Per molto tempo è stata trascurata la dimensione “lavorativa” degli edifici funebri.
Le conseguenze di questo ritardo del Legislatore hanno anche un costo, rappresentato non solo dalla maggiore usura fisica per i necrofori, ma pure da un serio e costante pericolo di infortunio.
La difficoltà di meccanizzazione delle operazioni cimiteriali dovuta agli ostacoli architettonici si paga pure in termini di disservizio, con oneri a carico delle amministrazioni comunali (costrette ad impiegare organici più numerosi) ed allungamento dei tempi di attesa per le operazioni ad es. di estumulazione.
Già dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 626/94 fu affrontata prioritariamente l’esigenza di ridurre il rischio lavorativo nei fabbricati ad uso funerario già esistenti. (sul versante di polizia mortuaria l’implementazione della c.d. Procedura di deroga ex art. 106 D.P.R. n. 285/1990 risale al paragrafo 16 circ. min. Sanità 24 giugno 1993 n. 24, quindi è appena precedente, ma sconta un pesante limite: come al solito il Min. Sanità affrontò la questione solo in termini igienico-sanitari, per la sicurezza strutturale e la salubrità dei sepolcri privati murari).
È invece rimasto in secondo piano il problema delle regole che disciplinano le nuove costruzioni.
In attesa di una riformulazione generale di queste norme, i servizi di Igiene Pubblica possono cercare di sensibilizzare i progettisti perché si orientino su soluzioni in grado di conciliare funzionalità ed estetica.
Ricordiamo però che i progettisti devono rendere conto ad una committenza comprensibilmente più attenta alle ragioni dell’estetica.
La riduzione dei rischi già in sede di progetto resta perciò un obiettivo da raggiungere tramite modifiche normative: prima si farà, meglio sarà.
Non è argomento trattato in letteratura tecnica, non è materia di discussione in convegni alle fiere di settore, e fatica perfino a trovare posto come voce autonoma nelle statistiche A.USL (generalmente, i dati confluiscono in quelli relativi a tutti i vari pareri edilizi).
Un profilo così basso dipende probabilmente dalla semplicità dei requisiti da controllare: i criteri di progettazione dei loculi, indicati nell’art. 76 D.P.R. n. 285/1990 sono tali da essere agevolmente rispettati, ed il ruolo di controllo attribuito ai servizi di Igiene Pubblica ne sarebbe risultato ovviamente facilitato, limitandosi sovente ad un nulla osta di proforma.
Dalla data di pubblicazione in G.U. del D.P.R. n. 285/1990, la rigida attribuzione di competenze stabilita dall’art. 94 si è modificata conformemente all’evoluzione del panorama legislativo italiano, sino – alle volte, ad esser del tutto eliminata, con le recenti riforme regionali sulla polizia mortuaria, in quanto ritenuta, quest’ultima del tutto obsoleta e diseconomica…ma sarà stato davvero cosi?
A seguito della riforma del Servizio Sanitario Nazionale, la figura (mitica ormai) del coordinatore sanitario non esiste più, e le relative funzioni vengono perciò svolte dal Servizio di Igiene Pubblica, solitamente, almeno qui, nella mia Regione, Emilia-Romagna.
Per quanto riguarda le funzioni solo nominalmente del Sindaco, esse sono attualmente di spettanza esclusiva dirigenziale, grazie alla politica sulla semplificazione amministrativa: i percorsi autorizzativi dipendono pertanto dalle soluzioni organizzative adottate nei rispettivi ambiti locali.
I criteri riportati nell’art. 76 D.P.R. n. 285/1990 mirano principalmente a proteggere la salute pubblica, dal rischio igienico dovuto ai miasmi cadaverici e relativi fenomeni percolativi per scarsa tenuta dei feretri a cassa stagna, con accorgimenti quali inclinazione verso l’interno del piano di posa dei loculi, modalità di tamponatura.
