Riportiamo di seguito il testo dell’articolo dal titolo “IL BUSINESS DEL CARO ESTINTO: ELIMINIAMO LO “SPAZIO MORTI” PER DARE SPAZIO AI VIVI “, a firma di Ciro Pastore, pubblicato il 2 novembre 2011 sul blog it.paperblog.com:
Un modo diverso di commemorare i defunti: I cimiteri sono inutile spreco del territorio e fonte di corruzione
Ogn’anno,il due novembre,c’é l’usanza per i defunti andare al Cimitero. Ognuno ll’adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.
(da A’ livella – Totò)Come ogni anno, il 2 novembre, mi sono ritrovato – come molti di voi immagino – a fare una riflessione, non tanto sul senso della vita, ma soprattutto sul senso della morte. Per arrivare al mio loculo marmoreo (l’ufficio in cui da tempo mi hanno tumulato), devo necessariamente passare dinnanzi a un cimitero. Di solito, si tratta di posti abbastanza desolati, frequentati da povere vecchine in gramaglie. In questi giorni, però, i cimiteri si animano di parenti, vicini e lontani, che si affannano per dare alle sepolture dei loro cari estinti un fiore o un lumino, come segno della memoria e del ricordo amoroso che ancora pervade i superstiti.Piccola digressione a proposito di lumini: quanti di voi sanno che il nostro caro EAV ancora oggi gestisce le luci perpetue delle nicchie dei cimiteri napoletani? Si tratta di un business lucroso, l’unico che renda, vista la condizione di monopolista: non hanno saputo far rendere i treni ma con i lumini votivi sono dei draghi. Esaurito l’excursus, ritorniamo a ragionare sul business del caro estinto. Sorvoliamo in quest’occasione su quanto accade al momento della morte, quando si scatena il racket delle pompe funebri. Centinaia di inchieste hanno infatti dimostrato che non si può nemmenomorire in pace. Il cadavere è appena esalato, il corpo è ancora caldo ed ecco che si materializzano alla porta dell’estinto i necrofori, meglio conosciuti come e’ schiattamuorte. Chi li avvisa? Come fanno ad essere così tempestivi? E soprattutto, come si fa a sottrarsi alla loro ingordigia? Misteri della vita più che della morte… Vorrei, invece, appuntare la vostra attenzione su quanto accade dopo le esequie. Come tutti quelli che hanno vissuto una tale esperienza sapranno, nasce, innanzitutto, il problema di dove riporre la bara ed il suo pietoso contenuto. Il primo dubbio è: inumazione o tumulazione? Per inumazione si intende l’immissione della bara in terra. La cassa deve essere di solo legno. Il periodo di sosta sotto terra, prima di poter essere esumata dovrebbe essere di 10 anni. Ma le esigenze logistiche spingono spesso a riesumare la salma prima del necessario, costringendo i parenti affranti ad assistere ad uno spettacolo a dir poco sconvolgente. O’ muorte è frische: sentenziano i più avvezzi al rito.Con la tumulazione, invece, si ripone la bara, ermeticamente chiusa, in un loculo in concessione o in tomba privata (più posti insieme), la cassa deve essere di legno esternamente e di zinco all’ interno o viceversa. I loculi vengono concessi per un periodo più o meno lungo (da 20 a 30 anni) dalle Amministrazioni Comunali. E qui nascono i problemi: nelle grandi città si assiste da decenni ad un turpe mercato dei loculi, fatto di corruzione e barbara ingordigia. C’è chi è riuscito perfino a trasformarlo in un’anomala attività di investimento. Si acquista il loculo con netto anticipo sull’utilizzo personale (nessuno si augura di anticiparne l’uso) per poi rivenderlo al miglior offerente che ne fosse sprovvisto al momento del fatale bisogno. Miserie umane…È vero ci sarebbe anche la cremazione, cioè l’incenerimento della salma in bara dentro forni speciali. Le risultanti ceneri, raccolte in una urna, possono essere tumulate in loculo o in tomba o sparse nell’ambiente (aria, mare, terra) o in appositi spazi nei cimiteri. Ma la cremazione, nonostante il mutato atteggiamento sociale, non ha ancora raggiunto dimensioni numeriche tali da costituire un vero metodo sostitutivo, restando relegato in fasce socio-economiche di nicchia (scusate il fin troppo facile gioco di parola). Resistenze religiose e culturali, ma soprattutto l’incapacità dei comuni a creare le necessarie strutture, hanno impedito il decollo di questa più funzionale modalità di eliminazione dei cadaveri. Perdonatemi la brutalità, ma in fondo, di questo si tratta: l’eliminazione dei resti umani. Fin dalla notte