Il paradigma per una nuova politica cimiteriale dovrebbe articolarsi sui seguenti punti programmatici:
1. rilancio della biodegradabilita’ con la definizione normativa di quale proprieta’ chimico-fisica si intenda per tale
2. contenimento degli spessori dei legni, che dovrebbe essere accompagnato da nuove tipologie di verniciatura piu’ ecologiche
3. sostituzione, ove possibile, dello zinco con materiali biodegradabili.
Certo, l’industria funeraria, da diverso tempo, propone involucri plastici (in materia biodegradabile) ad effetto impermeabilizzante, oppure cassoni esterni muniti di guarnizioni a tenuta stagna, con cui rivestire le bare lignee durante la loro movimentazione.
Il DPR 285/90 sembra non considerare in modo approfondito questa possibilita’ ed affronta il problema della biodegradabilita’ soprattutto in termini ablatori e negativi vietando, con il comma 1 dell’Art. 75, per i feretri da inumare, l’impiego di materiali non facilmente aggredibili dai normali processi della decomposizione organica, mentre il comma 3 dello stesso articolo accenna all’uso di casse piu’ ‘leggere’ e, quindi, maggiormente biodegradabili, magari realizzate con fibre o plastiche naturali in sostituzione della piu’ tradizionale cassa lignea.
Quest’ipotesi, tuttavia, seppur ragionevole, non ha prodotto nei gia’ 16 anni passati dall’entrata in vigore del DPR 285/90 (27 ottobre 1990) sostanziali cambiamenti o silenziosi rivolgimenti nel comparto funebre e cimiteriale italiano, forse perche’ la stessa industria funeraria non e’ mai stata davvero interessata ad esplorare nuove frontiere e metodologie per la costruzione dei cofani.
Il legno, tutto sommato, e’ un essenza nobile, antichissima che ben si coniuga con il concetto di ‘pompa’ funebre, ossia di sfarzo e sontuosita’ funeraria.
Ben altro impatto, invece, hanno avuto i dispositivi plastici ad effetto impermeabilizzante alternativi, in determinate circostanze, alla bara a tenuta ermetica grazie all’involucro di lamiera zincata.
Questa concreta “piccola” rivoluzione e’ stat possibile grazie all’Art. 31 del DPR 285/90 implementato prima in via esplicativa dal paragrafo 9.5 della Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24 poi, operativamente dai Decreti Ministeriali (emanati dal Ministero della Salute) del 7 febbraio 2002 e 9 Luglio 2002 (autorizzazione all’uso dei manufatti realizzati in materiale plastico denominato Mater BI sostitutivi della cassa di zinco).
Il loro utilizzo, pero’ e’ soggetto a qualche restrizione:
1. Deve esser collocato obbligatoriamente all’interno della cassa lignea
2. In caso di infetti tali dispositivi sono adottabili solo se il feretro sara’ cremato.
Ovviamente la filosofia ispiratrice dell’Art. 31 DPR 285/90 e’ l’eliminazione, ove possibile, del nastro metallico (nei feretri da inumare o cremare) perche’ lo zinco e’ difficile da asportare (la lamiera affilata potrebbe produrre ferite durante il taglio ) e soprattutto e’ un rifiuto cimiteriale difficile da smaltire, lo stesso DPR 254/2003 con l’Art. 12 comma 5 parla in termini di “favorire” il recupero dei rottami metallici provenienti da operazioni cimiteriali, ma non pone alcun obbligo sul loro riciclo, anche perche’ diverse fonderie sarebbero piuttosto restie ad accogliere un simile tipo di materiale (proprio per la sua provenienza) e poi c’e’ proprio un problema di natura tecnica: gli zinchi dovrebbero esser prima accuratamente detersi, rimuovendo le incrostazioni di liquami cadaverici, altrimenti la nuova lamiera prodotta dallo loro fusione avrebbe bassa qualita’.
Molti impianti di cremazione, poi non sono dotati di filtri per l’abbattimento delle polveri sottili derivanti dalla sublimazione dello zinco.
Secondo molti commentatori il DPR 285/90 soffre di una “postmaturita’” rispetto al nuovo assetto delle autonomie locali (la cellula dell’azione di polizia mortuaria sul territorio e’ pur sempre il comune), e’ troppo dirigista e poco attento al fenomeno cremazionista (tuttavia e’ proprio il DPR 285/90 ad introdurre nel nostro sistema cimiteriale, con una scelta linguistica coraggiosa, il concetto di dispersione, seppur in cinerario comune con l’Art 80 comma 6).
