Da tempo, m’arrovello e mi lambicco il cervello, senza ottenere apparente soluzione o risposta, su questo quesito: ma i registri cimiteriali di cui all’Art. 52 D.P.R. n. 285/1990 hanno davvero la qualità di pubblici registri, direttamente consultabili dalla cittadinanza? IL D.P.R. n.285/1990 nulla dice a tal proposito, c’è qualche norma formale dello jus positum cui appigliarsi, ad esempio l’art. 10 D.Lgs n. 267/2000?
Il problema si complica perché questa questione s’interseca fortemente con la normativa sulla privacy, siccome essi contengono dati sensibili.
Sul sito di A.n.u.s.c.a leggevo di un’opinione diversa, volta ad escludere il diretto accesso (ex DPR n.184/2006?) ai registri cimiteriali da parte del privato cittadino, poiché questi “schedari” sarebbero atti interni al circuito comunale della polizia mortuaria. Ho preso un abbaglio mostruoso o in queste parole c’è un barlume di verità?
Azzardo una possibile risposta: sull’entità pubblica dei registri cimiteriali si rinvia all’Art. 2699 Cod. Civile, essi sono, infatti, atti formati da un pubblico ufficiale[1] ed anche in questo frangente ci viene in soccorso la giurisprudenza:
1) Cassazione penale, Sez. VI, 4 febbraio 1999 n. 443 Il custode del cimitero, pur se formalmente inquadrato nell’ambito della III qualifica funzionale del pubblico impiego (riservata a soggetti con autonomia limitata “all’esecuzione del proprio lavoro nell’ambito di istruzioni dettagliate”), svolge tuttavia funzioni non riconducibili al livello di “semplici mansioni di ordine” e di “prestazione di opera meramente materiale” ed è pertanto da qualificare, ai fini penalistici, come incaricato di pubblico servizio.
2) T.A.R. Campania, Sez. III, Napoli, 11 settembre 1987 n. 200 – In base alle vigenti disposizioni di legge le mansioni del custode del cimitero comunale non si esauriscono nell’apertura e chiusura della struttura pubblica ma si concretano in attività ben più complesse (es. presa in consegna di cadaveri, tenuta di apposito registro dei movimenti delle salme, etc.); trattandosi, dunque, di mansioni di carattere prevalentemente amministrativo, alle stesse dev’essere correlata la IV qualifica funzionale.
3) T.A.R. Puglia, Sez. Bari, 31 gennaio 1983 n. 28 – In base alla declaratoria delle mansioni dei vari livelli previsti dal D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191, al dipendente che esercita le funzioni di custode del cimitero, non espressamente previsto nella detta declaratoria, spetta il quarto livello, e non il terzo, in considerazione della posizione di autonomia e responsabilità riconosciutagli (tenuta di pubblici registri e cura del pio luogo).
4) Cassazione penale, Sez. III, 15 giugno 1974 n. 4102 – Il regolamento di polizia mortuaria, approvato con R.D. 21.12.1942, n. 1880, stabilisce che ogni cimitero deve avere almeno un custode, compiti primari di quest’ultimo sono: la ricezione dei cadaveri, accompagnati dalla necessaria documentazione, la determinazione del loro seppellimento, secondo il duplice sistema della inumazione e della tumulazione; la disciplina della esumazione e delle estumulazioni in base ai criteri regolamentari vigenti; e, infine, la documentazione in registri a duplice esemplare (da compiersi personalmente) di ogni operazione relativa ai cadaveri accolti nel cimitero.
Per ciò che attiene a quest’ultima mansione, la legge precisa che il custode debba dare atto, nel doppio registro, oltre che delle generalità esatte della persona, cui appartenne in vita il cadavere, di ogni altra circostanza (locale e temporale), idonea a documentare il lungo e spesso complicato iter, cui la spoglia umana sia stata in concreto assoggettata.
Date le specifiche modalità della regolamentazione, risulta chiaro che il legislatore ha inteso attribuire al custode funzioni di carattere pubblicistico (custodia del cimitero, comunale o consorziale), in esse compresa quella di documentare personalmente il movimento dei cadaveri nell’ambito del cimitero, nonché le molteplici vicende subite da ciascuno dei medesimi, per disposizione e per diretta sorveglianza del funzionario a ciò preposto.
L’atto pubblico, previsto dal regolamento, è destinato a rispecchiare, per certificazioni dirette del pubblico ufficiale investito del compito, anche ciò che è stato da lui fatto, onde va attribuita al documento in questione la natura di atto pubblico fide faciente (fattispecie di falsificazione dei registri del cimitero da parte del custode).
In merito, poi, ad una possibile inosservanza del principio di riservatezza su informazioni personali, ancorché dei defunti, mi sovviene un dubbio: davvero i registri cimiteriali le conterrebbero?
Il problema sorge siccome alcune (vecchie) impostazioni avrebbero richiesto elementi ed notizie non necessari (anzi!) diversi, ed eccedenti, rispetto a quelli minimali prescritti dall’Art. 52 DPR 285/1990 (es.: indicazioni circa la causa di morte, le quali non dovrebbe proprio essere presenti).
Un possibile rimedio, per altro molto semplice, è questo: se la modulistica in uso ammette ancora queste annotazioni, le relative colonne vanno lasciate in bianco, non compilate, mentre (per gli anni futuri) si potranno acquistare registri idonei.
La questione, semmai, si pone per i registri pregressi, per i quali non si può non rinviare alle disposizioni di cui all’Art. 20 e segg. D.Lgs. n. 196/2003.
L’incombente della registrazione, quindi, insiste (art. 52 D.P.R. n. 285/1990 ); sul responsabile del servizio di custodia; occorre, allora, necessariamente, rinviare al Regolamento di organizzazione degli uffici e servizi del comune.
Non sembrano esservi elementi ostativi a che il lavoro del responsabile del servizio di custodia si sovrapponga con quello del custode (sempre tenendo conto del Regolamento anzidetto e del CCNL).
Tra l’altro, il vincolo imposto, in via generale, al responsabile può essere attuato con specifica disposizione nei confronti del custode a provvedere, comando, dato lo stato di soggezione tipico di ogni lavoratore subordinato, cui quest’ultimo non si può sottrarre (art. 2104, comma 2 Cod. Civile), salvo non incorrere in una chiara violazione disciplinare.
Piccola nota storica: al Congresso generale d’igiene svoltosi a Bruxelles nel settembre 1852 (appunto…l’altro ieri!), sulla Questione III, art. 2, si deliberava, tra l’altro, quanto segue: “ § 12. L’Autorità amministrativa dovrà tenere esatto registro del luogo, e della data di ogni sepoltura fatta, dietro un modello che verrà dato”.
La normativa nazionale, a partire dal R.D. 8/6/1865, n. 2322, ha costantemente richiesto quelle registrazioni oggi considerate dall’art. 52 DPR 10/9/1990, n. 285, con la conseguenza che dovrebbe sempre risultare quali siano i feretri inumati in campo comune o tumulati in un dato sepolcro, a maggior ragione se ragioniamo su questo elemento di diritto: per ogni tumulazione, trattandosi di sepolcro privato, deve essere stato preventivamente documentato, ed autorizzato, lo Jus Sepulchri, ossia il titolo di accoglimento nel sepolcro stesso: tuttavia, non sempre ciò accade se pensiamo a quante tumulazioni sine titulo avvengano nei nostri campisanti.
[1] Il custode del cimitero, talora qualificato come pubblico ufficiale, per la Cassazione Penale Sez. VI 4 febbraio 1999, è ritenuto incaricato di pubblico servizio.