dei tempi ci si pose il problema e le soluzioni sono state le più varie, da quelle più semplici a quelle contraddistinte da un forte valore rituale. Così, nei millenni di storia umana, ci si è liberati della salma mediante il semplice abbandono in luoghi sacri; immersione del corpo nelle acque di fiumi, laghi o mari; seppellendo i resti, bruciandoli, mummificandoli; e prima ancora, sottoponendoli a scarnificazione o anche al cannibalismo rituale. Ciascuno di questi metodi ha contraddistinto epoche, riti e mondi religiosi con differenze che, tuttora, si perpetuano. Nella cultura cristiana hanno finito per prevalere l’inumazione e la tumulazione, con una preponderanza della prima. Sono metodi di eliminazione del cadavere che, però, comportano un consumo del territorio che con l’urbanizzazione selvaggia avvenuta negli ultimi 50 anni, ha provocato l’esplosione delle strutture atte a ricevere i cadaveri. I nostri cimiteri sono oggi delle città nelle città. Sul finire dell’ottocento furono creati appositi contenitori ai margini delle grandi città, ma l’espansione urbana ha finito per inglobare i cimiteri ben dentro le cinte urbane. In alcuni casi, i cimiteri hanno finito per essere un inconsapevole, ma utile, ostacolo alla speculazione selvaggia di cui i principali centri urbani del nostro Paese sono stati vittime. A me spesso capita di essere un turista dei cimiteri, soprattutto quelli monumentali, ma anche quelli dei piccoli paesini arroccati sulle colline o a strapiombo sul mare. Ma non tutti i cimiteri sono così romantici. Prendiamo il caso di Poggioreale: ettari ed ettari di territorio cittadino occupati da milioni e milioni di nicchie, cappelle e mausolei. Morti, per la maggior parte, che non hanno più nessuno che li piange e che, nonostante tutto, occupano territorio urbano che potrebbe trovare ben più funzionale utilizzazione. È ben noto, infatti, che pochissimi – anche nei giorni della commemorazione – si rechino presso i cimiteri per avere cura delle sepolture dei propri bisnonni o trisavoli; per molti, infatti, risulta impossibile persino individuarne le sepolture. A tal proposito una nota azienda specializzata nelle geolocalizzazione delle sepolture ha lanciato una mappa GPS dei più grandi cimiteri mondiali con annesse indicazioni per raggiungere la nicchia del proprio caro avo: “Proseguire per il viale principale per 200 metri, alla cappella gentilizia girare a destra, proseguire per altri 10 metri fino alle nicchie in marmo, salire la scala, terza fila in alto, quinta nicchia da sinistra: destinazione raggiunta”. A stento si riserva ancora qualche attenzione per i nonni, ma solo quando in vita siano stati capaci di meritarsi il ricordo benevolo dei propri discendenti, magari lasciando sostanziose eredità. La secolarizzazione della società, l’esasperazione dell’individualismo, la rottura dei vincoli fra generazioni hanno generato una disaffezione per gli anziani parenti persino quando sono ancora vivi e vegeti, figurarsi quanti possono godere delle attenzioni dei parenti da morti. Insomma, sembra essere arrivato il momento di dare una maggiore spinta ad un metodo, come la cremazione, che ha l’indubbio merito di non richiedere il consumo di territorio e che riporta il rapporto fra estinto e sopravvissuto in un alveo, diciamo così, più intimista. È vero, purtroppo, che le ceneri vengono viste quasi come uno specialissimo rifiuto speciale, infatti, devono essere raccolte in urne sigillate, con ceralacca, piombo o altro analogo sistema e le stesse devono essere fabbricate con materiale resistente. Ciascuna urna cineraria può, inoltre, contenere le ceneri di una sola salma e all’esterno deve essere indicato il nome e cognome, la data di nascita e quella di morte. E fin qui ci siamo.Ma i regolamenti comunali diventano più macabramente divertenti riguardo al trasporto fuori Comune o verso uno stato estero di ossa umane, di resti mortali assimilabili e di ceneri, visto che tale trasporto deve essere preventivamente autorizzato dal Servizio di Stato Civile. Insomma, come un rifiuto pericoloso, i resti del caro estinto devono essere tracciati nei loro spostamenti. Diventa, paradossalmente, più semplice inumare in una discarica abusiva un carico di
rifiuti tossici che portarsi a casa le ceneri del parente defunto all’estero…Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli