, alla quale appartiene chi scrive, nega invece la possibilità di continuare a cedere totalmente o parzialmente il diritto d’uso di tutte le sepolture fra privati, sulla base di quanto disposto dall’art.93 comma 4 del DPR 803/75, poi confermato dall’art.92 comma 4 del DPR 285/90, il quale fa divieto di concedere aree per sepoltura privata a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro o speculazione
X Paola,
no, purtroppo la via da Lei auspicata è del tutto impraticabile…a meno di non adire il Giudice, in sede civile.
Alla morte del fondatore del sepolcro, succedono a lui i suoi discendenti, già, per altro, titolari dello Jus Sepulchri primario e secondario proprio per il loro rapporto soggettivo di consanguineità con il de cuius, determinando una sorta di comunione indivisa e solidale (vedrei come inammissibile o eccezionale, ma in tal caso deve essere previsto dal Regolamento comunale, una divisione della concessione; almeno tenendo conto di alcune “pronunce della Suprema Corte di Cassazione).
Il diritto alla sepoltura (= ad essere sepolti) ha comunque un limite, quello dell’art. 93, 1 parte finale dPR n.285/1990.
In tale ipotesi, l’utilizzo, pro-indiviso, si determina in conseguenza di eventi luttuosi esterni alla volontà delle persone interessate, cioè al momento del decesso di persone aventi diritto, in quanto concessionari od appartenenti alla famiglia del concessionario, e fino alla capienza massima del sepolcro stesso.
Fermo il necessario rinvio al Regolamento comunale di polizia mortuaria (ed esso, in questi casi, assume/svolge un ruolo importante, quando non esclusivo), potrebbe – forse – anche ammettersi un intervento giudiziale di “regolazione” (= divisione), ma ciò implicherebbe, sempre che il giudice acceda a questa tesi della ripartizione in quote del diritto di sepolcro, una sorta di limitazione dei diritti di ciascuno degli altri soggetti co-interessati, venendosi ad alterare il principio per cui il titolo ad essere sepolti va/andrebbe valutato in occasione del suo uso.
Toscana
Io e mio fatello abbiamo ereditato da nostro padre una cappella gentilizia di cui siamo gli unici eredi.
I rapporti tra noi non solo sono stati violentemente interrotti ma non esiste alcuna possibilità di recupero futuro, ragione per cui diventa veramente irrealizzabile la possibilità di una (pacifica) gestione congiunta della cappella gentilizia. Anche la sola possibilità di incontro tra le rispettive famiglie è assolutamente da evitare.
Ho capito che è possibile rinunziare attraverso una scrittura privata al proprio diritto di sepoltura ma ovviamente nessuno dei due rinunzierà mai.
E’ anche vero che nessuno può lucrare sulla cessione della “propria parte” perchè proibito dalla legge ma è anche vero che mio padre spese un’ingente somma per aggiudicarsi questa cappella e potè scalare da questa grossa somma un certo importo per ogni loculo che liberava volendo lui traslarvi i suoi antenati. Ciò che intendo dire è che…. non è che siamo noi privati a voler “mercificare” i propri defunti.
Quello che vorrei tanto chiedere è: ma è mai possibile che non esista una soluzione che consenta ad un solo ramo della discendenza di usufruire della cappella gentilizia senza che necessariamente l’altro ramo debba “regalare” una rinunzia che, in una situazione di guerra, non regalerà mai??
Grazie tante se mi vorrete rispondere.
X Michela
Una risposta esauriente al Suo quesito comporta una certo non breve dissertazione sulla presenza di elementi di patrimonialità (e, quindi, di commerciabilità) nei diritti di sepolcro. La giurisprudenza è stata divisa ed oscillante, ma essa, secondo un andamento ad onda, con tendenza allo smorzarsi, ha dapprima preferito un indirizzo patrimonialista ossia jure privatorum, per giungere progressivamente a quello pubblicistico. Questo compenetrarsi tra alcuni fattori di diritto pubblico con altri di diritto squisitamente privato consente di affrontare anche la questione sulla natura del sepolcro privato (cioè della tomba “uti singuli”, e con questa formula dobbiamo intendere qualsiasi destinzione del cadavere diversa dalla inumazione in campo comune di terra). SE l’indirizzo patrimonialista era in parte diffuso nel XIX Secolo, e come tale fu maggioritario in tutta la dottrina dell’Ottocento questa corrente del pensiero giuridico si è esaurita con l’entrata in vigore dell’attuale codice civile che opera una precisa scelta politica quando con l’Art. 824 comma 2 Codice Civile assoggetta i sepolcreti al regime dei beni propri del demanio comunale, confermando, implicitamente, l’indirizzo sull’intima natura pubblicistica dei sepolcri privati
Tempus Regit Actum…In quell’epoca, cioè al di là delle astruserie in latinorum vigente il Regio Decreto 25 luglio 1892, n. 448, era perfettamente legittima la trasmissione del diritto d’uso delle sepolture con le clausole di salvaguardia previste dal vincolo di destinazione, dalla legge sanitaria e dalle norme di ordine pubblico. In realtà la norma formale e positiva nulla disponeva a tal proposito (trasmissione dello jus sepulchri per acta inter vivos o mortis causa), ma a tale constatazione si addiviene attraverso questo ragionamento giuridico.
Secondo parte della dottrina più autorevole (Dr. Sereno Scolaro) l’alienabilità dello jus sepulchri con relativa proprietà sui manufatti sepolcrali cessa ben prima della norma positiva approvata nel 1975 con il DPR 803/1975 (si tratta del vecchio regolamento comunale di polizia mortuaria, il quale vieta, a pena di decadenza o addirittura nullità della concessione, qualsiasi fine di lucro o speculazione nell’esercizio o trasmissione dello Jus Sepulchri) addirittura il 20 ottobre 1941 quando diviene Legge dello Stato pienamente operativa l’Art. 224 comma 2 del Codice Civile (= demanialità dei cimiteri) con cui si ri-affermano solennemente ed ope legis la natura e la funzione pubblica dei sepolcri e, dunque ex Art. 823 secondo comma Codice Civile la loro non alienabilità e non usucapibilità.
Ora, dopo questa lunga premessa possiamo addentrarci in medias res e rilevare subito come nel Codice Civile del 1865, quello in vigore quando Suo nonno, nel 1931 acquistò la tomba di famiglia da un privato cittadino il quale, a sua volta, l’ebbe in concessione da parte del comune nel 1918. Sic stantibus rebus decadono subito le argomentazioni di cui sopra, perchè, in quel momento storico i cimiteri non appartenevano ancora al demanio comunale e così aree cimiteriali con annessi edifici sepolcrali sarebbero stati perfettamente e legittimamente (in quanto secundum legem) cedibili attraverso acta inter vivos.
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In relazione agli accadimenti da Lei narrati appare opportuno esaminare la questione relativa alla trasferibilità dei diritti dei concessionari di aree cimiteriali. A tal proposito, nonostante il diritto romano ritenesse la sepoltura, col terreno ad essa pertinente e con gli oggetti destinati alla conservazione ed all’ornamento del cadavere, res religiosa (in base al principio quidquid destinatum diis manibus, sacrum vocabitur) e come tale extra-patrimonium, giurisprudenza e dottrina coeva ai fatti in esame concordano nel ritenere che i diritti nascenti dalla concessione di aree cimiteriali siano «commerciabili, e perciò alienabili, prescrittibili e trasmissibili per
successione», indipendentemente, peraltro, dal carattere demaniale dei cimiteri (Cons. St., sez. Interni, 14 dicembre 1937; «nel diritto vigente il sepolcro, non ancora occupato, con destinazione perpetua, da un cadavere, non è escluso dalle cose commerciabili, e perciò possono cedersi, mediante atto tra vivi, le ragioni sopra una tomba privata»: Corte App. Torino 13 novembre 1931; «i sepolcri costituiscono un bene patrimoniale giuridicamente protetto accompagnato da tutte le
azioni poste dalla legge a tutela dei beni. I poteri discrezionali dell’autorità comunale non hanno nulla a che vedere in rapporto all’alienabilità dei sepolcri. I sepolcri di famiglia sono alienabili»: Trib Palermo 25 luglio 1932; «né dai principi generali, né dalla legislazione positiva si può trarre fondato argomento per ritenere che il sepolcro sia sottratto alla regola, generale e fondamentale del nostro ordinamento, della libera disponibilità dei beni»: Cass. civ., sez. I, 6 maggio 1935; in termini Cass. civ., sez. I, 1 giugno 1936; «dal carattere reale del ius sepulcri deriva la conseguenza,
concordemente ammessa, dell’alienazione del sepolcro; l’esercizio di un tale diritto va inteso in rapporto al titolo di concessione, il quale non contiene una cessione di proprietà in senso assoluto ed irrevocabile, ma costituisce un atto amministrativo, da cui derivano diritti limitati e subordinati al pubblico interesse, e che potrebbe anche essere revocato in caso di abuso (quando, ad esempio, sul sepolcro venisse fatta una illecita speculazione mediante il commercio di loculi)»:
C. CATERBINI, L’esercizio del “jus sepulchri” in caso di tomba familiare o gentilizia, cit., 925; lo ius sepulchri è un vero e proprio diritto reale patrimoniale e «la commerciabilità delle res publico usui destinatae vien meno in quanto è incompatibile con tale destinazione.
Talchè sopra il cimitero possono ammettersi quei rapporti di diritto privato, che non sono incompatibili con la destinazione di esso. Anzi la concessione dello ius sepulcri non solo non è incompatibile con tale destinazione, ma entra nell’orbita di essa, si può dire che vi si immedesima»: C. FADDA, Nota ad Appello
Brescia 4 ottobre 1887, cit., 429; «il diritto al sepolcro ha un contenuto reale patrimoniale, onde, in principio, costituisce un bene non sottratto al commercio»: Corte d’appello di Bologna, 17 dicembre 1936; giurisprudenza recente conferma che trattasi di diritto «alienabile, prescrivibile ed espropriabile, salvo le particolari limitazioni previste dai regolamenti comunali»: Cons. St., Sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294 e Cass., S.U., 7 ottobre 1994, n. 8197). «Peraltro, quando si tratti di sepolcri familiari o gentilizi, ammessi dalla legislazione positiva, il diritto di disposizione da parte di alcuno dei titolari, anche per la quota ideale, trova un limite necessario nel diritto degli altri, non perché in questo caso il sepolcro diventi bene per sua natura sottratto al commercio, […] ma perché deve essere rispettata la particolare destinazione che al sepolcro stesso ha dato colui che l’ha costruito» (Cass. civ., sez. I, 6 maggio 1935; in termini Cass. civ., sez. I, 1 giugno 1936).
salve, avrei bisogno di un vostro parere.il mio nome è michela ,il mio bisnonno acquistò da un privato una tomba nel 1931 il quale a sua volta aveva avuto la concessione dal comune nel 1918.Ora il direttore del cimitero mi concova per dirmi che quella scrittura privata è un atto illecito e tenendo conto della buona fede del mio bisnonno anticipando il pagamento della nuova concessione , mi fa un condono, metterei le cose a posto. Ora io informandomi su intermet ho visto che con il decreto regio del 1942 la vendita di tombe tra privati era possibile ma, a me servirebbe trovare il decreto regio di polizia mortuaria del 25 luglio 1892 numero 448 che non riesco a trovare, visto che questa campravendita è avvenuta nel 1931. Voi mi potreste aiutare? Chiedo scusa se non metto il nome del mio comune capite la ragione. Grazie.
X NADIA:
In generale, nel diritto privato, si ha successione in un rapporto giuridico quando quest’ultimo, pur restando inalterato nei suoi elementi oggettivi, venga trasmesso da un soggetto ad un altro. La successione comporta, pertanto, il “SUBINGRESSO” di una persona rispetto ad un’altra nella titolarità di uno o più rapporti giuridici: fermo il rapporto ne muta il titolare. In particolare la successione si qualifica quale SUCCESSIONE MORTIS CAUSA quando trovi il suo presupposto essenziale e caratterizzante nella morte di un soggetto, nei cui rapporti si tratta di succedere. Il principio fondamentale è che con la morte i diritti patrimoniali si trasmettono, mentre i rapporti non patrimoniali sia personalissimi (diritti della personalità) sia familiari si estinguono con la morte del titolare degli stessi. La successione mortis causa costituisce uno dei modi di acquisto dei diritti patrimoniali e presenta il carattere dela continuità, cioè il principio attraverso cui si assicura che la sfera dei ddiritti patrimoniali del de cuius non resti nemmeno per un momento priva di titolare.
