Sepoltura collettiva, tombe anonime o con nome e, quando l’eta’ gestazionale e’ molto bassa, incenerimento in qualita’ di ‘rifiuti ospedalieri’. E’ questo il destino, oggi, degli embrioni abortiti negli ospedali. Un destino, commenta il ginecologo e membro del direttivo dell’Associazione Coscioni Silvio Viale, che ”risulterebbe piu’ sensato e utile se tali feti venissero invece utilizzati a scopo di ricerca, come proposto dagli specialisti del Policlinico di Milano”. Sulla base delle attuali disposizioni di legge, spiega l’esperto, ”i feti abortiti, definiti ‘prodotti abortivi’, sopra le 20 settimane, vengono conferiti dall’azienda ospedaliera ai cimiteri. Qui, vengono tumulati collettivamente o seppelliti in tombe anonime oppure in tombe con nome se richiesto dai genitori”. Per i feti abortiti invece sotto le 20 settimane di gestazione, il percorso e’ diverso: ”Funerali sono sempre possibili se i genitori lo richiedono. Se non vi e’ pero’ alcuna richiesta – afferma Viale – tali embrioni vengono trattati come ‘rifiuti ospedalieri’ e destinati agli impianti di incenerimento, cosi’ come accade per tutto il materiale organico di rifiuto degli ospedali”. Ma la questione e’ complessa e al centro di polemiche: ”La Regione Lombardia – ricorda Viale – ha ad esempio reso obbligatorio il conferimento ai cimiteri anche per i feti sotto le 20 settimane”. Un percorso che, secondo Viale, acquisterebbe un senso diverso, e sicuramente di ”grandissima utilita’ pubblica”, se invece di concludersi in un cimitero o in un inceneritore approdasse in un laboratorio di ricerca, dove i feti abortiti potrebbero essere studiati. In tal modo, ma questo non e’ certamente l’aspetto piu’ rilevante, tiene a precisare Viale, si taglierebbero anche dei ”costi evitabili” legati alle procedure attualmente previste. Il punto vero, conclude l’esperto, e’ pero’ ”solo uno: la ricerca sulle cellule staminali prelevate da embrioni e’ fondamentale per il progresso delle conoscenze mediche ed apre potenzialita’ notevolissime”.