Se, pero’, scrutiamo nelle pieghe e nei panneggi del regolamento possiamo individuare nuove potenzialita’ non ancora esplorate.
Tradizionalmente ai sensi dell’Art. 77 DPR 285/90 i cadaveri destinati a tumulazione debbono esser racchiusi in una doppia cassa a tenuta stagna saldata a fuoco o con altra metodologia equivalente (si tratta della cosiddetta saldatura a freddo con pasta adesiva) e poi murati in cella tamponata in modo da riuscire perfettamente ermetica a gas e liquidi putrefattivi.
I costruttori, pero’, si sono fermati ad una lettura molto formale della norma, l’unica vera scelta strategica e’ stata l’eliminazione del piombo in favore dello zinco, poiche’ lo zinco per le sue proprieta’ puo’ esser lavorato con spessori piu’ sottili.
Ad un attenta lettura, pero’, il sullodato Art. 77 richiama anche l’Art. 31, quindi nell’impiego dei cofani destinati alla sepoltura a sistema di tumulazione e’ del tutto legittimo (almeno in teoria) il ricorso a materiali diversi rispetto a quelli indicati dal regolamento stesso (legno, zinco o piombo). Le caratteristiche tecniche dovrebbero, cosi’, esser indicate nell’atto di autorizzazione.
DOPO il D.P.C.M 26 maggio 2000 (trasferimento di competenze alle regioni) e soprattutto la nuova formulazione dell’Art. 117 Cost, con l’entrata in vigore della Legge Costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, questa potesta’ autorizzatoria parrebbe attenere esclusivamente alle regioni.
Al di la’ del forte limite dovuto alla confinatezza dei provvedimenti regionali (se c’e’ extraterritorialita’ prevale sempre la norma statale) e’ recentemente intervenuto il Ministero della Salute con la Circolare del 21.05.2002 n. 400.VIII/9L/1924 con cui risultano avocate allo Stato le autorizzazioni di cui agli Artt. 31, 75 e 77 del DPR 285/90, in quanto esse sarebbero non semplici autorizzazioni amministrative, ma veri e propri atti a contenuto normativo spettanti allo Stato ai sensi dell’Art. 115 comma 1 lettera b) del Decreto Legislativo 112/1998.
Queste autorizzazioni, essendo rilasciate dal Ministero della Salute, avrebbero valore su tutto il territorio nazionale, piu’ controverso sarebbe il caso dei trasporti internazionali (Artt. 28 e 29), perche’ l’Art. 31 in questione parla solo di trasporti da comune a comune; esse, certamente, non troverebbero applicazione per i trasporti internazionali regolati dalla Convenzione di Berlino (Art. 27), perche’ e’ la Convenzione stessa a dettare i requisiti per le bare.
Nemmeno le regioni che si sono dotate di un proprio corpus normativo in tema di servizi funebri, necroscopici e cimiteriali sembrano credere molto alla sostituzione della bara lignea foderata con la lamiera, la Lombardia con l’Art. 18 comma 3 del regolamento 6/2004 e l’ Emilia Romagna con l’Art. 2 comma 13 del regolamento 4/2006 continuano, infatti a richiedere la doppia cassa di legno e metallo per la tumulazione in ambiente stagno, per i cosiddetti loculi areati, invece, e’ vietata la bara di zinco, mentre si richiede sempre la cassa di legno . La regione Lombardia, poi, con l’allegato 3 al proprio regolamento regionale di polizia mortuaria fissa nuovi parametri e standards per la realizzazione delle bare, ma non sembra prendere in considerazione il superamento di legno e metallo grazie alla messa a punto di materiali piu’ ecologici.
Per la ritumulazione dei resti mortali privi di parti molli, nel silenzio del legislatore si ritiene possibile l’utilizzo del contenitore di cui alla Risoluzione del Ministero della Salute n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23.03.2004.
Se guardiamo oltre al mero aspetto legislativo non si rilevano nella letteratura di settore particolari studi su soluzioni alternative alla bara di zinco forse perche’ le attuali tecniche di produzione (vasca a “monoscocca cioe’ costruita partendo da un unico foglio, limitando, cosi’, le saldature a pochi punti, adozione di valvole depuratrici e materassini assorbenti da collocare nell’intercapedine tra le due casse) hanno permesso di contenere nel corso degli ultimi anni la vera criticita’ della tumulazione: ossia lo scoppio del feretro con conseguente percolazione all’esterno della tomba di liquami e miasmi.