Gli Jura sepulchri presentano una notevole commistione (quasi fosse un “MIX, un connubio FUNERARIO”) tra taluni elementi di diritto pubblico (ad es. il rapporto concessorio concessione sorge da un provvedimento amministrativo) ed altri di diritto squisitamente privato, come appunto la proprietà sull’edificio sepolcrale fabbricato su area cimiteriale avuta in concessione. Sul piano politico l’istituto della successione mortis causa è strettamente legato al problema della giustificazione della proprietà che, sotto un altra prospettiva si può anche interpretare come l’intento, perseguito dal legislatore, di una certa e sicura imputazione degli oneri manutentivi e di responsabilità civile su di un determinato bene patrimonilae scaturenti dallo diritto di proprietà. In polizia mortuaria il paradigma di tutto questo ragionamento in “giuridichese-necroforico” (ossia la vulgata i noi poveri beccamorti) è racchiuso nell’Art. 63 DPR n.285/1990 recante l’approvazione del Regolamento nazionale di Polizia Mortuaria. Nel Nostro Ordinamento di Polizia Mortuaria, infatti, il diritto reale (ossia sulla “res”, sulla cosa concreta”), altrimenti assimilabile al diritto di proprietà sul manufatto sepolcrale (stiamo, infatti, ragionando di edifici entro cui sono ricavate nicchie murarie a sistema di tumulazione) è intermedio, fin anche strumentale e teleologicamente finalizzato al perseguimento di un interesse ultimo e superiore: lo JUS SEPULCHRI, ovvero il dare o ricever sepoltura in una dato sacello gentilizio, il quale, invece, ha carattere intimo e personalissimo: Si acquisisce con la nascita per il solo fatto di essere consanguienei con il fondatore di una tomba (= concessionario di un sepolcro), è imprescrittibile e, almeno quale mera aspettativa (la morte, dopo tutto, estingue la capacità giuridica) si esercita con proiezione nel post mortem.
Ora, dopo questa doverosa maxipremessa entriamo in media res… Nel diritto funerario il corrispettivo privatistico della successione mortis causa è il cosiddetto istituto del SUBENTRO ed esso viene di volta in volta interpretato e plasmato in sede locale, in base alle esigenze di una specifica comunità dal vero dominus della situazione, utilissimo per dirimere simili controversie: IL REGOLAMENTO COMUNALE di POLIZIA MORTUARIA; quest’ultimo di solito contempla due fattispecie in caso di morte del concessionario:
1) ferma restando la trasmissione del mero diritto di proprietà sul sepolcro, anche jure haereditatis e non solo Jure Sanguinis, come, invece, avviene per il diritto di sepolcro, in via della sua natura personalissima, ovvero sul paramento lapideo, sulle lastre tombali e sugli arredi funebri che compongono l’edicola che, poi si traduce, come abbiamo visto, sull’individuazione in capo al soggetto subentrante dei soli oneri manutentivi, la titolarità della concessione rimane intestata al de cuius primo concessionario ed a lui si continua a far riferimento, mentre i suoi discendenti rimangono solamente titolari dello jus sepeliendi (diritto ad esser sepolti) e del diritto secondario di sepolcro (diritto ad accedere al sepolcro per compiere atti di pietas e suffragio, come, per esempio, far celebrare una Santa Messa nel giorno della Commemorazione dei Defunti).
2) Non tanto gli eredi, quanto i discendenti per diritto di consanguineità, in quanto lo JUS SEPULCHRI è diritto personalissimo che si trasmette, appunto, jure sanguinis subentrano al concessionario defunto divenendo loro stessi titolari della concessione: vale a dire, il rapporto concessorio instaurato dal fundatore del sepolcro prosegue e continua a produrre nel tempo i suoi effetti, cambia solo la persona intestataria della concessione e, di conseguenza il nucleo famigliare di riferimento per l’attribuzione dello jus sepulchri, il quale, si esercita, per sempre entro i limiti della capienza fisica del sepolcro ex Art. 93 comma 1 DPR n.285/1990
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Dunque: nel caso di specie dipende tutto dal regolamento comunale di polizia mortuaria, e dai singoli atti di concessione con cui si disciplinanno i rispettivi rapporti concessorii.
Chi è subentrato nell’intestazione del loculo dei nonni (a proposito a favore di chi è stata la “voltura”…sempre che ci sia stata????) “eredita” (il termine è improprio, ma per comodità comunicativa adotto anch’io questo linguaggio di uso comune) anche gli oneri manutentivi. Gentile Nadia, tendenzialmente escluderei che la zia, (al di là di una precisa disposizione in senso contrario da parte del de cuius,di cui, però, non sono a conoscenza) sia subentrata a Suo padre nella titolarità della tomba entro cui riposano le mortales exuviae dei Suoi Nonni. Se Lei ed i suoi congiunti aventi titolo siete subentrati quali discendenti di Suo padre titolare primo della concessione a Suo padre stesso ora defunto siete Voi i concessionari del loculo dei nonni, potete, pertanto rinunciare, ognuno per la propria quota di jus sepulchri, alla concessione stessa: Gli oneri per il ripristino del sepolcro (trasferimento dei resti mortali, sanificazione delle celle sepolcrali, rimozione delle lapidi) saranno spese a carico vostro, ma per l’ultima volta, perchè il manufatto rientrerà nella disponibilità del comune e l’Ente LOcale, quale titolare ultimo della funzione cimiteriale provvederà a riassegnarlo.
Faccio notare come la zia, anche se interessata, non possa, seppur comprensibilmente volendo, divenire nuova titolare della concessione poichè l’Art. 71 del REgio DEcreto 1880/1942, con il quale si prevedeva la cessione dello jus sepulchri per acta inter vivos o mortis causa è stata superata con norma positiva già con il DPR n.803/1975, novellato, poi, dall’attuale DPR n.285/1990. Tecnicament ed in astratto, però, la Zia (ma è un’ipotesi di scuola…quasi iocendi causa) potrebbe, tramite una donazione e solo con una donazione (in effetti ex Art. 92 comma 4 DPR n. 285/1990 è espressamente vietato, a pena di decadenza della concessione e nullità dell’atto stesso, ogni fine di possibile lucro o speculazione nella trasmissione dei diritti di sepolcro) divenire titolare non tanto dello Jus SEpulchri sulla tomba dei nonni (cioè i genitori della Zia in questione), ma solo degli oneri manutentivi sul sepolcro.
Stabilire chi abbia diritto a ricever sepoltura in un determinato sepolcro privato (privato nel senso di “uti singuli” su una porzione di demanio comunale, perchè il cimitero è pur sempre un bene appartenente al demanio comunale), ed in ogni caso sino al completamento della capienza ricettiva della tomba (oltre questa solia, infatti, lo jus sepulchri, essendo, poi, in verità, una mera aspettativa si comprime sino ad estinguersi) è compito del combinato disposto tra la “convenzione” che sovente accompagna la stipula dell’atto di concessione ed il regolamento comunale di polizia mortuaria: essi, in modo coordinato, debbono, infatti definire la riserva, ossia il novero delle persone titolari dello jus sepeliendi, cioè del diritto a ricever sepoltura.
Piccola premessa: un accordo verbale non è per nulla idoneo a far sorgere una concessione amministrativa su demanio comunale, perchè tale è il cimitero ai termini dell’Art. 824 comma 2 Codice Civile. La concessione, quindi, se non è stato stipulato un “regolare atto di concessione” ex Art. 98 DPR n.285/1990 o è illegittima in quanto sine titulo (https://www.funerali.org/?p=373) o nella peggior delle ipotesi è del tutto nulla, con la conseguenza che il manufatto sepolcrale dovrebbe esser liberato dai feretri ivi sepolti al fine d’esser riassegnato, secondo le procedure dettate dal Regolamento Comunale di Polizia Mortuaria, con una nuova concessione.
Il sepolcro privato e gentilizio ha (o…quanto meno dovrebbe) aver natura familiare, ovvero sibi familiaeque suae, nasce, infatti, per accogliere la spoglia mortale del concessionario e della sua famiglia, di conseguenza, anche se in passato queste difformità erano più tollerate, non si capisce perchè lo zio abbia trovato legittima sepoltura nela sacello familiare della cognata, quando tra i due non embrano intercorrere rapporti di coniugio o consanguineità. A parziale smentita di questa mia affermazione, però, debbo rilevare come soprattutto negli anni in cui la concessione fu perfezionata il senso e la percezione sociale della famiglia fosssero molto diversi dalla sensibilità moderna. Fino alla metà del XX Secolo, infatti, la famiglia era intesa in senso allargato e patriarcale, così molti atti di concessione, per altro del tutto regolari e da leggersi in modo coordinato con i regolamenti comunalei vigenti all’epoca, riservavano lo jus sepulchri non solo ai parenti, ma anche agli affini.
