Presso il civico cimitero del Comune di X.Y.Z. vi sono dei sepolcri di famiglia (edicole).
Per alcuni di questi immobili ad uso funerario le attente ricerche negli schedari ed i successivi confronti con i famigliari presumibilmente aventi diritto non hanno portato alla luce nessun contratto di concessione o atti che facessero chiarezza sullo status presente o passato di questi sacelli.
Sembra che le basi di queste cappelle siano state gettate nei primissimi anni del 1900 in area la quale probabilmente era nelle vicinanze del cimitero, ma su suolo privato (per un singolo caso ho visto un contratto stipulato tra privati sulla cessione dell’area per la costruzione della cappella di famiglia).
Con gli ampliamenti del cimitero, intervenuti nel corso degli anni, le cappelle sono state incorporate nell’area cimiteriale propriamente detta, costituiscono fascia di perimetro del cimitero stesso e l’accesso al sepolcro avviene esclusivamente transitando dall’ingresso del camposanto, attraverso i viali che convogliano ai rispettivi reparti.
Come ci si deve comportare in questi casi senza avere nessuna traccia né del fondatore/concessionario, né della sua volontà sul tumulo plurisposto?
Che diritti ha l’Ente pubblico oggi sulla cappella? Se vi fossero le condizioni per ravvisare l’usucapione come consolidarla?
Se, all’inizio, la proprietà dell’area (in quanto, probabilmente, esterna al cimitero) era privata, così come il manufatto erettovi, dovrebbe essere sempre possibile effettuare un’accurata ricerca di tipo catastale e alla (ex) Conservatoria dei Registri Immobiliari.
Questa operazione consentirebbe di individuare la proprietà dell’area, i suoi eventuali mutamenti di titolarità e, a rigore, tali aree dovrebbero essere accatastate.
In tale evenienza, oltretutto, detti edifici dovrebbero essere stati oggetto di regolari trasferimenti per volture mortis causa e, per questo (cioè in quanto beni di proprietà privata), inseriti nelle dichiarazioni di successione. Per queste motivazioni, va preliminarmente fornita l’indicazione di eseguire diligenti visure catastali negli atti della alla (ex) Conservatoria dei RR. II: (ora Agenzia delle Entrate).
Le prefate ricerche potrebbero pure riuscire infruttuose, ma si ritiene debbano esser svolte, anche se comportino tempi piuttosto dilatati ed un notevole dispendio di energie per conseguire, agli atti, i maggiori elementi di certezza possibili.
Sia l’uso del condizionale d’ordinanza, per dovere di cautela giornalistica, sia la prospettazione su una probabile improduttività di tali indagini, seppur capillari ed intrusive (esse potrebbero pure esser del tutto infruttuose!) hanno una ratio (prima rinviata ed ora finalmente sviscerata), in quanto potrebbe essersi verificata una trasformazione particolare, in primis vale a dire un mutamento conseguente alle operazioni relative alle modifiche normative che hanno interessato tanto il Catasto terreni quanto il N.C.E.U.
Come noto, nella tassonomia del nostro ormai tentacolare Ordinamento, anche se le prime norme catastali, dell’evo post-unitario, risalgono già al 1886, “il relativo testo unico fu approvato solo con R.D. 8 ottobre 1931 n. 1572 (in cui, per inciso, era previsto (artt. 37 e 38) un termine di 60 giorni per eventuali ricorsi averso i classamenti, mentre per il N.C.E.U. va operato riferimento al R.D.-L. 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, il quale ammetteva per eventuali impugnative il termine di 30 giorni (art. 15), ma anche (art. 6, comma 3) che la dichiarazione di accatastamento al N.C.E.U. non fosse richiesta (leggasi: prescritta) per alcune categorie di fabbricati, tra i quali, alla lett. d) , erano – esplicitamente – annoverati i cimiteri con le loro dipendenze”.
Queste disposizioni, in quanto successive alla realizzazione delle edicole/cappelle funerarie de quibus, possono avere ottenuto un risultato “anomalo”, ossia vi può esser stato una sorta di assorbimento, de facto , di esse rispetto al plesso cimiteriale, oltretutto non contestato (i precedenti cenni sui termini per gli eventuali reclami contro le attività di aggiornamento catastali e di N.C.E.U. sono stati riportati proprio a questo fine esplicativo).
È ben vero che questi procedimenti effettuali, ma non de jure, non sono modi di acquisto della proprietà, quali codificati nella normazione civilistica così come è altrettanto indubbio come le registrazioni catastali, in senso ampio (indifferentemente per terreni e fabbricati) non abbiano natura costitutiva (a differenza del sistema dei libri fondiari, nei territori in cui viga questo modello organizzativo), ma non dobbiamo precluderci la plausibile eventualità che la mancanza di opposizione (ricorso) abbia reperito fondamento, forse pure inconsciamente, ed in maniera quasi inopinata, nel fatto che gli stessi titolari dei diritti reali ritenessero, anch’essi, si trattasse di cimitero comunale ad ogni effetto.
Di qui la possibilità, nemmeno così remota o recondita che, nel tempo, tali sepolcri, ancorché pur sempre privati, siano divenuti, senza atti e titoli formali, cimitero di fatto.
Tutte queste nostre ardite e sublimi congetture argomentative prescindono, però, dall’ipotesi, anche questa frequente, che il cimitero, nel tempo, si sia ampliato, magari a dismisura, fino ad inglobare e fagocitare quelle aree che, in origine, erano site fuori del camposanto, alimentando, così con ulteriori presupposti logici o semplicemente legati alla sola osservazione della realtà fenomenica percepita, il convincimento, generalizzato, spontaneo e condiviso, altresì dagli stessi originari titolari, per cui queste tombe fossero sepolcri comunali sotto ogni profilo giuridico…dopo tutto error communis facit jus.
Evidentemente, gli aventi diritto potrebbero, accademicamente, anche rivolgersi al Tribunale, ai sensi dell’art. 2907 Cod. Civile, in sede civile, per ottenere un accertamento della propria qualità di proprietari pleno jure (art. 2697 Cod. Civile?) oppure il Comune stesso potrebbe procedere altrettanto in questo senso per ottenere un acclaramento giudiziale dell’intervenuta usucapione ventennale delle aree (azione che il Comune non intraprenderà di certo, probabilmente, perché, almeno dalla registrazioni catastali, appare già essere titolare dell’intera area cimiteriale, oltre che per altre ragioni…e poi adversus fiscum usucapio non procedit (art. 823 Cod. Civile?).
Per altro, l’usucapione (dell’area) richiederebbe sempre e comunque un giudizio di cognizione sulla fattispecie concreta in esame, astrattamente considerata dagli artt. 1158 e ss. Cod. Civile.
Con buona probabilità, per cogliere appieno la portata anche didascalica del caso prospettato, con le sue implicazioni giuridiche (diritti dominicali e jus sepulchri) bisogna concentrarsi su questo verosimile fenomeno: si è avuta un’apparente acquisizione al cimitero senza titolo (e in questo consiste l’”anomalia”, ma – può essere – non patologica), ma in termini inerziali e, oltretutto, senza resistenza, eccezione né contestazione da parte di terzi (originariamente) titolari dei diritti reali sulle aree e manufatti sepolcrali.