Questi sono i requisiti da controllare, essenzialmente da parte dell’A.USL, tramite apposita verifica sull’opera ultimata.
Rilevata la post-maturità del D.P.R. n.285/1990 anche concettuale, le uniche sue disposizioni che abbiano tuttora riflessi positivi sulla sicurezza lavorativa sono presenti ai commi 3 e 5 dell’art. 76.
Nulla quindi sulle dimensioni minime dello spazio libero esterno (c.d. vestibolo), niente sulle dimensioni dell’apertura e sulla sua posizione.
Non sono previste neanche misure minime per i loculi, ma almeno questa carenza è stata corretta dalla Circolare ministero salute n. 24/1993, al punto 13.2.
Essa consente di evidenziare una lacuna nel Regolamento di Polizia Mortuaria, colmata con tutti i limiti di un atto istruttivo quale è pur sempre una circ. min.
Per spiegarci meglio, partiamo da un’incongruenza facilmente osservabile.
Nei documenti sul rischio lavorativo in ambito cimiteriale prodotti già ai sensi del D.Lgs. n. 81/2008 s.m.i. viene posta in primo piano la necessità di ristrutturare le tipologie edilizie più infelici dal punto di vista ergonomico.
Il paradosso è che alcune di queste fattispecie costruttive vengono ancora regolarmente autorizzate come progetti di nuova realizzazione.
Si tenta, nel cimitero ad accumulo odierno di massimizzare la ricettività fisica dei sepolcri murari, dimenticando colpevolmente chi da vivo in cimitero lavora come necroforo.
Non potrebbe essere diversamente, siccome i requisiti a cui deve essere conforme un progetto non sono mai stati aggiornati in base alla normativa sulla sicurezza lavorativa.
Il titolo che abbiamo scelto per caratterizzare il nostro articolo è quindi in parte provocatorio, perché stabilisce un collegamento fra valutazione preventiva dei progetti di tombe e miglioramento della sicurezza lavorativa; equilibrio che in realtà deve essere ancora raggiunto.
La strada che suggeriamo sarebbe l’emanazione di una misura legislativa valida su tutto il territorio nazionale (sì…è utopico ed oltre la normale soglia della follia!) tali da indurre i progettisti di tombe a seguire i moderni parametri per la prevenzione del rischio da movimentazione di carichi.
Quanto alla natura del provvedimento, l’ideale sarebbe una modifica del Regolamento di Polizia Mortuaria o meglio: dei regolamenti di polizia mortuaria (Nazionale, residualmente vigente? Leggi o Atti regionali…?). ma i tempi di attesa e stagnazione in Parlamento preventivabili sconsigliano di intraprendere di nuovo questa strada impervia.
Più praticabile si configura il ricorso ad una fonte normativa gerarchicamente sovraordinata, anche se per snellire l’iter si dovrebbe ricorrere ad un più flessibile decreto inter-ministeriale, sempre però, rimarcando i potenziali conflitti tra potestà di porre diritto, tra i diversi organi della Repubblica, in tema genericamente di polizia mortuaria e servizi funerari.
La strategia sin d’ora adottata dalle autorità centrali sembra invece un silenzio omissivo, situazione di incertezza in cui chi tra i vari livelli di governo chi per primo adotta l’iniziativa legislativa, a prescindere sua della reale legittimità, riempie comunque un vuoto, ed ha giuoco facile nell’invocare il principio di effettività per le norme, comunque emanate, seppur impropriamente.
Nei documenti di valutazione del rischio cimiteriale elaborati addirittura ai sensi del D.Lgs. n. 626/94, quindi gli interventi strutturali consigliati sulle tombe avrebbero mirato generalmente a rettilineizzare il più possibile la movimentazione del feretro (da qui l’importanza che riveste il posizionamento dell’apertura) ed a consentire l’utilizzo di mezzi meccanici quali montaferetri e paranchi (da qui l’importanza attribuita al dimensionamento degli spazi liberi ed alla riduzione dei dislivelli).