Le concessioni rilasciate in regime di perpetuità, sino (e non oltre!!!) al 10 febbraio 1976, quando entrò in vigore il vecchio Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria approvato con DPR n.803/1975 configurano una situazione di diritti perfetti ed acquisiti, e sono, pertanto, “intangibili”, quindi non soggette ad atti ablativi, da parte del comune concedente, volti a comprimerne la durata temporale.
Caso diverso è rappresentato dalla rinuncia unilaterale del concessionario cui magari segua una novazione della concessione stessa: ossia si estingue la concessione in essere e costutuisce un rapporto conncessorio del tutto nuovo, sulla base di una diversa convenzione tra le parti, avente per oggetto fisico lo stesso sepolcro. In questo modo è possibile ridefinire, sulla base di criteri differentemente rimodulati, anche la “riserva”, ossia il novero delle persone che vantino lo Jus Sepulchri su quel particolare edificio funerario.
Forse proprio per sanare l’illegittimità di una concessione perpetua “sine titulo”, che si traduce in un sostanziale ab-uso (cioè un uso fuori dalla norma, come letteralmente significa questo termine) si è ricorsi ad un nuovo atto di concessione, sulla base della normativa vigente.
Comunque, entrando in media res, se l’unica erede della cappella gentilizia ha disposto la retrocessione non della propria quota di jus sepulchri (attivo e passivo) ma di tutta la concessione, il nuovo regime (durata a tempo determinato non superiore ai 99 anni, salvo eventuale rinnovo) si applica a tutte le sepolture presenti nell’edicola funeraria, in quanto oggetto della concessione non sono tanto i singoli posti feretro, ma l’inter area cimiteriale su cui è stato edificato il sepolcro. In questo caso la concessione è assimilabile ad un diritto di superficie.
Le opere di manutenzione ex Art. 63 DPR 10 settembre 1990 n. 285 spettano unicamente al concessionario/proprietario del fabbricato in cui sono stati ricavati i loculi.
Vi chiedo aiuto nel far luce su questa mia questione:
Un mio zio, deceduto nel 1974, è stato sepolto in un loculo all’interno della cappella gentilizia di sua cognata. In un primo momento, questa sepoltura era in regime di perpetuità e tale situazione era stata poste in essere da un contratto orale. La cappella di cui sopra, verte in condizioni di fortissima carenza manutentiva tanto da costringere le autorità comunali ad intimare, agli eredi, l’esecuzione di lavori atti a ristabilire le condizioni di sicurezza dell’intero fabbricato. Nel frattempo (dopo il 1974), l’unica erede della cappella, ha cambiato la destinazione di uso dei loculi portandola da perpetua a temporanea. Ora, le mie perplessità sono:
– Il cambio di uso, riguarda tutti i loculi della cappella oppure solo ed esclusivamente quelli liberi?
– Sono obbligato a soddisfare una eventuale richiesta, da parte della proprietaria, di partecipazione alle spese di ripristino del manufatto?
Grazie!|
Lazio Roma
Mio padre anno 1910, defunto, era titolare della concessione di un loculo per i genitori al Verano con concessione anno 1970.
All’epoca il maschio ottemperava a tutti gli obblighi famigliari tipo le sepolture etc.
Mio padre aveva due sorelle delle quali una sola è ancora in vita.
Mio padre era anche titolare della concessione una tomba di famiglia sempre al Verano anno 1975.
Prima domanda : Questa sorella di mio padre ha ereditato il loculo dei genitori ? ha ereditato i doveri di manutenzione ed i diritti di sepoltura sul loculo dei genitori ? E’ erede anche lei o cosa ?
Seconda domanda :Eredi di mio padre siamo io,mia sorella e mia madre .
La tomba di famiglia è per 12 posti. Hanno diritto alla sepoltura i nostri mariti ,i nostri figli ed i coniugi dei nostri figli ? Non c’è alcuna elencazione nella concessione.
Noi vorremmo sinceramente non occuparci più della tomba dei nonni – luce,manutenzione etc. – avendo già le spese per la nostra tomba di famiglia.
Come possiamo fare ?
Come possiamo dire a nostra zia ,sorella di papà, che può disporre della sepoltura dei suoi genitori,nostri nonni, senza problemi? Bisogna cambiare l’intestazione della concessione o per mia zia il diritto è già sussistente ?
Grazie ( ho letto il forum ma tra i tanti casi esaminati non ho trovato un chiarimento per me ,scusate e di nuovo grazie)
Ogni Comune ex Art. 48 comma 2 D.LGS n.267/2000 con regolamento adottato dalla Giunta (si veda anche l’Art. 89 comma 2 lettera b) D.LGS n.267/2000) organizza autonomamente il propri uffici e servizi, ad ogni modo l’ufficio cui rendere la dichiarazione di rinuncia su un determinato manufatto sepolcrale è, senz’altro quello della polizia mortuaria, di cui ogni comune deve necessariamente dotarsi, anche perché la funzione cimiteriale è comunale ai sensi degli Artt. 337, 343 e 394 del Testo Unico Leggi Sanitarie, senza poi considerare che il Cimitero è un bene appartenente al demanio comunale, ex Art. 824 comma 2 Codice Civile e su quest’ultimo, di conseguenza, il comune ha pur sempre “giurisdizione”.
La retrocessione della concessione cimiteriale, con oneri di ripristino del manufatto SEMPRE a carico del privato rinunciante, è un’eventualità che il comune ha solo facoltà e non obbligo di accettare, non si ritiene adeguata all’uopo una semplice scrittura privata, molto meglio ricorrere agli strumenti dettati dal codice civile e dal DPR n.445/2000, inerente alla documentazione amministrativa, come appunto una scrittura debitamente autenticata.
Nel merito del quesito posto occorre distinguere tra diritto ad essere sepolto nella tomba e gli oneri manutentivi della stessa. Il diritto ad essere sepolto nella tomba è jure sanguinis, cioè dipendente dal rapporto di consanguineità col fondatore del sepolcro ed indipendente dalla quota eventualmente ereditata del manufatto sepolcrale.
Il diritto di sepolcro è un complesso di situazioni giuridiche oggettive e soggettive che si sviluppa secondo due grandi filoni:
1) un diritto reale, patrimoniale e di natura privatistica assimilabile ad diritto di proprietà sull’edificio sepolcrale ex Art. 63 comma 1 ed Art 98 DPR 10 settembre 1990 n. 285)
2) 2) un diritto civile (o.. sociale?) e, come tale regolato dalla LEGGE STATALE ex Art. 117 lettera m) Cost. di tipo personalissimo e morale come il dare o ricever sepoltura in un dato sacello sepolcrale.
Al titolare della proprietà, o, nel caso di una pluralità di titolari, a tutti costoro in forma indivisa, siccome dalla concessione amministrativa su area o fabbricato sepolcrale origina una comunione indivisibile, SPETTA LA MANUTENZIONE DEL SEPOLCRO. È tradizione che vi sia una sorta di divisione dei posti in base alla quota di proprietà del sepolcro, ma questo non è elemento di diritto. Le opere di manutenzione vengono svolte da chi le richiede, avendone titolo e per la quantità e la qualità richiesti. La suddivisione in quote delle spese di manutenzione è questione a cui resta estraneo il Comune e viene regolata fra i gli stessi aventi diritto, cioè tra coloro che sono subentrati al fondatore del sepolcro (= primo concessionario) nella titolarità della concessione.
mio nonno ha costruito una capella per se e la sua famiglia con concessione amministrativa avente una durata di 99 anni. per tanti anni mio padre si è sempre occupato a proprie spese della manutenzione ordinaria, ma ora non può più farlo e vorrebbe che le stesse spese fossero ripartite fra tutti gli aventi diritto, che non sentono ragioni.
la mia domanda è “come possiamo obbligarli, sapendo che i destinatari della cappella sono mio padre con i suoi discendenti, e la sorella con i suoi discendenti. inoltre un loculo è stato destinato solo ed esclusivamente alla seconda moglie di mio nonno, per testamento. questa signora non ha avuto figli, ma ha soltanto nipoti per vie trasversali; possiamo chiedere la contribuzione anche a loro”. come possiamo venirne fuori e in caso di rinuncia a quale ufficio del comune bisogna rivolgersi per disbrigare tutte le pratica.
grazie Antonio (Mesagne – Brindisi)